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Sándor MáraiRecensioni

Autore di Le braci

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Recensioni

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Questo è uno di quei libri che ho iniziato a leggere senza farmi troppe domande: ho letto il titolo, poi la trama e l'ho preso. A lettura ultimata, devo dire che ho fatto bene.

La donna giusta è un romanzo che si fa amare lentamente, quasi senza che il lettore se ne accorga. Pagina dopo pagina, ci si ritrova immersi in ognuno dei quattro monologhi che compongono il romanzo e che ci offrono quattro punti diversi su vari temi, dai cambiamenti sociali dell'Ungheria alla disillusione della vita matrimoniale, dall'impatto del consumismo nelle vite delle persone all'amore, sempre cercato, ma mai trovato.

Il monologo che ho apprezzato di più è stato quello di Judit, il terzo, che offre uno sguardo limpido sui primi due, quello di Marika e quello di Peter. L'ultimo, quello del musicista, tira le file delle vicende narrate.

Una menzione speciale la merita lo scrittore Làzàr, amico di Peter. Sebbene non sia mai voce narrante, compare in tutti e quattro i monologhi e avrà un ruolo tutt'altro che secondario. Làzàr è uno scrittore che non scrive più e si limita ad attendere la fine del mondo così come era conosciuto fino ad allora. Infatti, sparirà dall'Ungheria con la fine della Seconda Guerra Mondiale e l'arrivo dei sovietici, che spazzeranno via le ultime vestigia di una società ormai disgregata.
 
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lasiepedimore | 31 altre recensioni | Sep 12, 2023 |
La definizione di romanzo sta un po’ larga a questa novella che è arrivata dalle nostre parti a seguire l’inatteso successo di ‘Le braci’, ma si tratta di un testo molto intenso che analizza il rapporto tra sentimenti e relazioni interpersonali con delicatezza e profondità.
Nulla c’è da scoprire (o quasi) perché la conclusione della vicenda è riassunta in apertura della narrazione fatta in prima persona dalla protagonista, la quale, signora di mezza età, abita nella casa di famiglia, ultimo bene dopo le dissipazioni del padre e di Lajos, del quale è ancora innamorata malgrado le abbia preferito la sorella Vilma. Fin dalla giovinezza, Lajos è sempre stato un profittatore capace di vivere sulle spalle altrui e l’annuncio del suo arrivo non può che generare inquietudine: più che giustificata anche se, al termine della domenica che fa da unità di tempo come la villa la fa di luogo, la sua figura risulta più sfaccettata e forse meno ambigua trasferendo alcune ombre proprio su Eszter.
Come si vede, una piccola storia che viene resa preziosa dalla scrittura di Márai, abile nello scavo delle psicologie lasciando comunque un senso di leggerezza che deriva dalle parole che scorrono in modo quasi musicale così che il lettore, seppur l’argomento non sia adatto a sollevare gli animi, non resta indifferente: ‘Le braci’ appartiene a un’altra categoria, ma queste centotrenta pagine scritte larghe valgono certamente una visita.½
 
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catcarlo | 14 altre recensioni | Sep 18, 2019 |
Un romanzo affascinante e perfetto, un lungo monologo per decifrare il senso dell’amicizia, dell’amore, della vendetta. La storia si dipana lentamente, pagina dopo pagina, riga dopo riga; due amici si reincontrano dopo 41 anni; una lunga ed intensa amicizia che ha subito una brusca interruzione; da un lato il generale, un nobile ricco che durante questo lungo periodo non ha mai abbandonato la propria residenza; dall’altro Konrad che per anni ha vissuto tra Londra e i tropici; in mezzo la storia di Kristzina, la moglie del generale, innamorata dell’amico, morta da anni. Il diario della donna finisce nel camino, nessuno lo legge, alimenta di fuoco nuovo le braci sotto le quali si è alimentato un rapporto di odio amore durato quasi mezzo secolo. Lonrad ha tradito la fiducia del generale, durante una battuta di caccia ha cercato di ucciderlo, ha irretito la sua donna, è fuggito; tutto lascia pensare ad un incontro risolutivo, un duello di onore; Marai tratteggia in maniera deliziosa i giorni che precedono l’incontro, l’ambiente e i ricordi dell’amicizia tra i due; un rapporto perfetto nella sua asimmetria, opposti che si attirano e si integrano. Ma il vero capolavoro è il lungo monologo del generale, una spietata analisi dei rapporti umani, basata su domande che non richiedono mai risposte. Un romanzo perfetto, degno della migliore letteratura europea del secolo scorso.
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grandeghi | 145 altre recensioni | Jul 2, 2018 |
..quanto dolore!
Un libro che mi ha tenuta incollata alle pagine, ho scalpitato per sapere dove Marai volesse condurmi...Il libro si divide, grosso modo in due parti, la prima ci racconta dell' incontro di Henrik con Konrad, quando avevano dieci anni e poi prosegue per tutta la loro adolescenza raccontandoci del loro rapporto d'amicizia. La seconda parte è un monologo, stupendo, dove Henrik, deluso, sviscera il loro passato. Un Henrik deluso, ma lucido e consapevole che traccia e delinea un avvenimento doloroso che li accomuna. Facendosi mille domande e dandosi, ahimè, anche da solo le risposte, per le quali ha aspettato ben, 41 anni e 43 giorni..
Avrei voglia di rileggerlo e non è detto che non lo faccia....e sono sicura che a una seconda lettura ulteriori sfumature verrebbero alla luce, che sicuramente nella foga di leggere e di continuare nella lettura mi sono sfuggite..
Una scrittura sublime, profonda e avvincente..
Le descrizioni, le atmosfere della Vienna di inizio secolo...stupende!!
Nini..che donna!!
 
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Sally68 | 145 altre recensioni | May 19, 2018 |
Che piacere leggere Sándor Márai, la parola che immediatamente associo a questo meraviglioso gigante della letteratura è eleganza. Tanta eleganza.
Quest'opera è un pò il filo conduttore della sua vita tormentata dalle problematiche politiche ed esistenziali. Come il protagonista del libro, l'autore è vittima del crollo dell’Impero austro-ungarico. Questo agglomerato di diverse nazion ed etnie, ricco di una molteplicità culturale implodendo lascia molti disorientati, divisi, orfani della precedente identità che tutte le diversità includeva, vittime dei vari nazionalismi e dittature.
Il protagonista del libro, un vecchio generale in pensione, ha atteso decenni per conoscere "la verità" di un episodio accaduto più di 40 prima. Verità che chiede al suo amico fraterno, tornato a trovarlo dopo più di quarant’anni, ma che nel lungo monologo, in cui disserta sul senso dell’amicizia e sul senso della vita, dichiara di conoscere già. Non avrà nessuna risposta. Però ha raggiunto la tranquillità e la sua vecchia balia per la contentezza gli traccia un segno della croce sulla fronte e un rapido bacio che è la risposta ad una domanda che non è possibile affidare alle parole.
Oltre alla bellezza pura di questo romanzo ne ho tratto un insegnamento personale che probabilmente è solo mio. Il protagonista del libro, pur sapendo da sempre come sono andati i fatti passa quasi mezzo secolo a torturarsi nella ricerca della verità analizzando continuamente ogni particolare e sviscerando tutte le possibili varianti del caso, idealizzando all’estremo amicizia e fedeltà, arriva a chiedere all’amico di confermare i fatti per riceverne un rifiuto. Così mi sento io che trascorro la vita cercando conferma dell’esistenza di Dio passando continuamente dal credere al dubitare sviscerando le Sacre Scritture razionalmente e chiedendo lumi a varie persone senza ricevere, ovviamente, nessuna risposta concreta.
 
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Maistrack | 145 altre recensioni | May 11, 2018 |
Due uomini, che hanno condiviso tutto per vent’anni, a partire dall’uscita dall’infanzia fino alla maturità, e poi ne lasciano passare altri quarantuno prima di incontrarsi ancora. Perché? Il romanzo, che ha tolto Marai dall’oblio e lo ha riportato alla fama che meritava, è costruito attorno alla ricerca di una risposta all’interrogativo,. Tutto il racconto è strutturato come un lungo flashback, interrotto da brevi ritorni al presente narrativo per consentire ai personaggi di incontrarsi, cenare, spostarsi. Che poi si parla al plurale, ma il protagonista è il solo generale, mente rievocante prima e voce narrante poi di tutta la vicenda: è suo il punto di vista sui fatti narrati, mentre il suo (ex-)amico fugge ai tropici anche quando racconta. La narrazione – che ha un passo ottocentesco anche se ambientata nella prima metà del ventesimo secolo – parte lenta ma attira ben presto l’attenzione: forse, il solo monologo centrale è un pochino troppo lungo in un libro breve, con quel passo talvolta appesantito anche perché alcuni concetti vengono ribaditi più volte. Risulta più brillante la narrazione, affidata ai ricordi, della giovinezza dei personaggi: parte che, però, ha soprattutto la funzione di introdurre il cuore della storia rappresentato proprio dal fiume di parole del generale. In ogni caso, si legge il libro per vedere come andrà a finire, e si superano in scioltezza pagine molto dense che riflettono sull’essenza dell’amicizia, della passione e della vita.
1 vota
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catcarlo | 145 altre recensioni | Oct 8, 2014 |
Un esule racconta la Napoli del dopoguerra, con gli occhi del disincanto ma del rispetto per una città che qualcuno definì nobilissima. Le voci di dentro della capitale del sud e della sua strana popolazione vengono decriptate con gli strumenti della cultura, dell’esperienza, sullo sfondo la storia e la tradizione di Napoli, le esperienze di vita dell’autore che ha incontrato prima i vizi del nazismo, quelli del comunismo poi. E la ragione politica non resta sullo sfondo, la rabbia dell’autore per chi del potere del popolo ne ha fatto una ragione per giustificare misfatti personali, emerge con chiarezza dal secondo capitolo. La prima parte ha un approccio quasi bucolico, d’altronde Virgilio è sepolto da queste parti, la povertà preme ma non riesce a modificare il dna di un popolo. Sono affreschi, pennellate con tinte forti a volte, acquarelli altre. Dal secondo capitolo le storie di Napoli e dei napoletani si alternano nei racconti, con un approccio più autobiografico dove la politica diventa parte essenziale del racconto e Marai si lascia andare ad una serie di considerazioni personali sul senso del governo e della devozione religiosa. E la descrizione del miracolo del santo più offeso di tutto il mondo, squaglialo sto sangue, squaglia, squaglia, San Gennà, faccia gialla, è un abile esercizio di arte narrativa. Il libro si chiude con il Vesuvio, il mare ed il vento, tre compagni eterni dei partenopei che dicono la loro. Marai consegna così alla letteratura uno dei migliori libri scritti su Napoli.
 
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grandeghi | Feb 17, 2014 |
Dopo quarantuno anni di attesa due uomini si incontrano. Durante la cena le parole di Henrik si trasformano in un prolisso monologo finalizzato alla ricerca di certezze.
Un libro i cui temi sono l'amicizia, le incertezze, gli inganni, le gelosie celate... intressate ma l'eccessiva ripetitività ne svilisce la bellezza ai miei occhi.
 
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Ametista. | 145 altre recensioni | Jul 16, 2012 |
Mi è piaciuto moltissimo questo libro di Marai e dato che non è molto lungo, l’ho letto in un paio di giorni.

Trovo che la narrazione de “L’isola” crei una certa suspence perché sembra sempre che il narratore stia per fare una rivelazione e questo meccanismo, malgrado il contenuto sia tutt’altro che avventuroso, stimola l’interesse per la lettura. La prosa poi è estremamente elegante, intensa, limpida e coinvolgente.

Viene raccontata l’inquietudine esistenziale di un professore quarantasettenne, tale Viktor Henrik Askenasi, disperatamente alla ricerca di una “idea”.
L’ha cercata per tutta la vita, nei libri, nella famiglia, nei figli, nelle relazioni sociali, nel sesso, e per trovarla ha provato di tutto, è stato disposto a “sovvertire l’ordine sociale” lasciando la moglie per una ballerina ma alla fine tutto si è rivelato solo un mezzo e non un fine. “Tanto più che non esiste alcun fine. È questo l'aspetto divino, grandioso della concezione, questa mancanza di scopo.”

Molto interessante leggere un ulteriore indagine sull’argomento “senso dell’esistenza”, forse il più dibattuto da quando l’uomo è comparso sulla terra.
 
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lupita68 | 5 altre recensioni | Jul 16, 2012 |
Tema d'eccezione "comincio veramente a credere che esista una forza, un'unica forza, capace di prevalere su tutte le leggi, anche su quelle che governano il tempo e la gravità. Questa forza è l'amore".
Universale, si dice, perché riguarda tutti, ma al tempo stesso singolare perché chiunque può aggiungere qualcosa di personale e unico a quello stesso argomento.

Marai ne scrive in una prosa perfetta, che supera addirittura se stessa quando monologano i vari personaggi, eccellenti anche questi: Casanova, una giovane bellissima e un anziano nobile, ricco e potente. Tipico triangolo, dove però l'ordine consueto delle relazioni viene sovvertito, ed è fatta vacillare ogni certezza.

Il prototipo dell'amante, che vive solo avventure e che ha un'idea romantica di sé "viaggio insieme al chiaro di luna, mi avvolgo nelle nubi, valico le frontiere sulle ali dei venti, per me che nessuno aspetta veramente in nessun luogo e dal quale nessuno si congeda veramente da nessuna parte" ha paura di fronte all'Amore vero.

La giovane irresistibile che tutti fa innamorare e che, fra i "milioni e milioni di uomini che esistono", ne ha scelto uno solo, per il quale darebbe la vita, se offesa non perdona, e fra tutti i sentimenti è dominata dalla sete di vendetta.

Il "vecchio pazzo" che, in delirio di onnipotenza, afferma "Io ti comprerò, figliolo, e tu mi dirai il prezzo" dovrà sorprendersi dell'inaspettata reazione di ognuno dei due innamorati.

Perché l'amore è imprevedibile, ci giochi ma vuole essere preso seriamente, crea dei ruoli ma questi non sono mai definiti - sei preda e sei cacciatore -, ti sembra di fare la rivoluzione ma vuoi anche conservare, ami la libertà ma sei geloso, senti di non resistere senza quella persona e poi scopri che ad attirarti erano "i veli misteriosi" e "i drappi segreti del desiderio e della nostalgia."

L'apologia che fa qui Marai dell'arte dello scrivere è strettamente collegata al tema dell'amore vissuto "perché i veri testi hanno questo di speciale, che si diffondono nel mondo e si mescolano alla vita." Lo scrittore Casanova trascorre un'esistenza a raccogliere esperienze, per scriverne solo quando avrà vissuto abbastanza. La parola scritta ha un potere enorme e lo sa bene il vecchio sposo, che inorridisce alla vista della lettera d'amore di Francesca

"perché la scrittura, per un cuore casto e puro, è il colmo della spudoratezza, tanto che mi riesce più facile immaginarmi Francesca mentre danza su una fune o fa l'amore in un bordello, con freddezza, stringendo a sé un tizio sconosciuto e smanioso, piuttosto che vedermela davanti con la penna in mano, mentre descrive i suoi sentimenti all'uomo del quale è innamorata."

Si potrebbe convenire, prosaicamente, che la cosa migliore in effetti è farlo.
 
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lupita68 | 13 altre recensioni | Jul 16, 2012 |
E' un testo bellissimo; molto teatrale e molto simile a “Le braci” per la tensione creata intorno ad una figura che sta per fare il suo ingresso sulla scena, dopo che sono stati svelati importanti retroscena.

Il racconto di un amore infelice, spinto da Márai fino al limite del patetico (tant'è che nella maggior parte dei commenti dei lettori, Eszter è considerata una povera mentecatta, smidollata, sottomessa, nichilista etc...) è in realtà un pretesto per mostrare un lato della natura umana: l'impotenza di fronte alla fatalità di certi eventi.
Fa rabbia vedere che Eszter non si difende, non lotta, anzi accondiscende alla propria rovina, ma a chi non è mai capitato di soccombere di fronte a un sopruso e pensare - ma come ho potuto? E come ci si sente inadeguati quando non si reagisce prontamente di fronte a un'offesa tanto evidente ma magari ricevuta da chi non ti aspetti - “Cos'altro potevo fare? Lajos è l'unico uomo che abbia mai amato in vita mia”.

Forse la debolezza di Eszter è anche la paura dell'uomo verso ciò che non conosce.
Più volte Eszter, per definire Lajos, usa il termine disumano.

“Lajos si rallegrava o si disperava sempre con il massimo impegno, ma in realtà non sentiva mai nulla. In tutto questo c'era qualcosa di disumano.”

“Ma gettare via qualcuno per semplice distrazione ... è peggio di una mascalzonata. Per un comportamento simile non esistono scusanti, perché è disumano.”

Il comportamento di Lajos sconcerta perché è indegno dell'uomo è quello di una bestia. Non c'è un muro da abbattare per vedere oltre, c'è solo un muro contro cui sbattere e arrendersi, prendendo atto dei propri limiti.
 
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lupita68 | 14 altre recensioni | Jul 16, 2012 |
Quasi un monologo, un' unica voce lucida e spietata.
 
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etta | 145 altre recensioni | Nov 22, 2009 |
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