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permario | 2 altre recensioni | May 1, 2024 |
Se siete di quei tipi che, con la calura estiva e le ferie, non si avvicinano manco morti a romanzi cupi e richiedenti un minimo di stato di veglia, state alla larga da A oriente del giardino dell'Eden. Ma annotatevelo da qualche parte per poterlo riprendere quando gli strali del caldo saranno cessati.

Sono, infatti, molto sorpresa dal constatare che questo romanzo ha avuto pochissimi lettori finora, almeno su Goodreads. È vero che Israel è stato messo in ombra dal fratellino premio Nobel, ma ultimamente ho visto furoreggiare La famiglia Karnowski e I fratelli Ashkenazi, quindi lo facevo un autore più letto.

Anche perché merita, ragazzi. Merita davvero. Singer è uno di quegli autori capaci di descrivere la condizione degli ultimi, senza moralismi o pietismi a inquinarne la resa. A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo di aspettative deluse e amara rassegnazione, di lotte per innalzare la propria misera condizione e straziante disillusione. Fino ad arrivare al finale, segnato da un'immagine così dolorosa, ma al tempo stesso così potente da essermi rimasta in testa, tatuata a fuoco.

Ma, in generale, A oriente del giardino dell'Eden è un romanzo che ti rimane addosso, che non può lasciarti libero: è come se vi fosse racchiuso il grido di dolore di tutti gli oppressi del mondo. Di tutti coloro che vengono sfruttati e tenuti comodamente nell'ignoranza per poter essere sfiancati a piacimento.

In particolare, sono rimasta colpita dalla seconda metà del romanzo, incentrata sul fascino malsano suscitato nelle menti “eccitabili” dall'URSS. Ho trovato terribilmente attuale l'idea che si possa creare uno stato perfetto e che qualcuno possa addirittura avere come massima aspirazione quella di andarci a stare.

Io sono, invece, convinta che essere umano e perfezione non possano andare d'accordo (almeno a questo punto della nostra storia). La perfezione implica staticità, impossibilità di cambiare se stessi e il proprio destino; impossibilità di peggiorare, certo, ma anche impossibilità di migliorare. Chi mai potrebbe volere una simile condizione per se stesso e i proprio simili?

Lasciamo la perfezione ai moscerini della frutta e teniamoci stretta la nostra terribile e gloriosa imperfezione.
 
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lasiepedimore | 2 altre recensioni | Sep 13, 2023 |
Questo è il primo volume dell'autobiografia di Israel Joshua Singer, fratello del più famoso Isaac Bashevis, scrittori nati in una famiglia ebraica nella Polonia rurale di fine ottocento e poi emigrati negli Stati Uniti. Sono i ricordi dei primi anni di vita di un ragazzino curioso e vitale, innamorato del mondo e della gente, insofferente delle aspettative dei genitori che lo vorrebbero pio e studioso, avviato sulla strada del rabbinato come il padre e il nonno. La vita nel villaggio (uno "shtetl") è raffigurata in tanti aspetti diversi: gli alimenti e i pasti, gli abiti, le case, il lavoro, i riti le festività e le preghiere, la sinagoga e il bagno rituale, la scuola religiosa, il ruolo del rabbino come capo della comunità, i ricchi e i poveri, i contrasti tra hassidim e ortodossi, i rapporti difficili con i gentili (i "goyim") e con le autorità, l'attesa del messia... Un ritratto colorito e vivace di un modo di vita tutto intriso e soverchiato dalle pratiche e dai riti prescritti dalla legge ebraica, un modo di vita che peraltro l'autore mette continuamente in ridicolo, anche se si tratta di un ridicolo delicato e affettuoso. E inoltre pieno di personaggi e situazioni bizzarri e persino strampalati, a volte tanto bizzarri e strampalati che mi vien da pensare che, sì, si tratta di memorie, ma deve esserci anche un po' di invenzione in tutto questo... Nel complesso mi è parsa una lettura che non ha nulla di profondo o di impegnativo, ma è comunque un piacevole ritratto di un tipo di comunità umana e di un modo di vita diversi e scomparsi.
 
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Oct326 | 2 altre recensioni | Aug 18, 2021 |
La saga dei Karnowski comincia con David, il capostipite, il quale all'alba del Novecento lascia lo shtetl polacco in cui è nato, ai suoi occhi emblema dell'oscurantismo, per dirigersi alla volta di Berlino, forte del suo tedesco impeccabile e ispirato dal principio secondo il quale bisogna «essere ebrei in casa e uomini in strada». Il figlio Georg, divenuto un apprezzato medico e sposato a una gentile, incarnerà il vertice del percorso di integrazione e ascesa sociale dei Karnowski – percorso che imboccherà però la fatale parabola discendente con il nipote: lacerato dal disprezzo di sé, Jegor, capovolgendo il razzismo nazista in cui è cresciuto, porterà alle estreme conseguenze, in una New York straniante e nemica, la contraddizione che innerva l'intera storia familiare.
 
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kikka62 | 10 altre recensioni | Feb 4, 2020 |
Dai Buddenbrook a scendere ho sempre avuto una passione per le saghe famigliari. Vivere le storie delle famiglie nel tempo, scandendo la storia, è un modo per entrare, in punta di piedi, in mondi diversi. La famiglia Karnowski racconta la storia di tre generazioni di ebrei tedeschi all’inizio del secolo scorso. David Karnowski è un uomo di cultura e arriva a Berlino dalla Polonia. E’ un uomo colto ed intelligente e comprende subito la necessità di andare oltre gli stereotipi della cultura ebraica per integrarsi nella Germania di inizio secolo. La comunità dei figli d’Israele a Berlino è vivace ed è incarnata dall’operosità di Solomon Burak, un commerciante di successo. La moglie di David, Lea, rimane più legata alle sue radici, non parla bene il tedesco, non comprende le tensioni del marito. La coppia ha un figlio, Georg, curioso, intelligente ma poco disponibile a seguire le orme del padre. Si iscrive a filosofia, ma poi si innamora di una giovane dottoressa, Elsa Landau, ed inizia con successo gli studi di medicina. Diventa un importante ginecologo e si sposa con un’infermiera dell’ospedale dove lavora, Teresa, tedesca. Nasce così Jegor e la famiglia ha tutto per essere felice. Il problema è che Georg è ebreo ed è la Germania del delirio nazista e il primo a pagare il prezzo è il piccolo Jegor, umiliato a scuola dal maestro. Tutti i personaggi, in epoche diverse, si trasferiscono negli Stati Uniti, ma la salvezza dai campi di concentramento non allevia le tensioni ed i drammi nati in Germania. Chi paga il prezzo più alto è il piccolo Jegor, che non accetta di essere un ebreo, predica la superiorità della razza che vuole lo sterminio della sua razza. Un piccolo grande capolavoro.
 
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grandeghi | 10 altre recensioni | Nov 5, 2019 |
Dopo avere letto La Famiglia Karnowski di I. J. Singer oggi ho finito di leggere I Fratelli Ashkenazi. Il romanzo è bellissimo. E' un romanzo storico, nel senso che le vicende narrate sono inserite in un preciso contesto storico riscontrabile in testi specifici. E' un romanzo di formazione perché le vicende narrate si svolgono parallelamente al formarsi ed al evolversi dell'esperienza del protagonista. E' un romanzo che parla del mondo come è piuttosto come del mondo come deve essere, ricordando a tale proposito più Verga che Manzoni. Personalmente la lettura del romanzo mi ha riportato alla mente un'altra grande opera anche se di genere diverso, un film, 2001 Odissea Nello Spazio di S. Kubrick, anche lui di origine ebraico-europee orientali. Nonostante il mutare delle situazioni e delle ideologie socio-politiche, l'atteggiamento dei non ebrei nei confronti dell'ebreo rimane immutabile quasi fosse il monolite nero che periodicamente si manifesta nel film.
 
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fortunae | 9 altre recensioni | Aug 18, 2019 |
Romanzo essenziale e di un'estrema attualità.
 
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fortunae | 10 altre recensioni | Jul 20, 2019 |
Sender Prager è un ristoratore di mezza età; donnaiolo impenitente viene costretto dal rabbino a sposarsi, tra la disperazione delle serve e delle cameriere del suo ristorante che sognavano di diventare le spose; la promessa moglie, molto più giovane, è orfana di uno Shohet: e durante il fastoso matrimonio la sua famiglia non manca di rimarcare le differenze sociali tra la figlia di un macellatore rituale e un volgare oste. Ma durante la prima notte di nozze il povero Sender scopre che la moglie non è vergine; la tiene a casa, ma riprende la sua vita dissoluta, fino a giungere ad uno stato di abbrutimento che lo porta rapidamente alla paralisi; a quel punto il suo servitore Moritz prenderà il suo posto in casa vicino alla moglie che diventerà la legittima proprietaria del ristorante. Breve racconto, meno di 80 pagine, in cui il talentuoso Singer dà ampia dimostrazione della sua grandissima capacità di scrittura. Racconto dell’epoca ma che vive di un respiro che non ha età.½
 
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grandeghi | 1 altra recensione | Mar 3, 2019 |
Claudio Magris nella sua introduzione parla di un affresco minuzioso e puntuale di un secolo; e la mole di volume di Israel Joshua Singer, fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis, è quello; anzi parlando di affresco, utilizzerei il termine maestoso, un romanzo storico robusto e appassionante la cui lettura è talmente intensa da togliere il fiato. La storia dei due figli gemelli maschi di Reb Abraham Hirsh Ashkenazi, Simcha Meyer e Yakob Bunin parte da lontano; dai primi insediamenti ebrei a Lodz, dallo sviluppo dell’industria e degli affari in una città della Polonia; dal risentimento prima latente e poi sempre più acceso e intenso nei confronti degli ebrei; i caratteri opposti dei due fratelli fanno da contro altare alla storia della Polonia, sempre compressa tra le pressioni della Russia e della Germania. Singer racconta pennellando; o pennella raccontando; oltre settecento pagine di rara intensità in cui scorrono anni, decenni; dalla crisi tedesca del fine ottocento, alla rivoluzione bolscevica del 1905, dai primi progrom in Polonia, all’invasione tedesca, dalla prima guerra mondiale alla rivoluzione russa per terminare con la crisi valutaria dell’immediato dopoguerra. La rivalità tra i due fratelli si chiude con la carcerazione in Russia di Max, nuovo nome di Simcha Meyer e con la liberazione da parte del fratello che si chiude con la morte di quest’ultimo con un epilogo degno della tragedia greca. Un libro che si legge tutto di un fiato, devo dire che il fiato in questa calda estate è corto, la flebilità del respiro di papà è devastante. Un buon libro aiuta, il dolore si attenua a fronte del grande respiro della storia; e della migliore letteratura.
 
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grandeghi | 9 altre recensioni | Oct 14, 2018 |
At high school I had a classmate who stated that with literature you can learn history, philosophy, sociology, psychology and any other social science much better than any manual. At that time I totally disagreed with this thought: I was all taken with my historical essays and did not leave much room for literature: history was taught in books that taught history. Then, in my life, the Russian writers came in, and I've been able to review my ideas a bit and I understood, though late, that literature can explain our world at least as much as it can be explained in a scientific essay.
Certainly not a big discovery, and I agree with that, but better to arrive late than not arriving at all.
The Ashkenazi brothers is just one of these books. The topics covered in this book are so vast that I do not even dare to start talking about it except to say it's a book that you have to read because you will get enriched and I intend to enrich yourself in the knowledge of history of the past century.
This book speaks of Judaism, of Jews, of Poland (and perhaps Singer, who died in 1944 in New York, would not be surprised to know that Auschwitz would be built in Poland), Lodz (as the Manchester of East Europe), capitalism and Communism; in short, tells us how the twentieth century was born.
And perhaps it would be fruitful to compare this book, which we could in some ways also call "Jewish Ethics and the Spirit of Capitalism," with that of Weber: Protestantism in the West, Judaism in the East or perhaps it would be better call it Jewishness.
But at the same time, if Jews are the capitalists (not all of the capitalists are Jewish of course, never having Jews the monopoly of nothing), Jews are also (not all of course) the first socialists, those who question capitalism, the first defenders of the working class .
Finally, I would also like to point out the bitter understanding of the lack of acceptance. Both the Jewish capitalist, who thinks that the departure from being perceived as a Jew passes through the power of money, both the socialist who believes in a world of atheist brotherhood among workers, will have to confront the painful reality: the curse the hebrew, to be THE scapegoat: things go wrong and you do not know why? Do not worry, we can blame Jews for the Jews, it always works and everyone is willing to believe it. And if so, there is only the escape to a Promised Land, Palestine, where to build the new Lodz, but to renounce to be capitalists / communists, Poles, of Jewish faith.
And Hitler had not arrived yet.
 
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eloelisa92 | 9 altre recensioni | Nov 30, 2017 |
Non sono sicura che le operazioni di recupero di vecchi romanzi siano sempre operazioni felici. Del Singer fratello maggiore del premio Nobel avevo letto molti anni fa con grande gusto ‘I Fratelli Askenazy’, più recentemente con minore entusiasmo, ma sempre con un certo piacere, ‘La Famiglia Karnowsky’. Ora ho trovato questo romanzo, partito bene, piuttosto noioso. Il tema è molto interessante ( la rivoluzione russa, la nascita del comunismo vista attraverso gli occhi e l’esperienza ebraica), ma la narrazione ha un che di vecchio - nell’impostazione, nel modo di tratteggiare i personaggi - e l’esito è un romanzo irrimediabilmente datato. Confesso che non l’ho finito. Dovevo restituirlo alla biblioteca da cui l’ho preso in prestito e mi sono chiesta se comprarlo per terminare la lettura. Non l’ho fatto perché nel momento in cui l’ho riconsegnato mi sono sentita alleggerita e questo è il segno che non avevo più voglia di andare avanti. Me ne rammarico per l’ammirazione che nutro per entrambi i fratelli Singer. Torno però a chiedermi se si fa un servizio a un grande scrittore riproponendo anche opere minori, neglette da anni ( e ci sarà pure una ragione per questo), che poco aggiungono e qualcosa certamente tolgono alla sua fama.
 
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Marghe48 | 2 altre recensioni | Oct 15, 2017 |
Quando, nei primi anni del Novecento, David Karnowski abbandona la natìa Polonia per trasferirsi con la moglie a Berlino, la capitale dell’impero gli appare come il centro culturale dell’universo, il luogo in cui, sciolto dai lacci della ultraortodossa mentalità che affligge gli ebrei d’oriente, potrà dedicarsi totalmente libero allo studio dei testi sacri e degli scritti esegetici di Moses Mendessohn, che scatenano invece lo scandalo nella gretta sinagoga della sua città natale. Studio e lavoro sono i poli attorno ai quali ruota la sua vita; da una parte stanno i libri e le dotte conversazioni con rabbini e sapienti che frequentano il suo appartamento, dall’altra l’azienda e il commercio del legname. David Karnowski non si mischia con gli ebrei del ghetto e tollera a fatica che la moglie, divorata dalla nostalgia, coltivi le proprie amicizie fra le vecchie conoscenze del paese d’origine; al contrario di lei parla un ottimo tedesco e conduce la propria vita nella convinzione che l’uomo retto è ebreo in casa propria, tedesco quando ne esce.
Georg Karnowski, uomo affascinante e medico affermato, è figlio di David e costituisce per certi aspetti la definitiva affermazione del suo sogno di integrazione totale, ma ne diventa la vivente sconfitta quando rompe i rapporti col padre per sposare una donna non ebrea. Suo figlio Jegor vivrà, negli anni dell’ascesa del nazismo, il proprio essere mezzo tedesco e mezzo ebreo come causa di indicibile disonore, reso ancora più crudele dalla dolorosa venerazione non corrisposta per lo zio materno Hugo, nazista e splendente nella propria divisa da camicia bruna. Platealmente umiliato da quei tedeschi che idealizza e costretto a rifugiarsi fra gli ebrei che disprezza, il giovane Jegor è forse quello che vive con la maggiore sofferenza l’esilio verso gli Stati Uniti. Privati di ogni cosa i Karnowski lasciano Berlino e tutto quello che appartiene alla loro vita in Germania: l’America offre loro la libertà ma anche una realtà durissima, nella quale David e Georg saranno costretti a ricostruirsi come possono, ciascuno sulla tabula rasa della propria vita. Jegor per parte sua si troverà solo, a macerarsi nel disprezzo di sé e della propria gente e a coltivare il sogno impossibile di tornare da tedesco in Germania.
Il romanzo dell’altro Singer è naturalmente molto di più di questo raffazzonato bignamino. Sullo sfondo della vicenda dei tre Karnowski e dei personaggi che si muovono attorno a loro, Singer racconta del crollo dell’impero tedesco, della repubblica di Weimar, della spaventosa crisi degli anni Venti e dell’ascesa del nazismo, ma soprattutto della graduale presa di coscienza di una realtà che ciascun ebreo continuava pervicacemente a negare in nome di un sentirsi cittadino tedesco che faceva scivolare il pericolo via via sulle categorie di ebrei che ciascuno riteneva inferiori alla propria. Pur se forse strutturato con qualche approssimazione (ma mica sono un critico io, chissà che scemenza sto dicendo) La famiglia Karnowski è in ogni caso un libro bellissimo, che vale assolutamente la pena di leggere.
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winckelmann | 10 altre recensioni | Sep 24, 2017 |
Si lascia leggere perché I.J. Singer sa scrivere, ma non l’ho trovato certo entusiasmante. Sono arrivata alla fine e nemmeno avevo capito che il racconto era finito. Sarei andata avanti a leggere … ma non c’era altro. Sono tornata indietro a cercare un senso che ho faticato a trovare e che, chiaramente, per me non era e non è evidente
 
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Marghe48 | 1 altra recensione | Sep 15, 2017 |
Molti sono gli argomenti che si intrecciano nel lento fluire di questo vasto romanzo, tanto che in conclusione non si sa da dove cominciare per un riordino delle intense emozioni che il testo sa generare. Il fratello del premio Nobel Isaac racconta con estrema energia e una chiara visione d’insieme un secolo nella storia di Lodz, dalla trasformazione da borgo rurale in operosa città grazie allo sviluppo dell’industria tessile nella prima metà dell’Ottocento fino alla decadenza completatasi nel primo dopoguerra percorso da spettri che si materializzeranno di lì a poco. Dai telai a mano alle grandi fabbriche: due comunità immigrate, quella tedesca, ma soprattutto quella ebrea sono alla base di una simile fioritura, peraltro basata sullo sfruttamento feroce di una manodopera che solo con lentezza e dopo molti lutti riesce a far valere i propri diritti, almeno in parte, sulla spinta delle idee socialiste. A simboleggiare la parabola di una borghesia rampante, ma la cui carica è di breve durata stanno i fratelli del titolo, gemelli diversissimi figli di un pio studioso delle sacre scritture, ma pronti a dimenticarne gli insegnamenti per gettarsi nel nuovo secolo giungendo fino a cambiarsi di nome. Simcha Meyer (poi Max) si deve sudare il successo e per raggiungerlo non si fa scrupoli di sorta, tra matrimoni di convenienza per non parlare dei divorzi (le vessazioni alla prima moglie sono di efferata cattiveria) e pratiche commerciali poco corrette, mentre a Jacob Bunim (Yakub) le fortune e l’amore cadono in grembo quasi non cercate in una vita da gaudente. Da qui il sentimento livoroso del primo per il secondo che però non esiterà a rischiare in proprio per recuperare il fratello travolto dalla rivoluzione sovietica,:ultima evoluzione delle dinamiche di famiglia che sono descritte con altrettanta abilità di quelle sociali, ben restituendo la veloce mutazione dei rapporti interpersonali che si concretizza nel giro di un paio di generazioni (chissà che avrebbe pensato il vecchio Rev Abraham apprendendo che uno dei suoi rampolli sarebbe convolato a nozze in un turbine di passione con la figlia dell’altro…). Singer non si limita a seguire le vicende degli Ashkenazi e delle altre famiglie che si sono arricchite: la sua attenzione è rivolta con pari interesse alle masse operaie sfruttate, fra le quali spiccano figure dedite alla causa fino allo stremo delle energie con una (forza della) disperazione che solo a tratti lascia spazio a una comicità amara. Del resto, il tocco sorridente che alleggerisce un buon numero dei capitoli iniziali, in special modo quando l’autore rievoca gli usi polverosi che contraddistinguono le relazioni familiari e personali nel giudaismo chassidico, si va via via spegnendo non solo per l’accresciuta tragicità dei comportamenti dei singoli, ma anche per l’avvelenarsi di un ambiente che peggiora con il passare del tempo. A dispetto (e in certa maniera a cagione) del successo e del tentativo di integrazione, gli ebrei diventano vittime di un antisemitismo che rialza la testa nei momenti di difficoltà: ogni volta che la quotidianità si inceppa scatta il pogrom istigato soprattutto dalla parte polacca della popolazione, tanto che il rigido e detestabile dominio tedesco sulla città nella prima guerra mondiale risulta per la comunità israelitica meno doloroso dell’avvento della Seconda Repubblica in Polonia.
 
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catcarlo | 9 altre recensioni | Jun 16, 2017 |
Dopo I fratelli Ashkenazi Singer scrive un'altra saga familiare ebraica, stavolta mettendo in secondo piano le vicende storiche per concentrarsi sull'introspezione psicologica dei personaggi: scelta azzeccatissima, dato che raramente ho trovato dei protagonisti così vivi e vibranti come in questo romanzo. Non ci sono eroi e non ci sono mostri, sono tutti semplicemente uomini (e donne) in cerca del loro posto nel mondo.
Le tre generazioni dei Karnowski rappresentano ognuna un aspetto della storia e della cultura ebraica. Il patriarca David incarna la voglia di riscatto, l'eterna lotta per liberarsi dai retaggi del passato ed acquisire uno status sociale. Il figlio Georg è in un certo senso il coronamento dei suoi sforzi, l'emblema dell'ebreo integrato: realizzato professionalmente e personalmente, sicuro di se e incurante delle tradizioni. Dopo l'apice toccato da Georg comincia però con Jegor la curva discendente. Debole e cresciuto in un mondo pieno d'odio, se ne lascia schiacciare fino a provare disgusto per se stesso e per le proprie origini e ammirazione per i suoi aguzzini. Le pagine a lui dedicate sono le più drammatiche ma anche le più potenti dell'opera, perché mostrano un altro aspetto del razzismo, più sottile ma forse più pericoloso.
Lo stile è quello a cui ci ha abituati Singer quindi asciutto e vigoroso, non si perde in descrizioni ma già con poche parole ben scelte va dritto al cuore delle situazioni
Questo romanzo mi ha catturato sin dalle prime pagine ed è stato un crescendo di emozione e di coinvolgimento: forse meno imponente de I fratelli Ashkenazi, ma proprio per questo più toccante.
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Lilirose_ | 10 altre recensioni | Feb 5, 2017 |
Un romanzo imponente, di quelli che lasciano il segno: ripercorre un secolo di storia polacca (dal periodo post napoleonico ai primi decenni del novecento) dal punto di vista degli ebrei e della borghesia. Archetipo di entrambe le categorie è Max Ashkenazi, il protagonista. E' un personaggio complesso: tenace ed ambizioso, indifferente a tutto tranne che al profitto, dotato di una volontà d'acciaio; ma allo stesso tempo fragile, irrequieto, sempre alla ricerca di quel riconoscimento sociale che gli permetta di affrancarsi dalla sua condizione di ebreo. A fargli da contraltare c'è il gemello Yakob: anche lui occidentalizzato, ma senza turbamenti interiori. Max pianifica, si ingegna, fatica, mentre Yakob vive la vita così come viene, sostenuto dalla sua vitalità e dalla pura gioia di vivere. In competizione per tutta la vita finiranno entrambi sconfitti, schiacciati dagli ingranaggi della storia. Infatti questo è un libro molto amaro, in cui ai fallimenti individuali si mescolano i fallimenti sociali: assistiamo alla decadenza di una generazione di ebrei che ha rinnegato le proprie radici in nome del successo e che si è vista crollare tutto addosso, con l'arrivo della guerra prima e della rivoluzione di ottobre poi.
L'autore mescola sapientemente vicende personali e storiche, creando così un'opera di spessore che riesce a tenere desto l'interesse del lettore grazie ad un ottima caratterizzazione dei personaggi e ad uno stile scorrevole. L'unica nota stonata sono forse le numerose divagazioni: troppi protagonisti, alcuni dei quali neanche incontreremo più nel corso del romanzo, ma ognuno con una sua storia che spesso va avanti per pagine e pagine. Questo spezza un po' il ritmo della narrazione, ma non scalfisce comunque l'alto valore letterario e storico dell'opera.
 
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Lilirose_ | 9 altre recensioni | Jan 8, 2017 |
Toccante saga familiare che copre tre generazioni passando attraverso eventi storici significativi (le grandi guerre, il nazismo). Racconta l'affermazione e l'ascesa sociale della famiglia ma anche la distruzione psicologica e il fallimento. Il libro toccante e intenso sviscera con precisione i caratteri dei personaggi. Racconta di un mondo che non c'è più ma che purtroppo rimane tristemente attuale. C'è un passaggio del libro (pag, 264-269), che mi rimarrà impresso per sempre nella memoria, dove la violenza fisica, psicologica e morale perpetrata ad un bambino, è talmente feroce, incontenibile e ingiustificabile da lasciarmi sgomento.
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permario | 10 altre recensioni | Feb 17, 2016 |
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