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Sto caricando le informazioni... Cecità (1995)di José Saramago
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Ciechi che, pur vedendo, non vedono. Mi guardo intorno dopo aver ascoltato Sergio Rubini e vorrei vedere tutto bianco. Vorrei, come tanti miei colleghi o miei superiori, essere capace di vivere nel caos che quotidianamente generiamo con la nostra incapacità, senza più vederlo, con l’indifferenza del “tanto è sempre stato così”. Vorrei essere capace, come loro, di sentirmi innocente per lo spreco e la sporcizia cui contribuiamo cercando di raggiungere, comunque sia, obiettivi più importanti – così sembra – del vivere ordinato, pulito, gentile, educato, rispettoso dell’altro, chiunque o qualsiasi cosa esso sia. E invece no. Vedo. Ma non lo urlo con stupita gioia come accade ai personaggi del libro. Vedo lo squallore, l’interesse personale perseguito comunque, indifferente alle ricadute sugli altri, sul mondo. Vedo e ascolto: dichiarazioni roboanti quasi urlate contro; contro non si sa cosa, ma contro, comunque. Oppure discorsi sussurrati di disillusione finalizzati a giustificare la propria ignavia, il proprio supinò accettare ciò che non si ritiene di poter cambiare. In tutto questo marasma bianco stupiscono le poche righe che annunciano un gruppo in cui si parla di organizzazione. È ancora possibile? O saranno solo dei preliminari per l’edificazione di strutture nelle quali altoparlanti anonimi diffonderanno altri comunicati altisonanti utili solo a coprire altre cecità? Racconto particolare sulla natura umana. Indicato in periodo covid-19 In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è cosi. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l'intero paese. Tra la violenza e la lotta per la sopravvivenza si inserirà la figura di una donna che, con un gesto d'amore, ridarà speranza all'umanità. Questo incredibile romanzo di Josè Saramago invita a riflettere sull'imprevedibilità della vita e sull'importanza del preservarsi umani in condizioni disumane. A partire da un episodio di cecità bianca che ha colpito un uomo fermo al semaforo, si innesca a catena un'epidemia che velocemente coinvolge tutti. L'unico personaggio che per tutto il romanzo manterrà la vista è la moglie dell'oculista dal quale si era recato l'uomo fermo al semaforo nel tentativo di cercare una risposta al proprio improvviso malanno. I contagiati in un primo momento sono rinchiusi dalle forze dell'ordine in un manicomio dismesso, dove, paradossalmente, si mantiene un barlume di civiltà: i ciechi sono costretti dalla situazione ad abituarsi a vivere da ciechi e sono in questo aiutati dalla moglie dell'oculista, che però con intelligenza non rivela, se non a pochi, di non essere cieca. Quando i contagiati si ritroveranno al di fuori del manicomio, dovranno prendere atto di quanto disumana sia diventata la vita di tutti gli uomini ciechi: le case sono state prese d'assalto dai ciechi alla ricerca di cibo, l'aria è gonfia di sporco e fetore e le strade sono tappeti di morti. Solo due occhi possono vedere tutto questo, finché, all'improvviso, tutti riacquisteranno la vista... Appartiene alle SerieAppartiene alle Collane EditorialiPremi e riconoscimentiMenzioniElenchi di rilievo
℗±Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono.℗ In un tempo e un luogo non precisati, all'improvviso l'intera popolazione diventa cieca per un'inspiegabile epidemia. Chi ©· colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede pi©£. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un'esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l'insensibilit© altrui, e qui si manifesta tutto l'orrore di cui l'uomo sa essere capace. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un'umanit© bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalit© , artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull'indifferenza e l'egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche
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Copertine popolari
![]() GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)869.342Literature Spanish and Portuguese Portuguese Portuguese fiction 20th Century 1945-1999Classificazione LCVotoMedia:![]()
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In un mondo senza coordinate geografiche precise, in una società (la nostra senza dubbio) che non vede o sovente finge di non vedere ingiustizie, diseguaglianze, prepotenze ed un cinismo individuale in crescita esponenziale, in una società che è quindi cieca ai mali che la affliggono, serve un’epidemia di cecità “vera” per far aprire gli occhi a chi non vede. Mi si perdoni il gioco di parole, ma la sintesi è questa. “Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo ciechi, che pur vedendo non vedono”.
L’umanità è diventata cieca. Sin dalle prime pagine del libro si percepisce lo sgomento, la paura di un contagio che spazza via ogni nostro riferimento conosciuto. Forse è per questo che rileggere questo romanzo dopo ciò che il Covid ci ha insegnato, apre a riflessioni che qualche anno fa forse non avremmo fatto. Ad occhi chiusi il mondo vede ciò che aveva sotto gli occhi: la misera dimensione umana gonfia di egoismi e personalismi, di prepotenze e di furberie. La ode quasi come un rimbombo, la sente negli odori acri della decomposizione che diventa in breve parte integrante della narrazione. Tutti saranno colpiti dal male bianco, da una cecità lattescente che priva anche della dimensione del buio, affinché nessuno possa trovarvi rifugio, una non dimensione dove anche la fede si ritrova bendata tra santi e angeli che qualcuno finisce per bendare, che pure loro abbiano a vagare senza vista per l’eternità. Tutti ciechi, tutti eccetto una, perché l’unica anima a non essere colpita è una donna, perché siano i suoi occhi a raccontare a chi legge cosa accade. Perché in questo “Cecità”, Saramago non fa sconti a nessuno. Nello scenario di una distopica apocalisse, tra il lezzo dei corpi abbandonati tra le strade e straziati da branchi di cani randagi, tra i vagheggiamenti di altri branchi di umani che si spostano, senza punti cardinali, alla ricerca di cibo, tra il sudiciume di artefatti corporali abbandonati ove capita, perché quei corpi ora hanno come unico scopo la biologia della sopravvivenza. C’è tutto l’orrore del preventivo internamento dei contagiati, messo in atto come soluzione forse disumana, da chi vedendo ancora attraverso uno spiraglio di luce sperava in un improbabile contenimento della malattia. Tutto inutile. “In un governo di ciechi che pretende di governare i ciechi, senza futuro ed è come se il presente non esistesse”. Purtroppo quel presente esiste ed è la discesa degli inferi. La natura umana si manifesta con violenze, egoismi all’ennesima potenza, stupri sino a consumarsi nel male estremo: uccidere per sopravvivere. E innanzi a questo scenario, in cui il superfluo sublima nella cecità, i nomi scompaiono. Per Saramago sono il dottore, la moglie del dottore, il primo cieco, la donna con gli occhiali scuri, il vecchio con la benda. Perché nessuno è e sarà ma più ciò che è stato, in una città senza nome, in una nazione senza nome. Il racconto è serrato, l’intensità emotiva cresce in modo direttamente proporzionale all’aumentare dei ciechi, tutto in quella scrittura che contraddistingue questo autore, fatta di periodi lunghi una pagina, di maiuscole improvvise, di punti e virgole che scompaiono. Svaniscono come la televisione, i cinema, i musei, l’estetica, il decoro, la pudicizia, l’igiene. Crollata l’organizzazione sociale per come la diamo oggi per scontata, manca tutto e le strade si popolano dunque di zombie affamati e sporchi che qualche cieco, guidato dall’unica vedente rimasta a raccontare la storia, riesce ad aggirare giungendo ad un porto sicuro, recuperando pagina dopo pagina, quel senso di fratellanza che è la speranza alla quale Saramago vuole condurci. Un gruppo di sopravvissuti, cellula staminale di una società nuova, dove cresce una forma di solidarietà e di nuova tolleranza, dove umani tra umani si comincia a rivedere oltre il proprio naso, oltre la propria casa, al di là del proprio cortile. Suona come un monito questo libro di Saramago, ma purtroppo non credo basterà ad abituarci a tenere gli occhi aperti e a smettere di far finta di non vedere come è ingiusto il mondo. (