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Sto caricando le informazioni... Station Eleven (edizione 2015)di Emily St. John Mandel (Autore)
Informazioni sull'operaStazione undici di Emily St. John Mandel
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D'accordo, questo è un problema mio: ma per me è stato davvero difficile leggere un libro che parla di un mondo post-apocalisse, con l'apocalisse in questione nata da una pandemia influenzale. Forse non è nemmeno la pandemia di per sé che mi ha angosciato, quanto il vedere come tutta la civiltà che do per scontata si sia sbriciolata in pochi giorni, forse anche molto più di quanto ci si possa aspettare: mi pare impossibile che al ventesimo anno dopo la fine del mondo nessuno abbia ancora cominciato a produrre elettricità anche se in piccolo, e nessuno sia andato a saccheggiare le biblioteche per cercare informazioni su come fare alcune cose di base. Eppure i protagonisti dicono che ormai la vita è molto più tranquilla che dieci anni prima... insomma non siamo più alla pura sopravvivenza. Emily Mandel - St.John è il suo secondo nome... - lavora bene con i continui salti tra passato e presente, e costruisce una ragnatela dove i vari protagonisti man mano si avvicinano e allontanano. Certo: nonostante il libro termini con una nota positiva verso un nuovo inizio, c'è un attaccamento quasi morboso sul momento in cui è giunta la fine del mondo, come quando si legge "a pranzo ha bevuto il penultimo caffè della sua vita". Leggendolo in inglese ho notato che spesso il sesso dei personaggi è tenuto nascosto per molto tempo, come nel caso del "conductor", cioè il direttore d'orchestra; una scelta indubbiamente voluta. Un romanzo apocalittico che esce dai soliti schemi e lascia da parte l'azione per assumere un tono più intimo ed introspettivo. Si da molto spazio alle riflessioni dei personaggi ed ai loro ricordi precedenti al collasso della civiltà e nonostante una trama inconsistente il ritmo della narrazione resta sempre sostenuto, grazie ad una struttura dinamica fatta di salti temporali, flashback e rimandi. Qui però finiscono i lati positivi, perché il problema è che si va avanti a leggere sperando che questi accenni portino ad una rivelazione, che tutto trovi un senso nel finale: invece la conclusione arriva da un momento all'altro, in anticlimax, lasciandoci con più domande che risposte. Ed allora ci si rende conto che questo è un romanzo vuoto, senza una storia portante e senza personaggi carismatici, composto per la maggiorparte da spaccati di vita insulsi; capisco che lo scopo dell'autrice fosse quello di mostrare persone normali alle prese con l'impensabile, ma se il risultato è uno svolgimento piatto (penso sia uno dei pochi libri di fantascienza senza nemmeno un colpo di scena) significa che qualcosa non ha funzionato. Lo stile è quello tipico delle opere di intrattenimento, semplice e scorrevole senza nessun guizzo. Ammetto che durante la lettura non mi sono annoiata ma non mi sono nemmeno appassionata, leggevo per arrivare ad un punto che non è arrivato mai. Ennesimo libro che andrà a rimpinguare la categoria dei "carini-ma-dimenticabili".
Station Eleven is not so much about apocalypse as about memory and loss, nostalgia and yearning; the effort of art to deepen our fleeting impressions of the world and bolster our solitude. Mandel evokes the weary feeling of life slipping away, for Arthur as an individual and then writ large upon the entire world. Survival may indeed be insufficient, but does it follow that our love of art can save us? If “Station Eleven” reveals little insight into the effects of extreme terror and misery on humanity, it offers comfort and hope to those who believe, or want to believe, that doomsday can be survived, that in spite of everything people will remain good at heart, and that when they start building a new world they will want what was best about the old. Mandel’s solid writing and magnetic narrative make for a strong combination in what should be a breakout novel. Premi e riconoscimentiMenzioniElenchi di rilievo
One snowy night a famous Hollywood actor slumps over and dies onstage during a production of King Lear. Hours later, the world as we know it begins to dissolve. Moving back and forth in time-from the actor's early days as a film star to fifteen years in the future, when a theater troupe known as the Traveling Symphony roams the wasteland of what remains-this suspenseful, elegiac, spellbinding novel charts the strange twists of fate that connect five people: the actor, the man who tried to save him, the actor's first wife, his oldest friend, and a young actress with the Traveling Symphony, caught in the crosshairs of a dangerous self-proclaimed prophet. Sometimes terrifying, sometimes tender, Station Eleven tells a story about the relationships that sustain us, the ephemeral nature of fame, and the beauty of the world as we know it. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
Discussioni correntiNessunoCopertine popolari
Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813.6Literature English (North America) American fiction 21st CenturyClassificazione LCVotoMedia:
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Cosa scrivere di Station Eleven? È uno strano libro: tra le sue pagine non ho trovato niente di nuovo, niente che non avesse già letto in altri romanzi. Compare un nuovo virus influenzale e la malattia che si diffonde rapidamente e altrettanto rapidamente uccide, senza dare tempo al personale sanitario o a chicchessia di prendere le giuste precauzioni o organizzare un lockdown. Insomma, SARS-CoV-2 e COVID-19 scansatevi. Finisce la civiltà per come la conosciamo e seguiamo un gruppo di persone in questa nuova realtà post-apocalittica.
Però.
Però questo romanzo mi è ronzato in testa per giorni e ci sono diversi passaggi nei quali ha toccato i miei punti deboli: è una storia sulle reazioni umane a un evento così catastrofico e poche cose mi commuovono come la messa a nudo della fragilità umana. St. John Mandel è stata molto abile nel mantenere l’equilibrio tra gli estremi che spesso caratterizzano questo tipo di storie, cioè non è mai troppo catastrofista e non è mai troppo ottimista: i suoi personaggi si muovono in un mondo abitato da persone traumatizzate e da giovani che non hanno mai conosciuto altro che quella civiltà disfatta.
Il prima diventa un ricordo, un rimpianto o un racconto meraviglioso. Un tempo c’era energia elettrica a illuminare le notti. Perché non ho imparato com’è fatto e come funzionava un computer per poterlo spiegare? Davvero si poteva volare con gli aerei? Il dopo, di conseguenza, viene plasmato dalla reazione al trauma, che varia da persona a persona, perché diverse sono le loro idee, le loro storie, i loro caratteri. Non è detto che sia una reazione positiva; a volte è solo la presa di coscienza di non poter vivere dopo il collasso della tua civiltà. Magari perché l’antidepressivo che prendevi non esiste più.
Penso che Station Eleven mi sia rimasto così tanto in testa semplicemente perché, senza sentimentalismi, racconta delle piccole grandi cose che rendono piacevole (e a volte possibile) la nostra esistenza. È vero che la nostra società ha dei problemi macroscopici – anzi, direi che alcuni sono proprio giganteschi – ma abbiamo anche inventato un sacco di cose belle. Dobbiamo “solo” diventare più bravз a difenderle e condividerle. “Solo”. ( )