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Mo YanRecensioni

Autore di Sorgo rosso

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Recensioni

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Per espiare i suoi peccati e pervenire, attraverso l'adesione al buddhismo, alla suprema saggezza, il giovane Luo Xiaotong racconta, costantemente distratto dall'arrivo di una fantasmagoria di persone e dalla rutilante Sagra della carne che si sta organizzando all'esterno del tempio, la propria vita al Grande monaco Lan. È in primo luogo la storia della rovina della sua famiglia, con il padre che, dopo essere scappato con un'altra donna, torna a casa pentito ma finisce per uccidere la moglie quando scopre che è diventata l'amante di Lao Lan, il capo villaggio. Ma è al contempo, e soprattutto, la testimonianza del degrado morale che ha comportato il passaggio, in Cina, dall'economia socialista a quella di mercato. Il mito della prosperità ha trasformato la macellazione, un'attività tutto sommato artigianale e tradizionale
 
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kikka62 | 4 altre recensioni | Jan 24, 2020 |
Ancora un libro unico nella descrizione dei paesaggi, dei personaggi e della violenza umana. Violenza raccontata con una crudezza talmente realistica da spaventarsi nella lettura. Racconto difficile da seguire ma talmente incredibile nella descrizione dei paesaggi.Alcune descrizioni sono talmente belle da rileggerle più volte.½
 
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permario | 2 altre recensioni | Jan 26, 2018 |
Dopo “Sorgo sorgo” e lo splendido “il supplizio del legno di sandalo” inizio questa raccolta di racconti di Mo Yan. Per l’esattezza si tratta di nove storie, tutte abbastanza brevi; lo stile del grande autore si vede, la densità dello stile è di quelli che colpisce, la parola è forte, importante, densa. Insomma sicuramente Mo Yan è uno dei maggiori interpreti della letteratura mondiale contemporanea e questi racconti, detto da uno che non ama i racconti, lo testimoniano. Nei ricordi di Mo Yan, nella sua ricerca delle radici della Cina ci sta la cultura di un popolo da un lato, le due tradizioni, la funzione del partito comunista e di una dittatura sul popolo, nel nome del popolo; il racconto migliore, dovendone segnalare uno, è la colpa, un ragazzo viene ritenuto colpevole della morte del fratello e l’atmosfera di malessere quotidiana della famiglia permea bellissime pagine. La capacità di Mo Yan è quella di fare dei particolari un mondo dal quale si parte per giungere al generale, e lo fa con eleganza e con uno stile tutto suo che si riconosce anche in questa raccolta di racconti.½
 
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grandeghi | 2 altre recensioni | Nov 25, 2015 |
L’opera dei gatti, una forma popolare di opera diffusa nello Shandong, dà il ritmo a questo meraviglioso libro di Mo Yan, e che ritmo. La storia è ambientata all’inizio del secolo scorso durante la rivolta dei boxer contro gli invasori europei e da subito diventa una commedia a più voci. Il romanzo è semplice, Sun Bing, un importante interprete dell’opera dei gatti è il padre di Meiniang, una bellissima ragazza sposata con Xiaojia, un macellaio figlio del boia Zhao Jia, ed innamorata di Qian Diang, il magistrato del distretto di Gaomi, il luogo dove è ambientata la storia. Sun Bing si ribella ai soprusi dei tedeschi, viene catturato e giustiziato per opera di Zhao Ja. Bene raccontare questo libro così è come dire che la Divina Commedia è un poema dove Dante improvvisamente si perde, incontra Virgilio prima e Beatrice dopo per vagare tra inferno, purgatorio e paradiso; questo perché la storia nel supplizio del legno di sandalo è solo il collante di un capolavoro, un libro cantato dai protagonisti in una vera e propria sinfonia, dove il miao in sottofondo dell’opera dei gatti leva il respiro al lettore. Mo Yan lascia così un segno profondo nella letteratura con un libro che si caratterizza per il livello di dettaglio da un lato, basti pensare alla durezza con cui racconta i supplizi inflitti dai boia cinesi ai condannati, e per la capacità di cercare il significato stesso di umanità e giustizia ripercorrendo un intero periodo storico attraverso gli occhi dei protagonisti che vivono in un villaggio, ben lontani dalle trame di palazzo. Meglio di sorgo rosso, il supplizio del legno di sandalo è un libro splendido che consegna alla letteratura di sempre un nuovo grandissimo autore.½
 
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grandeghi | 4 altre recensioni | Sep 12, 2014 |
Viaggio affascinante di Mo Yan nella Cina del Nord negli anni venti, in un mare di sorgo, rosso come il sangue, per raccontare venti anni di guerre. Prima la storia dei banditi, attraverso la vita degli avi dell’autore, e poi la violentissima guerra contro i giapponesi che ha contraddistinto il periodo che ha preceduto la cruenta rivoluzione culturale di Maozedong. Un libro di incredibile ponderosità, denso come il sorgo, un cereale, fluido come il vino del sorgo, migliorato dall’acidità dell’acido urico, duro come la guerra e la fame. La tecnica narrativa di Mo Yan si basa su continui feed back che spiazzano spesso il lettore, costringendolo ad una lettura sempre intensa, quasi serrata, per non perdere il filo della matassa che, comunque, si perde. Perché la razionalità sta nella cronaca, la confusione e l’impeto nell’arte e questo romanzo è un’opera d’arte per quanto la complessità renda quanto mai duro l’ufficio del lettore. Che ne esce, però ricompensato, e ben lautamente, da una lettura piena di ricordi e di tratti disegnati con la penna dello scrittore di razza a tinte grandi. E le storie che si intersecano, i branchi dei cani che combattono l’uomo, dopo essere stati i suoi compagni, un altro effetto inatteso della guerra, dove la rabbia e l’odio cambiano gli animi anche delle bestie, avvicinandole all’uomo, che a sua volta all’innalzamento preferisce il pollice verso. E sullo sfondo la cultura della grande madre Cina e l’arrivo di una delle peggiori dittature del mondo occidentale completano un libro di davvero altissimo livello.
 
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grandeghi | 40 altre recensioni | Feb 7, 2014 |
Questo romanzo ha una struttura abbastanza complessa. C'è un narratore (che si può identificare con l'autore) che racconta in prima persona; egli si rivolge per lettera a un visitatore giapponese, il signor Sugitani, che era venuto in Cina a parlare di "letteratura e vita", e che si era mostrato interessato alla singolare vita della zia del narratore stesso. Questi gli riferisce l'intenzione di scrivere un dramma sulla vita di questa sua parente, ma intanto inizia a raccontargliela in prosa.
Ci porta così all'epoca della sua infanzia, nella provincia cinese degli anni cinquanta, e da lì, attraverso alcuni decenni, giunge al giorno d'oggi. La zia, Wan Xin (Wan "il Cuore"), da giovane ostetrica allieva di un medico occidentale, soppianta le mammane tradizionali e si rende benvoluta nella popolazione, aiutando la nascita di migliaia di bambini. Ma quando, negli anni sessanta, il partito dà avvio alla politica di controllo delle nascite, Wan Xin ne diventa l'esecutrice fedele, con uno zelo che sfiora il fanatismo. All'inizio del nuovo millennio, Wan Xin, ormai anziana e afflitta dal suo comportamento passato, trova una sorta di espiazione, aiutando il marito creatore di statuine di bambini (con una specie di bizzarra inversione dei ruoli biologici naturali: lei li concepisce, lui li realizza fisicamente), e facendo nascere il secondo figlio del narratore.
La narrazione segue grossomodo un ordine cronologico, ma con anticipazioni e flashback, e occupa le prime quattro parti del romanzo, ciascuna introdotta da una cortese lettera al signor Sugitani. Intorno alle vicende della zia si svolgono quelle del narratore e degli altri personaggi del villaggio nel "distretto a nordest di Gaomi", e sullo sfondo si intravedono le trasformazioni della Cina negli ultimi sessant'anni, dalla povertà rurale drammaticamente soggetta agli alti e bassi dei raccolti, alle agitazioni della rivoluzione culturale, alla liberalizzazione economica e alla nuova opulenza del Duemila. L'atmosfera tesa della parte centrale (con il controllo demografico forzato e la rivoluzione culturale) si rilassa in un senso di sollievo quando si giunge alla fine del ventesimo secolo e all'allentamento della repressione. Vicende e situazioni vengono descritte senza dare giudizi espliciti, anche se mi sembra che il narratore/autore non gradisca l'arricchimento pacchiano dei tempi più recenti. Dopo varie difficoltà e nonostante l'età avanzata di entrambi, alla fine, grazie alla sua seconda moglie, il narratore riesce ad avere un figlio maschio, e a scrivere di getto il dramma sulla vita della zia così lungamente elaborato (la quinta e ultima parte del romanzo contiene appunto questo dramma).
Le vicende narrate ruotano intorno alla politica di controllo delle nascite nella Cina contemporanea, e possono riferirsi non solo al generare figli, ma più in generale alla creazione anche artistica e letteraria. Il messaggio di fondo sembra essere che l'impulso alla generazione (in senso fisico e spirituale) è qualcosa di naturale e insopprimibile, e il combatterlo e reprimerlo porta solo sofferenze, tensioni, e infine rimpianti. Forse può anche essere considerato una critica alla storia cinese contemporanea e alle politiche del regime, ma espressa in modo così indiretto e obliquo da renderla accettabile al regime stesso.
Tutto sommato, non mi è piaciuto molto. Certamente è un libro non privo di qualità, articolato e anche sottile. Il tema del contrasto tra le scelte e le libertà individuali (l'avere quanti figli si desidera) e le necessità collettive (la sovrappopolazione che rende necessaria la limitazione della natalità) non è sviluppato, ma forse questo avrebbe portato il discorso su toni troppo politici (e quindi pericolosi per l'autore e inaccettabili per il regime). Personaggi, situazioni e ambienti sono spesso descritti in modo generico e superficiale; il personaggio Wan Xin, che dovrebbe essere singolare e altamente significativo, mi è invece parso alquanto sfuggente; la lingua (se ci fidiamo della traduzione) è ordinaria, piatta e blanda. Anche certe scene drammatiche hanno finito per lasciarmi un po' freddo. Il narratore ha qualche tendenza alla divagazione e alla prolissità, tanto che in alcuni punti mi è risultato perfin noioso. Io non ho letto null'altro di Mo Yan, ma immagino che questa non sia la sua opera migliore.
 
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Oct326 | 21 altre recensioni | Jun 15, 2013 |
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