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Cesare Pavese (1908–1950)

Autore di La luna e i falò

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Sull'Autore

In Torino in his native Piedmont, Pavese studied English and American literature and wrote a dissertation on Walt Whitman. He read and translated Defoe, Dickens, Joyce , Dos Passos, Stein and Faulkner and his version of Melville's , Moby Dick is a classic. Except for his book of poems Lavorare mostra altro stanca (Work Wearies) (1936), Pavese's chief works are the novels The Comrade (1948), La Casa in Collina (The House on the Hill) (1949), Prima che il gallo canti (Before the Cock Crows) (1949), La bella estate (The Beautiful Summer) (1949), and his last and best, The Moon and the Bonfire (1952). During World War II, he was head of the Rome office of the publishing house of Einaudi and, with Elio Vittorini, did much to encourage young writers. Although a member of the Communist Party, he had not joined the anti-Fascist resistance. Unhappy in love, unable to believe in Christ, and disappointed with things in postwar Italy, he finally made good on what he had often urged as the finest of "final solutions" for himself, committing suicide after winning the coveted Strega Prize, for La bella estate. (Bowker Author Biography) mostra meno

Opere di Cesare Pavese

La luna e i falò (1949) 1,414 copie
La bella estate (1940) 571 copie
Il mestiere di vivere (1990) 539 copie
La casa in collina (1949) 377 copie
Dialoghi con Leucò (1947) 303 copie
Paesi tuoi (1938) 294 copie
Il compagno (1947) 286 copie
La spiaggia (1941) 239 copie
Le poesie (1979) 226 copie
Tra donne sole (1949) 220 copie
Il diavolo sulle colline (1948) 201 copie
Prima che il gallo canti (1964) 168 copie
Lavorare stanca (1943) 161 copie
Feria d'agosto (1946) 159 copie
Racconti (1960) 111 copie
The Political Prisoner (1990) 53 copie
Poesie del disamore (1943) 40 copie
Fuoco grande (2012) 37 copie
Pavese giovane (1990) 34 copie
Saggi letterari (1951) 26 copie
La bella estate (1949) 25 copie
Ciau Masino (1969) 22 copie
Antología poética (1980) 21 copie
Poesie edite e inedite (1962) 21 copie
Racconti (1953) 19 copie
Tutti i racconti (2002) 19 copie
De tu tierra (1990) 19 copie
Romanzi : Volume secondo (1961) 19 copie
Racconti (1953) 16 copie
Notte di festa (2005) 14 copie
I capolavori (2008) 12 copie
Oeuvres (2008) 12 copie
La trilogie des machines (2000) 10 copie
Novelle Del Novecento: An Anthology (Italian Texts) (1966) — Collaboratore — 10 copie
Lettere 1926-1950, v. 2 (1966) 9 copie
Gedichte (1986) 9 copie
Tutti i romanzi (2000) 9 copie
Los Cuentos (2010) 8 copie
Lettere 1926-1950, v. 1 (1966) 8 copie
Cartas : 1926-1950 (1973) 8 copie
53 poesie 8 copie
El oficio de poeta (1994) 7 copie
Relatos II (1981) 6 copie
Summer Storm (1966) 6 copie
Senin Koylerin (1998) 5 copie
Relatos (1988) 5 copie
Lettere: 1924-1944 (1966) 5 copie
Die Nacht von San Rocco (1971) 5 copie
Le Poesie (2014) 4 copie
La playa y otros relatos (1975) 4 copie
Cesare Pavese (1996) 3 copie
Treballar cansa (1978) 3 copie
Salut Masino (1973) 3 copie
Ilus suvi (1980) 3 copie
Camino de sangre (2010) 3 copie
Moon and Bonfires (1960) 3 copie
Innan tuppen gal (2010) 3 copie
A praia 3 copie
Yalniz Kadinlar Arasinda (2015) 3 copie
Tepelerdeki Seytan (2000) 3 copie
Guzel Yaz (1998) 3 copie
Dialoghi con Leucò (2021) 2 copie
YOLDAŞ 2 copie
Il taccuino segreto (2020) — Autore — 2 copie
CUENTOS 2 copie
Der böse Blick (1987) 2 copie
Poemas 2 copie
Lettres 1924-1950 (1971) 2 copie
Uomini e topi 2 copie
E avrà i tuoi occhi (2021) 1 copia
Ay Isigi ve Senlik Atesi (2021) 1 copia
Samtaler med Leuka (2021) 1 copia
Poésies 1 copia
Lepo leto (2011) 1 copia
Pavese Cesare 1 copia
53 Poesie 1 copia
PLAJ 1 copia
Le Bel Été 1 copia
De aarde en de dood (1989) 1 copia
Hapishane (2021) 1 copia
Romanzi I 1 copia
Festa grande 1 copia
Nacktheit. Erzählungen. (1997) 1 copia
Velika vatra (2016) 1 copia
Szép nyár (1974) 1 copia
O demo nos outeiros (1949) 1 copia
2008 1 copia
Piękne lato 1 copia
Dve cigarete 1 copia
Στήν παραλία (1990) 1 copia
Le métier de vivre I (1977) 1 copia
Cesare Pavese: Poesie (1987) 1 copia
Relatos (1982) 1 copia
Yasama Savasi 1 copia
Şiirler 1 copia
Selected Works of Cesare Pavese (1995) — Autore — 1 copia
Sämtliche Gedichte (1988) 1 copia
RELATOS I. RELATOS II. (1981) 1 copia
Travailler use (2021) 1 copia
La plage (2021) 1 copia
La bella estate (2019) 1 copia
Leuko Ile Söylesiler (2021) 1 copia
De zee 1 copia
Poesia 1 copia

Opere correlate

Moby Dick (2014) — Traduttore, alcune edizioni35,550 copie
Dedalus (1916) — Traduttore, alcune edizioni21,263 copie
Il sentiero dei nidi di ragno (1947) — Postfazione, alcune edizioni1,688 copie
Il 42° parallelo (1930) — Traduttore, alcune edizioni1,637 copie
The Assassin's Cloak: An Anthology of the World's Greatest Diarists (2000) — Collaboratore, alcune edizioni554 copie
The Rag and Bone Shop of the Heart: A Poetry Anthology (1992) — Collaboratore — 393 copie
Against Forgetting: Twentieth-Century Poetry of Witness (1993) — Collaboratore — 336 copie
Italian Short Stories 1: Parallel (1965) — Collaboratore — 171 copie
The Penguin Book of Italian Short Stories (2019) — Collaboratore — 140 copie
Gods and Mortals: Modern Poems on Classical Myths (1684) — Collaboratore — 69 copie
The Penguin Book of Italian Short Stories (1969) — Collaboratore — 21 copie
Relatos italianos del Siglo XX (1974) — Collaboratore — 13 copie
Meesters der Italiaanse vertelkunst (1955) — Collaboratore — 11 copie
Modern Italian Short Stories (1954) — Collaboratore — 6 copie
Onthebus No. 8 and 9 — Collaboratore — 6 copie
Italien erzählt : elf Erzählungen — Autore — 5 copie
Antaeus No. 23, Autumn 1976 — Collaboratore — 1 copia

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Informazioni generali

Nome canonico
Pavese, Cesare
Data di nascita
1908-09-09
Data di morte
1950-08-27
Luogo di sepoltura
Cimitero Monumentale di Torino, Torino, Piemonte, Italia
Sesso
male
Nazionalità
Italia
Luogo di nascita
Santo Stefano Belbo, Piemonte, Italia
Luogo di morte
Torino, Italia
Causa della morte
overdose
Luogo di residenza
Santo Stefano Belbo, Piemonte, Italia
Torino, Italia
Istruzione
Università di Torino, Italia
Attività lavorative
poeta
Critico letterario
scrittore
traduttore
Organizzazioni
Partito Comunista Italiano
Einaudi Editore
Premi e riconoscimenti
Premio Strega (1950)
Breve biografia
Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino, anche se le colline del suo paese rimarranno per sempre impresse nella mente dello scrittore e si fonderanno pascolianamente con l’idea mitica dell’infanzia e della nostalgia. Il padre di Cesare muore quasi subito: questo episodio inciderà molto sull’indole del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso.

Molti si sono occupati dell’adolescenza di Cesare, di questo ragazzo timido, amante dei libri, della natura e sempre pronto ad isolarsi dagli altri, a nascondersi, a inseguire farfalle e uccelli, a sondare il mistero dei boschi.

Davide Laiolo, suo grande amico, in un libro intitolato Il vizio assurdo tende a evidenziare due elementi fondamentali: la morte del padre e il conseguente irrigidirsi della madre che, con la sua freddezza e il suo riserbo, attuerà un sistema educativo più da padre asciutto e aspro che non da madre affettuosa e dolce. L’altro elemento è la tendenza al «vizio assurdo», la vocazione suicida. Ritroviamo infatti sempre un accenno alla mania suicida in tutte le lettere del periodo liceale, soprattutto quelle dirette all’amico Mario Sturani.

Questo mondo adolescente di Cesare, così difficile, così traboccante di solitudine e di isolamento per Monti sarebbe invece il risultato della introversione tipica della adolescenza, per Fernandez la risultante di traumi infantili (morte del padre e mondo femminile in cui viene allevato, desiderio inconscio di autopunizione). Per altri ancora invece il dramma della impotenza sessuale, indimostrabile forse, ma a momenti rintracciabile in alcune pagine de Il mestiere di vivere.

Qualunque sia l’interpretazione che si vuole dare a questi primi anni, non si può negare che si profila subito in essi la storia di un destino tragico e amaro, evidenziato da un disperato bisogno d’amore, da una ricerca di apertura verso gli altri, verso il mondo, verso le relazioni interpersonali, destino di solitudine, di amarezza, di disperata sconfitta. Una grande dicotomia tra l’attrazione per la solitudine e il bisogno di non essere solo.

Dibattuto tra gli estremi di una orgogliosa affermazione di sé e della constatazione di una sua inadattabilità alla vita, Pavese sceglie fin da ragazzo la letteratura «come schermo metaforico della sua condizione esistenziale» (Venturi), in essa cercando la risoluzione dei suoi conflitti interiori.

Studia nell’Istituto Sociale dei Gesuiti e nel Ginnasio moderno, quindi passa al Liceo D’Azeglio, dove avrà come professore un maestro d’umanità, Augusto Monti, al quale molti intellettuali torinesi di quegli anni devono tanto. L’ingresso al liceo D’Azeglio è di somma importanza per la vita di Cesare, il quale tra il 1923 e il 1926 partecipa a quel rinnovamento delle coscienze che non solo esercitava l’azione educatrice di Monti ma che trovava concretezza e palpabilità nell’opera di Gramsci e Gobetti. Dapprima Pavese è assai riluttante a impegnarsi attivamente nella lotta politica, verso la quale egli non nutre grande interesse, anche perché tende a fondere sempre il motivo politico con quello più propriamente letterario. È però attratto dai giovani che seguono Monti: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Tullio Pinelli, Massimo Mila, i quali non aderiscono né al movimento di Strapaese (legato al fascismo) né a quello di Stracittà (movimento apparentemente progressivo ma in realtà anch’esso trincerato dietro lo scudo fascista), in opposizione ai quali essi coniano la sigla Strabarriera.

Cesare trova gusto nelle discussioni, si trova a suo agio nelle trattorie, assieme agli operai, ai venditori ambulanti, alla gente qualunque: molti di questi saranno un giorno protagonisti dei suoi romanzi. Ha la sensazione di essere giovane, rinato e, negli ultimi anni dell’Università, nella sua vita privata entra colei che sarà al centro della sua anima, «la donna dalla voce rauca». Cesare appare addirittura trasformato: per tutto il tempo durante il quale ha la sensazione che questa donna gli sia vicina, diventa cordiale, umano, affettuoso, aperto al colloquio con gli altri. Quella donna gli riporta l’incanto dell’infanzia, il suo viso, quando non la sente sua non è più il mattino chiaro, è una nube, ma una nube dolcissima e, anche se vive altrove, gli riflette sempre «lo sfondo antico». Quelle colline e quel cielo tornano ancora umanissimi come il «dolce incavo della sua bocca».

Nel 1930 (a soli ventidue anni) si laurea con una tesi Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman e comincia a lavorare alla rivista «La cultura», insegnando in scuole serali e private, dedicandosi alla traduzione della letteratura inglese e americana nella quale acquisisce ben presto fama e notorietà. Gli anni del liceo e poi dell’università portano nella vita del ragazzo solitario il suggello dell’amicizia: tutto contribuisce ad umanizzare le sue rabbiose letture: le dispute letterarie, l’eccitante accostamento al mondo vietato della politica, i caffè concerto, i miti sfolgoranti dell’industria cinematografica, le marce in collina, le vogate sul Po che rinvigoriscono il suo corpo, precocemente squassato dall’asma. In confronto al paese, la città si presenta come una grande fiera, come una festa continua. Di giorno la vita è piena, i negozi sono tanti, i tram sferragliano e dovunque si ascolta musica.

Nel 1931 muore la madre, pochi mesi dopo la laurea: per l’ammirazione mai manifestata e per il rimorso di non aver mai saputo dimostrare il suo affetto e la sua tenerezza per lei, la sua morte segna un altro solco amaro nella vita dello scrittore. Rimasto solo, si trasferisce nell’abitazione della sorella Maria, presso la quale resterà fino alla morte.

Intanto sempre nel 1931 viene stampata a Firenze la sua prima traduzione: Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis. Il mestiere di traduttore ha tale importanza non solo nella vita di Pavese ma per tutta la cultura, da aprire uno spiraglio a un periodo nuovo nella narrativa italiana. Con le sue traduzioni, egli dà la misura di quanto sia grande la sua ansia di libertà, la sua esigenza di rompere lo schema delle retoriche nazionalistiche e aprire a sé e agli altri nuovi orizzonti culturali, capaci di smuovere quelle incrostazioni vecchie e nuove che avevano fatto ammalare la società italiana. Egli vuole presentare coscientemente «il gigantesco teatro dove, con maggior franchezza che altrove, veniva recitato il dramma di tutti». Il fascismo negava ogni iniziativa alle grandi masse, condannava e impediva gli scioperi, mentre in quei romanzi americani si leggeva la possibilità di creare nuovi rapporti sociali.

Contro la monotonia della prosa d’arte e diversamente dall’Ermetismo, Pavese dimostrava come il contatto con le grandi masse americane attraverso quei romanzi vivificasse anche il linguaggio, con l’inserimento della parlata popolare, sì da renderlo congeniale con i nuovi contenuti. Di tutti, quello che diventa la coscienza del suo destino è Peter Mathiessen (lo scrittore della Natura: Il leopardo delle nevi, L’albero dove è nato l’uomo, Il silenzio africano NdR.), per la comune ricerca del linguaggio, per il senso tragico e per il considerare inutile la vita, nonché per l’estremo gesto suicida.

Nel 1933 sorge la casa editrice Einaudi al cui progetto Pavese partecipa con entusiasmo per l’amicizia che lo lega a Giulio Einaudi: questi sono gli anni dei suoi momenti migliori con «la donna dalla voce rauca», una intellettuale laureata in matematica e fortemente impegnata nella lotta antifascista: Cesare accetta di far giungere al proprio domicilio lettere fortemente compromettenti sul piano politico: scoperto, non fa il nome della donna e il 15 maggio 1935 viene condannato per sospetto antifascismo a tre anni di confino da scontare a Brancaleone Calabro. Tre anni che si ridurranno poi a meno di uno, per richiesta di grazia: torna infatti dal confino nel marzo del 1936, ma questo ritorno coincide con un’amara delusione: l’abbandono della donna e il matrimonio di lei con un altro. L’esperienza (che sarà il soggetto del suo primo romanzo, Il carcere), e la delusione giocano insieme per farlo sprofondare in una crisi grave e profonda, che per anni lo terrà avvinto alla tentazione dolorosa e sempre presente del suicidio.

Si richiude in un isolamento forse peggiore di quello adolescenziale ma ancora una volta a salvarlo è la letteratura, il suo «valere alla penna».

Nel 1936 compare a Firenze, per le edizioni Solaria, la prima raccolta di poesie Lavorare stanca che comprendeva le poesie scritte dal 1931 al 1935 e che fu letta da pochi. Una seconda edizione, comprendente anche le poesie scritte fino al 1940, fu pubblicata nel 1942 da Einaudi. In quegli anni scrive ancora racconti, romanzi brevi, saggi. Esce nel 1941 la sua prima opera narrativa, Paesi tuoi, «ambiantata in quelle colline e vigne delle Langhe, che accanto alla Torino dei viali e dei caffè, dei fiumi e delle osterie, costituisce l'altro grande luogo mitico della poetica pavesiana» (Emilio Cecchi). Sembra aver riacquistato la fiducia in se stesso e nella vita e, soprattutto frequentando gli intellettuali antifascisti della sua città, pare aver maturato anche una coscienza politica. Tuttavia non partecipa né alla guerra né alla Resistenza: chiamato alle armi, viene dimesso perché malato di asma.

Destinato a Roma per aprire una sede della Einaudi, si trova isolato e in lui prevale la ripugnanza fisica per la violenza, per gli orrori che la guerra comporta e si rifugia nel Monferrato presso la sorella, dove vivrà per due anni «recluso tra le colline» con un accenno di crisi religiosa e soprattutto con la certezza di essere diverso, di non sapere partecipare alla vita, di non riuscire aessere attivo e presente, di non essere capace di avere ideali concreti per vivere (motivi che ritorneranno nel Corrado de La casa in collina e che in un certo senso riportano alla inettitudine sveviana e quindi al Decadentismo).

Dopo la fine della guerra si iscrive al Partito comunista ma anche questa scelta, come la crisi religiosa, altro non era se non un ennesimo equivoco, una nuova maniera di prendere in giro se stesso, di illudersi di possedere quella capacità di aderenza alle cose, alle scelte, all’impegno che invece gli mancavano. La sua probabilmente era una sorta di tentativo di riparazione, di voglia di mettere a posto la coscienza e del resto ancora il suo impegno è sempre letterario: scrive articoli e saggi di ispirazione etico-civile, riprende il suo lavoro editoriale, riorganizzando la casa editrice Einaudi, si interessa di mitologia e di etnologia, elaborando la sua teoria sul mito, concretizzata nei Dialoghi con Leucò.

Recatosi a Roma per lavoro (dove soggiornerà per un periodo stabilmente, a parte qualche periodica evasione nelle Langhe) conosce una giovane attrice: Constance Dowling. È di nuovo l’amore. La giovane con le sue efelidi rosse e forse in qualche modo con una sincera ammirazione per un uomo ormai famoso e noto, ricco di intelletto e capace di una forte emotività, accende ancora una volta Cesare, ma poi va via, lo abbandona. Costance torna in America e Pavese scrive Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…

A questo secondo abbandono, alle crisi politiche e religiose che riprendono a sconvolgerlo, allo sgomento e all’angoscia che lo assalgono nonostante i successi letterari (nel 1938 Il compagno vince il premio Salento; nel 1949 La bella estate ottiene il premio Strega; pubblica La luna e i falò, considerato il suo miglior racconto) alla nuova ondata di solitudine e di senso di vuoto non riesce più a reagire. Logorato, stanco, ma in fondo perfettamente lucido, si toglie la vita in una camera dell' albergo Roma di Torino ingoiando una forte dose di barbiturici. È il 27 agosto del 1950. Solo un'annotazione, sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, sul comodino della stanza «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.».

Aveva solo 42 anni.

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Discussioni

Group Read, January 2018: The Moon and the Bonfires in 1001 Books to read before you die (Gennaio 2018)

Recensioni

La gentile societta e l’esilissimo equino mi hanno regalato “La luna e i falò” che avevo letto non molto tempo fa e che non mi aveva entusiasmato. Lo riprendo in mano, nelle more ho letto “Lavorare stanca” che ho considerato un capolavoro e la seconda lettura è andata sicuramente meglio della prima. A dimostrazione che i libri vanno inquadrati in un contesto ordinato per poterli giudicare. Il protagonista, Anguilla, è nato nella miseria delle langhe ed è stato adottato da una famiglia di contadini. Cresciuto perché sarebbe diventato uomo e così avrebbe potuto mettere le sue braccia a disposizione della famiglia di adozione. Poi negli anni Anguilla se ne è andato dal piccolo paese ed ha fatto fortuna negli Stati Uniti. Il romanzo racconta le sensazioni che l’uomo vive al ritorno nel paese d’origine. La luna che illumina il paese e i falò accesi dai contadini per invocare il buon raccolto sono il filo conduttore del racconto Lo stile di Pavese è inconfondibile, la capacità di scrittura impressionante, ma anche questa volta qualcosa nella lettura mi disorienta, ecco manca il piacere che trovo nei grandi libri, la felicità nell’immersione. Ma devo dire che rileggere questo libro, tra l’altro in questa edizione con un ricco corredo antologico di critica letteraria, era doveroso, giudizio troppo negativo quello della prima volta, e ancora un merito alla coppietta che più bella che c’è.… (altro)
½
 
Segnalato
grandeghi | 26 altre recensioni | May 13, 2024 |
La luna e i falò, ultimo romanzo di Cesare Pavese, è denso di significato ed è la sintesi dei temi cari all'autore. Come mi era già accaduto leggendo Paesi tuoi (qui la mia recensione), Pavese ha la capacità di catapultare il lettore in un mondo contadino ormai quasi perduto e di farglielo percepire a tutto tondo.

Ci sono, infatti, in questo romanzo un aspetto fanciullesco della campagna e un aspetto più adulto, a tratti oscuro. Quando il protagonista ritorna in campagna, si tratta di un ritorno nei luoghi della sua giovinezza, con gli occhi della quale tutto gli sembrava luminoso e pieno di vita. Il suo sguardo di adulto, invece, coglie le ombre di questo mondo apparentemente bucolico e semplice.

De La luna e i falò, poi, mi ha colpito moltissimo la solitudine che traspare dalle pagine. Il protagonista, orfano ed emigrato in cerca di fortuna, ritorna nella sua terra natale in cerca delle sue radici. Tuttavia, ben presto si renderà conto di essere troppo cambiato per trovare alcunché nella campagna dov'è cresciuto: il suo vecchio amico Nuto gli dirà, infatti, che, prima di pontificare sull'ininfluenza delle fasi lunari e dei falò propiziatori, avrebbe dovuto tornare a essere un contadino. Così il protagonista si ritroverà incapace di riadattarsi alla vita di campagna, pur non essendo del tutto a suo agio nella vita di città: la sua solitudine sarà tanto profonda proprio per il suo essere sradicato, per la sua condizione esule senza una famiglia dalla quale partire e ritornare.

Sapendo che La luna e i falò fu scritto da Pavese tra settembre e novembre 1949 e che nell'agosto 1950 l'autore si sarebbe suicidato in una stanza d'albergo, questo senso di solitudine incolmabile mi ha scosso parecchio. Forse mi sono autosuggestionata, ma l'idea che qualcuno di senta così solo da non poter essere raggiunto da nessuno dei suoi affetti mi ha dato molto da pensare. “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”: questo è stato il biglietto di addio di Pavese, sulla falsariga di quello di Majakovskij. Come a dire, sono passato, ho rotto le scatole a qualcuno e qualcuno le ha rotte a me: abbiate pazienza, ora levo le tende e amici come prima.
… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 26 altre recensioni | Sep 12, 2023 |
Paesi tuoi è un libro dal sapore antico: ci riporta indietro in un tempo in cui campagna e città erano davvero i due mondi inconciliabili de Il topo di città e il topo di campagna di Esopo.

Berto e Talino si sono incontrati in prigione: il primo è un torinese avvezzo alla vita cittadina, mentre il secondo è un contadino. Già nella descrizione del loro comportamento all'uscita dal carcere avvertiamo la dicotomia città/campagna. Talino è palesemente impacciato davanti alle dinamiche cittadine così familiari a Berto, che, nei suoi pensieri, non fa che compatire l'ignoranza del compagno.

La situazione, però, si capovolge dal momento in cui Berto si lascia convincere ad andare a casa di Talino, allettato da un lavoro certo. Le dinamiche della campagna e, in particolare, della famiglia di Talino disorientano Berto – e, insieme a lui, anche noi lettori siamo sconcertati da ciò che avviene in quella famiglia.

La prosa di Pavese, infatti, nella sua scarna essenzialità, si riempie di allusioni sessuali, di mele addentate e sguardi segreti, e questo gioco di dire-non-dire finirà per nascondere, o perlomeno per rendere “ignorabile”, il lato oscuro di questa famiglia contadina.

Infatti, se da un lato Berto (e noi lettori con lui) non può che condannare la violenza, sia verbale sia fisica, che si scatena tra le mura della casa paterna di Talino, dall'alto non è in grado di affrontarla. La sua mente cittadina e civilizzata non riesce a inquadrata e metabolizzare la brutalità di Talino e quindi decide di ignorarla, di ascriverla al rassicurante regno del fraintendimento.

L'epilogo, devastante nella sua insensata ferocia, costringerà Berto a vedere la realtà ancestrale di un mondo senza umanità: gli occhi di Talino diventano quelli di una cane braccato e i suoi familiari, così assuefatti alla violenza da considerarla inevitabile, tornano alla vita quotidiana con una rapidità incomprensibile a Berto, che, benché capace di inorridire di fronte alla brutalità, si è rivelato altrettanto incapace dal cercare di evitarla.
… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 2 altre recensioni | Sep 1, 2023 |
Ho iniziato a leggere Cesare Pavese da ragazzo e poi l’ho abbandonato. E mi riavvicino alle sue poesie ormai con una bella età, l’approccio è necessariamente diverso. Non sono un buon lettore di poesie, anzi, comprendo la bellezza di alcune, ne resto affascinato, ma le raccolte mi lasciano sempre spaesato. Questa volta no. Leggo e rileggo queste poesie e mi ci trovo, mi rispecchio nell’uomo solo di “Lavorare stanca” o nella triste constatazione di “Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi”. Ma nella poesia di Pavese, nei suoi paesaggi non c’è solo la difficoltà di un uomo ad affrontare quel grande macigno che è la vita, ma tutta la cultura del secolo scorso, la terra di origine diventa una forte radice che non pone limiti. Un libretto da tenere sul comodino per leggere e rileggere gli splendidi versi di Pavese, senza il vincolo della tradizionale metrica, liberi e così liberandosi dal peso del vivere. Poi arriverà la morte ed avrà i tuoi occhi. Meraviglioso.… (altro)
 
Segnalato
grandeghi | 2 altre recensioni | Feb 20, 2023 |

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