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Kitchen (A Black cat book) di Banana…
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Kitchen (A Black cat book) (originale 1988; edizione 2006)

di Banana Yoshimoto, Megan Backus (Traduttore)

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E' un romanzo sulla solitudine giovanile. Per Mikage, la protagonista rimasta sola dopo la morte della nonna, le cucine rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la grande trovata di Banana ©· che la famiglia si possa non solo scegliere, ma anche inventare. Cos©Ơ il padre del giovane amico Yuichi pu©ø diventare madre e Mikage pu©ø eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguit© . Con questo romanzo, Banana Yoshimoto si ©· imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine del Giappone sconosciuta agli occidentali… (altro)
Utente:jgumbert
Titolo:Kitchen (A Black cat book)
Autori:Banana Yoshimoto
Altri autori:Megan Backus (Traduttore)
Info:Grove Press (2006), Edition: 1st Black cat ed, Paperback, 160 pages
Collezioni:La tua biblioteca
Voto:
Etichette:Fiction, 1900s, Japanese, read 09

Informazioni sull'opera

Kitchen di Banana Yoshimoto (1988)

Aggiunto di recente daElanna76, clorofolle, bamalibrarylady, hoodlumpriest666, Donnela, biblioteca privata, KBTinycat24, bodhiseia, erayna
Biblioteche di personaggi celebriJuice Leskinen
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Il lato agrodolce della quotidianità

In letteratura, come in ogni arte narrativa e spesso anche nella vita reale, si tende a porre come fulcro dei pensieri grandi cose: la lotta tra il bene e il male, i sogni, la competizione sportiva o professionale, la salvezza da attentati alla propria vita ecc.
E il tema delle “piccole cose” è ormai fin troppo noto, sicuramente ne avrete sentito parlare ad esempio quando la professoressa al liceo vi spiegava la poetica di Giovanni Pascoli o la leggevate dal manuale di antologia.

Ma, come tutti i grandi temi della letteratura, anche questo non invecchia mai, perché fa parte della nostra vita e dei modi con cui riusciamo laddove possibile a preservare la nostra sanità mentale.
Ed è di questo e di molto altro che parla questo debutto nella forma romanzesca di Banana Yoshimoto, uscito nel 1988, un libro dai toni giovanili, dolci e aggraziati e che per questo può non piacere a chi ripudia a tutti i costi un certo tipo di approccio delicato ed etereo, che potrebbe essere considerato per partito preso banale o stucchevole.

La trama è molto semplice: una ragazza orfana ha perso anche i suoi nonni e, ormai rimasta sola come un cane abbandonato, viene accolta in casa di un amico di famiglia di età simile alla sua con sua madre, una donna di nome Eriko che si scoprirà già dall’inizio essere transessuale. Per gli anni, che definirei “non sospetti” rispetto alle libertà sessuali che siamo riusciti ad ottenere oggi, era sicuramente una scelta coraggiosa, se contiamo che Eriko non è stata dipinta come un personaggio negativo o come una macchietta comica dai costumi eccentrici e licenziosi, ma piuttosto come un personaggio dalla grande dignità e saggezza, che a differenza di quanto accade ad esempio in certe serie Netflix, non ha una caratterizzazione fondata solo sui propri aspetti LGBTQ+, ma questi sono solo una parte del tutto, esattamente come dovrebbe essere per qualsiasi personaggio scritto a mestiere.

Da queste premesse possiamo già immaginare un altro dei temi fondamentali: quello della famiglia acquisita che riesce ad essere forse anche più importante della famiglia di sangue.
In effetti, nel male del lutto, le circostanze sembrano sì verosimili ma quasi sognanti e liriche nella loro improbabilità: in pochi mesi si è creata una chimica grandissima con persone appena conosciute, tali da creare un rapporto così ricco e sfaccettato, che il lettore può percepire in una gradualità ben congeniata nonostante la brevità del testo. Non ci sono zii o cugini grandi con cui litigare per il testamento o per le nuove abitudini da prendere, è un’armonia generata da una straordinaria congiuntura di anime ed eventi e che per questo può stupire.

E anche la scelta di rendere Eriko transgender si lega ad un linguaggio simbolico perché, come una famiglia adottiva è in grado di valere quanto una famiglia di sangue, il romanzo sembra dirci che, per quanto biologicamente uomo, Eriko rimane, nell’essenza, una donna: un’equivalenza che evidenzia il tema della scelta, che nonostante la crudeltà della sorte, capace di troncare interi progetti di vita, è ciò che ci fa sentire vivi e che ci dà un senso di identità. Se infatti Mikage Sakurai non aveva molta scelta per vivere dopo la morte dei suoi tutori, capiamo che Eriko, da genitore e fonte di guadagno ha compiuto una seconda scelta importante nella volontà di accoglierla in maniera disinteressata, nonostante non avesse alcun legame di parentela con lei. E anche per questo viene un po’ presa a modello da Mikage, perché ha compiuto scelte impopolari e potenzialmente pericolose, che però sono servite a renderla felice mentre molti altri, evitando di fare delle scelte, sono invece rimasti in una sorta di non-vita interiore nonostante non siano ancora sotto un cipresso, proprio perché non sono stati in grado di autodeterminarsi.

E Mikage, come ci dice il titolo del romanzo, è legata al mondo della cucina, che è la sua passione. Anche questa potrebbe essere una scelta non casuale, ma l’importante è il ruolo che questa occupa nel linguaggio della storia. La cucina è, dopotutto, la disciplina dei sensi per eccellenza, ma non nella maniera “dissoluta” del termine. È una disciplina che ritaglia, dietro una necessità del fisico, dei piccoli scorci di gioia della quotidianità, dei momenti di condivisione intorno ad un tavolo, dei ricordi che potrebbero rimanere scolpiti nella memoria, nonostante non si tratti di plateali ventate di novità come potrebbero esserlo una promozione di lavoro o un viaggio nelle metropoli Statunitensi.

E un simile ruolo hanno anche gli oggetti (come gli stessi componenti della cucina di casa), i paesaggi, che per quanto facciano parte della stessa città in cui i protagonisti trascorrono la loro vita, contribuiscono a scolpire ricordi che creano un enorme effetto nostalgia nei personaggi ma permettono anche di dare un senso ad ogni dettaglio in cui vivono.

Colpisce, in questo romanzo, l’attenzione al presente oltre che al passato visto con nostalgia o al futuro temuto, un presente sentito nella comodità di un divano, nella bontà di un alimento, nel tono cullante della pioggia. Può sembrare un discorso edonista e frivolo, ma si tratta di un discorso sensoriale morigerato e non fine a sé stesso, come i fiumi dell’alcool o la droga, si tratta di dettagli ancora più ordinari che, se visti dalla giusta prospettiva, creano un legame biunivoco tra i sensi e i legami umani e ambedue si fortificano a vicenda quando la scena è più vivida e piena, quando si riesce a trovare l’unico nell’apparente ripetitività della quotidianità, un legame di cui la gastronomia, almeno in una prospettiva casalinga, è un po’ la sintesi.
Alla fine delle prime due parti: Kitchen e Plenilunio (che compongono un unico romanzo), nell’edizione Feltrinelli inizia un racconto staccato che la scrittrice giapponese ha in realtà scritto due anni prima, dal titolo “Moonlight Shadow”: una sorta di prototipo fantastico e un po’ più immaturo del romanzo.

La similitudine tra le due opere è evidente, poiché anche questo tratta il tema dell’elaborazione del lutto, nonché di nuove conoscenze che cambieranno la vita di una protagonista neo-adulta. Insomma, non si può fare a meno di pensare che questo racconto non aggiunga molto al lettore dopo aver letto un romanzo che è quasi una versione più compiuta e profonda di Moonlight Shadow. Anche qui ci sono però alcuni spunti interessanti che rendono la lettura gradevole.

Se prima ho parlato della sensorialità come collante e catalizzatore di ricordi piacevoli, in questo racconto si avverte ancor più che in Kitchen l’altro lato della medaglia: quando qualcuno o qualcosa viene a mancare, alcuni ricordi nitidi e potenti possono tornare come flash interiori ad ogni input dell’ambiente, evocando uno stato d’animo negativo, il senso d’angoscia e di solitudine. E, se questo discorso può apparire scontato perché lo proviamo nella vita di tutti i giorni, c’è anche un’esigenza singolare, nel suo lirismo: la volontà di trovare un ordine anche nella negatività della morte, di cercare un addio programmato e quindi, oltre ad una rievocazione nostalgica, una quadratura in un percorso di vita che sembra essersi concluso in una maniera troppo repentina e priva di poesia.

Ed è per questo che la contrapposizione tra la casualità e la quadratura del cerchio riconduce alla contrapposizione tra la vita vera e la narrativa: anche i libri più verosimili (escludendo naturalmente quelli biografici) cercano un fil rouge, una coerenza nel flusso di eventi e nella fine dei personaggi, sia essa una fine per contrappasso Dantesco o una fine gloriosa. Nella vita reale non tutti hanno la fortuna (o sfortuna) di finire in una quadratura paragonabile a quella letteraria e anche per questo trovare almeno un po’ di significato in qualcosa che sembra incomprensibile può riuscire ad essere in qualche modo di conforto. ( )
1 vota Dreamweaver99 | Aug 4, 2022 |
Come mi accade spesso con gli autori giapponesi, non so cosa pensare.
Non che sia un brutto libro o che sia scritto male, solo che non sono riuscita a cogliere il punto o ad immedesimarmi.
Si parla di elaborazione del lutto e del dramma di perdita e solitudine che la morte si lascia dietro, ma in una maniera astratta ed evanescente che non mi ha colpito né coinvolto. I personaggi sono molto distanti dal mio modo di essere e compiono scelte che non ho condiviso e il più delle volte neanche compreso. Sembrano agire spinti da una forza misteriosa (se trascendente o immanente non è chiaro), con un fatalismo che non mi appartiene e che ho trovato eccessivo.
Il racconto finale l'ho preferito, innanzitutto perchè è meno frammentario e poi perché il paranormale si adatta molto meglio al tono dell'opera.
La cosa che ho apprezzato di più è stato lo stile: semplicissimo, senza subordinate, eppure capace di trasmettere tanta poesia.
Quel che posso dire di questo romanzo è che certamente non fa per me, non so se per incompatibilità mentale o culturale, ma vista la profondità delle tematiche e il lirismo della scrittura non sono sopresa che abbia avuto tanto successo. ( )
1 vota Lilirose_ | Oct 23, 2021 |
895.635 YOS
  ScarpaOderzo | Apr 19, 2020 |
Mostra 3 di 3
For English-language readers, the appeal of "Kitchen" lies in its portrayal of the lives of young Japanese.
 
Banana Yoshimoto won immediate fame in Japan with the publication of this pair of novellas about two bold and guileless women grappling with emotional loss.
 
Yoshimoto's oriental concision is sometimes idiosyncratic and haiku-like ..., but it's a quality of poignant, dignified resilience that makes this little work worthwhile...
 

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Nome dell'autoreRuoloTipo di autoreOpera?Stato
Banana Yoshimotoautore primariotutte le edizionicalcolato
Amitrano, GiorgioTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Backus, MeganTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Kaneshiro-Jager, E.Traduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Kraemerová, AliceTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Nieminen, KaiTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Schlecht, Wolfgang E.Traduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
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Titolo canonico
Titolo originale
Titoli alternativi
Data della prima edizione
Personaggi
Luoghi significativi
Eventi significativi
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Epigrafe
Dedica
Incipit
Non c'è posto al mondo che io ami più della cucina.

(Kitchen)
Hitoshi andava in giro con un campanellino attaccato al portatessera, non se ne separava mai.

(Moonlight Shadow)
Citazioni
Ultime parole
(Click per vedere. Attenzione: può contenere anticipazioni.)
(Click per vedere. Attenzione: può contenere anticipazioni.)
Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
DDC/MDS Canonico
LCC canonico

Risorse esterne che parlano di questo libro

Wikipedia in inglese (1)

E' un romanzo sulla solitudine giovanile. Per Mikage, la protagonista rimasta sola dopo la morte della nonna, le cucine rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la grande trovata di Banana ©· che la famiglia si possa non solo scegliere, ma anche inventare. Cos©Ơ il padre del giovane amico Yuichi pu©ø diventare madre e Mikage pu©ø eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguit© . Con questo romanzo, Banana Yoshimoto si ©· imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine del Giappone sconosciuta agli occidentali

Non sono state trovate descrizioni di biblioteche

Descrizione del libro
La protagonista, una ragazza, perde l'unica persona che ha al mondo, la nonna; allora si rifugia nel cuore della casa, la cucina, dove vegeta senza nutrirsi. Quando un suo compagno di scuola e sua madre la invitano a stare nella loro bella casa, dimostra ancora la sua passione per la cucina che rappresenta per lei il luogo dove si prepara il cibo, risorsa basilare della vita, e ci si riunisce per consumarlo. Questa stanza bella e funzionale rispecchia la serenità delle persone che la abitano. Così riprende a mangiare e a vivere.
+++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++

È un romanzo sulla solitudine giovanile. Le cucine nuovissime e luccicanti o vecchie e vissute, che riempiono i sogni della protagonista Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna, rappresentano il calore di una famiglia sempre desiderata. Ma la grande trovata di Banana è che la famiglia si possa, non solo scegliere, ma inventare. Così il padre del giovane amico della protagonista Yuichi può diventare o rivelarsi madre e Mikage può eleggerli come propria famiglia, in un crescendo tragicomico di ambiguità. Con questo romanzo, e il breve racconto che lo chiude, Banana Yoshimoto si è imposta all'attenzione del pubblico italiano mostrando un'immagine del Giappone completamente sconosciuta agli occidentali, con un linguaggio assai fresco e originale che vuole essere una rielaborazione letteraria dello stile dei fumetti manga.
Riassunto haiku

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