Immagine dell'autore.
88+ opere 2,452 membri 47 recensioni 11 preferito

Recensioni

Italiano (21)  Inglese (18)  Olandese (4)  Francese (2)  Spagnolo (1)  Catalano (1)  Tutte le lingue (47)
Mostra 21 di 21
L'edizione di riferimento dei testi di Gadda prima della recente per Adelphi.
 
Segnalato
martinoalbonetti | Dec 8, 2023 |
L'italiano è una lingua accademica e quasi sempre da cerimonia, cauta e riottosa a farsi nuova e varia, vedi le varie ostilità alle parole nuove e straniere, sempre in guardia contro le nuove accessioni. Resta comunque una lingua da elite, quando non di casta e di classe. Leggere Carlo Emilio Gadda in piena rivoluzione comunicativa, al tempo di Internet, significa confrontarsi con uno splendido linguaggio, articolato e pieno di voci romane, insaporito di scatti ed invenzioni linguistiche di umore dialettale, pieno di corrotta sapienza.Il tutto per raccontare una storia italiana, di una umanità infima e falsa ma piena anche di fiera umanità tenera e oscura insieme.Il libro fu scritto oltre mezzo secolo fa e si sente il tempo nella narrazione piuttosto barocca. Mai finito di leggere ...

Ho ripreso la lettura, è un romanzo che sfida le facili categorizzazioni. Sebbene sia un romanzo poliziesco al suo interno, è anche un'opera di critica sociale, una satira della società italiana e un tour de force linguistico.

Una delle caratteristiche più sorprendenti del romanzo è l'uso del linguaggio. Gadda era noto per la sua sperimentazione con il linguaggio, e in "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" impiega una serie vertiginosa di dialetti, slang e gergo tecnico. Questa complessità linguistica riflette la frammentazione e la confusione dell'Italia del dopoguerra e aggiunge un ulteriore livello di significato alla trama già complessa del romanzo.

Un altro aspetto notevole del romanzo è il suo ritratto della società italiana. Gadda utilizza l'indagine sull'omicidio come mezzo per esplorare il mondo corrotto e stratificato della Roma del dopoguerra, dove ricchi e potenti sfruttano impunemente poveri ed emarginati. Il romanzo critica anche il sistema giudiziario italiano, descritto come inefficace e facilmente manipolabile da chi detiene il potere.

Nonostante la sua cupa visione della società italiana, "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" è anche un'opera profondamente umanistica. I personaggi del romanzo sono complessi e imperfetti, ma anche simpatici e riconoscibili. Attraverso le loro lotte e interazioni, Gadda dipinge un quadro vivido della vita nell'Italia del dopoguerra, con tutte le sue contraddizioni e complessità.

Nel complesso, "Querpasticciaccio brutto de via Merulana" è un'opera letteraria ricca e gratificante che premia l'attenta attenzione e la lettura attenta. La sua trama intricata, i personaggi complessi e l'inventiva linguistica ne fanno un capolavoro della letteratura italiana e una lettura obbligata per chiunque sia interessato al genere poliziesco, alla cultura italiana o alla condizione umana.
 
Segnalato
AntonioGallo | 24 altre recensioni | May 27, 2021 |
 
Segnalato
ScarpaOderzo | Apr 13, 2020 |
 
Segnalato
ScarpaOderzo | 6 altre recensioni | Apr 13, 2020 |
Raccolta di racconti, di cui alcuni, in particolare i primi, hanno aspetti divertenti. Sono situazioni stralunate descritte a volte con tratti linguistici irresistibili. Altri, come ‘la passeggiata autunnale’ hanno un tono molto diverso e un carattere fosco che non mi è parso attraente. Gadda è un autore che ogni tanto può far piacere prendere in mano, ma a piccole dosi. Io, almeno arrivo, presto alla saturazione. Per certi versi alcuni scritti di Gadda mi ricordano Savinio, ma Gadda è molto più eterogeneo e Savinio più costantemente surrreale (anche se non gli piaceva per niente che si parlasse di lui accostandolo al surrealismo).
 
Segnalato
Marghe48 | Apr 22, 2018 |
“Per intervalli sospesi al di là di ogni clàusola, due note venivano dai silenzi, ritenute e profonde, come la cognizione del dolore: immanenti alla terra, quandoché vi migravano luci ed ombre”

Leggere “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda sperando di riuscire a esplorare tutti gli abissi dell’inconscio che lo scrittore apre in ogni pagina è soltanto una vana speranza, si corre il rischio, più che altro, di rimanerci intrappolati.
La scrittura iperletteraria di Gadda è un continuo gioco di richiami e di interpretazioni, a volte criptica fin troppo, a volte lirica o poetica fino allo struggimento, ma sempre, quando credi di aver capito qualcosa, non hai fatto altro che spalancare l’ennesimo abisso. Proverò comunque, per quello che mi riguarda, a dare un senso a tutto questo, altrimenti sarà stato inutile leggerlo.
È un romanzo autobiografico rimasto incompiuto e dato alle stampe quando Gadda aveva ormai smesso di scrivere da un pezzo, a nulla valsero le pressioni dell’editore perché lo terminasse, cosa che forse non era nemmeno nelle intenzioni dell’autore.
Con questo scritto Gadda mette in campo tutta la sua arte letteraria con una scrittura sovradimensionale che va ancora oltre, se possibile, quella del “pasticciaccio”.
Le chiavi per l’interpretazione del romanzo sono tutte nella vita dello scrittore, che sarebbe bene conoscere, almeno per sommi capi, prima di leggere il libro.
La prima e più importante di queste chiavi è la casa in Brianza mai amata dallo scrittore perché ritenuta causa della rovina economica della famiglia poi la morte del fratello al fronte della grande guerra; la sua stessa prigionia dopo la disfatta di Caporetto e infine il conflittuale rapporto con la madre che, di fatto, gli impedì di intraprendere la carriera letteraria e non volle abbandonare la casa dopo la morte del padre.
La cognizione del dolore è un lungo itinerario, un viaggio lungo una vita, che tutti percorriamo, perchè il dolore è una costante che ci accompagna dalla nascita, accettarlo e averne cognizione è un’altra storia e questo è ciò che Gadda prova a fare.
Il romanzo è incompiuto, come l’incompiutezza stessa della vita, a dimostrare che nulla di quello che ci riguarda è prevedibile in un percorso che dietro formali apparenze nasconde l’immensa e fragilissima condizione umana. Tra i tanti significati attribuibili a quest’opera forse uno è proprio questo, arrivare ad accettare la nostra condizione potrà forse darci una cognizione di quel dolore compagno inseparabile del nostro percorso terreno.
Sembra facile, ma non lo è, lui stesso per primo è restio ad accettare una condizione che non lascia scampo, la sua arma di difesa saranno le parole, uno strumento che adopererà con estrema e sofisticata arte unita ad una ricerca parossistica che esplorerà le possibili vie d’uscita, se mai ce ne sono, a questa dura condanna; l’alternativa potrà essere solo ritrovarsi a vagare con la mente in uno dei posti in cui la nostra disperazione più si è addensata negli anni, una tragedia come quella che lui immagina per la madre rimasta sola nella odiata casa:

“Vagava, nella casa, come cercando il sentiero misterioso che l'avrebbe condotta ad incontrare qualcuno: o forse una solitudine soltanto, priva d 'ogni pietà e d'ogni immagine. Dalla cucina senza piu fuoco alle stanze, senza piu voci: occupate da poche mosche. E intorno alla casa vedeva ancora la campagna, il sole. Il cielo, cosi vasto sopra il tempo dissolto, si adombrava talora delle sue cupe nuvole; che vaporavano rotonde e bianche dai monti e cumulate e poi annerate ad un tratto parevano minacciare chi è sola nella casa.”

Una solitudine priva di ogni pietà e di ogni immagine sotto un cielo vastissimo a coprire la dissoluzione del tempo nel posto che più abbiamo odiato in vita, sarà forse questa la condizione necessaria per avere finalmente una cognizione del dolore che ci porti ad accettare le nostre umane miserie…
 
Segnalato
barocco | 6 altre recensioni | Oct 8, 2017 |
“l’integrale dei fuggenti attimi è l’ora: l’ora impareggiabile, dove un pensiero esatto si deroga a speranza e ad angoscia, come saettata spola, nell’ordito degli sguardi furtivi, dei muti dissensi, dei muti consentimenti.”

In un miscuglio di dialetti, di neologismi inventati e parole storpiate, hanno luogo le acrobazie verbali con cui Carlo Emilio Gadda opera il dispiegamento della costruzione sintattica nella sua massima espressività.
Gadda usa questa costruzione per scardinare il sistema con i suoi effimeri gerarchi; un apparato linguistico straordinariamente barocco come metafora di una società in stato di quiescenza, ammaliata da falsi miti, che lui, attraverso il dolore estrinseco delle parole cerca di risvegliare dal torpore.
Lettura di notevole difficoltà che andrebbe, cosa che personalmente ho fatto, diluita, per meglio essere recepita.
La complessità stilistico linguistica di Gadda non è fine a se stessa, né tantomeno si tratta di inutili ghirigori lessicali, tutto corrisponde a una precisa costruzione con al centro l’uomo e i suoi tanti interrogativi, un autentico gnommero il cui dipanarsi è rappresentativo delle molte vite che si intrecciano intorno a vicende che solo all’apparenza non hanno nulla in comune.
Lo stesso Don Ciccio, esempio specifico del groviglio narrativo che si svilupperà in seguito ai delitti di Via Merulana, non sarà da solo ad affrontare le indagini che dovranno dimostrare l’inadeguatezza umana, per certi aspetti irrisolvibile, che Gadda vuole portare al centro della sua ricerca.
La conclusione del pasticciaccio avrà un esito compiuto, ma solo per la ricerca gaddiana, tesa a dimostrare l’imperfezione degli uomini, proprio per questo soggetti a quello che sosteneva Don Ciccio…

“Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti.”
 
Segnalato
barocco | 24 altre recensioni | May 25, 2017 |
Riordinando le macerie di un lavoro mai finito negli anni Trenta e intitolato ‘Un fulmine sul 220’, Gadda tratteggia un’immagine, ora affettuosa ora - molto più spesso – ironica, della sua città e, soprattutto, di coloro che ci vivono prima di rivolgersi ad altri lidi – non a caso la pubblicazione avviene a Firenze dove lo scrittore si è trasferito. La milanesità e l’ingegneria sono le caratteristiche distintive di queste pagine in cui la capitale lombarda è ricordata con un velo di rimpianto se si tratta dell’inizio Novecento (periodo legato all’infanzia dell’autore), ma con un umorismo che si fa a volte davvero feroce laddove si parla dei lustri successivi al primo conflitto mondiale. La critica che si appunta sulle mediocri abitudini della borghesia produttiva fa parere meno avulsi dalla raccolta i due episodi tratti da ‘La cognizione del dolore’: basti pensare a Gonzalo respinto dai concittadini perché in qualche modo ‘diverso’ in ‘Strane dicerie’ (di cui va segnalata almeno la spettacolare divagazioni su fulmini e parafulmini) e poi, davanti a un misero piatto di minestra, invidioso di una popolazione locale che brilla per le ricchezze e le volgarità elencate con cura in ‘Navi approdano al Parapagàl’. L’apertura di ‘Notte di luna’ non appartiene al ‘Fulmine’ e ha la funzione di preludio: un avvio lento, a cui contribuiscono complesse scelte sintattiche e di vocabolario, si allarga morbidamente in una sorta di elaborato piano-sequenza che dagli elementi di paesaggio (naturali e non) va a stringere su di una varia umanità che, nella sera, torna dal lavoro. I leggeri tocchi umoristici si trasformano in ben altro dal racconto successivo, col quale si comincia a penetrare nelle case della borghesia dei danée: i Cavenaghi de ‘Quando il Girolamo ha smesso...’ affrontano il trasloco e, in contemporanea, il fallimento della ditta che lucidava i parquets di casa (per mano di un Jordan Belfort dell’epoca) oltre alla gravidanza della cameriera; tra simili problemi con la servitù, i De’ Marpioni vanno a caccia dell’erede maschio dopo quattro femmine mentre donna Giulia fa impazzire i commessi dei bei negozi del centro (‘Quattro figlie ebbe e ciascuna regina’); ‘I ritagli di tempo’ dei Caviggioni trascorrono nella lettura del "Guerin Meschino", lo studio del tedesco e la frequentazione della Biblioteca Linguistica, ma il loro atteggiamento trasuda la più assoluta superficialità. Il tutto raccontato nel consueto procedere erratico con lunghissime parentesi che portano il narratore lontanissimo costringendolo a un precipitoso ritorno alla comunque ondivaga linea narrativa: la lingua resta complessa, intessuta dalla vasta cultura gaddiana, ma sempre vivace grazie anche alle numerosissime commistioni vernacolari che regalano un ritmo peculiare. Questo vale sia nell’altro episodio non proveniente dal romanzo originale (in ‘Claudio disimpara a vivere’ il giovanotto del titolo mette a rischio un buon matrimonio per troppa sincerità in campo ingegneristico) sia nel crescendo che si va configurando nei tre racconti conclusivi. ‘Un «concerto» di centoventi professori’ racconta il rito del concerto domenicale al quale tutti partecipano perché è bene apparire benché la musica non interessi a nessuno. Accompagnata dal nipote, ma quasi coetaneo, è qui filo conduttore Elsa Caviggioni, che doveva essere protagonista del testo primigenio prima di esserne spodestata dalla cognata Adalgisa, come si può ben vedere dai brani che seguono. ‘Al Parco, in una sera di maggio’ ha un tono più elegiaco, introducendo il ritratto, nella figura di donna Eleonora, della decaduta e rancorosa nobiltà meneghina, ma già lì, provando a rincuorare Elsa, inizia a scaldare i motori l’Adalgisa, poi formidabile motore del lungo pezzo che da lei prende il nome. La prorompente vitalità (e fisicità) di questa figlia del popolo bottegaio che è riuscita a salire la scala sociale per mezzo delle nozze con il ‘povero Carlo’ si esprime in una veemente narrazione che va dalle esibizioni come cantante lirica nei teatri di terz’ordine all’irritazione che le dimostrano le donne della tribù in cui è entrata sposandosi: un’alluvione di ricordi che consentono a Gadda di sbrigliare al meglio la penna, raffinando ancor di più le caratteristiche della sua scrittura che ne conferma lo status di grande della letteratura italiana. Si ride spesso, anche se in modo amaro, e ci si fa trascinare volentieri da una specie di sarabanda che dà pochi punti di riferimento, ma pure un estremo piacere di lettura a chi abbia appena la voglia di impegnarsi a districare i significati e le sensazioni che si intrecciano sulla pagina. A tal proposito, intervengono le numerose note che l’autore ha inserito al termine di ogni racconto, in gran parte a spiegazione dei termini dialettali, ma spesso anche come occasione di ulteriori, argute osservazioni e uscite dal seminato.
 
Segnalato
catcarlo | 1 altra recensione | Apr 15, 2016 |
I diciannove racconti di questa raccolta hanno provenienza e periodo di stesura assai eterogenei, ma testimoniano la vitalità della scrittura di Gadda, tutta attraversata da uno spiccato gusto per la deviazione imprevista e dalla predilezione per il suono della parola scritta (mi si perdoni l’ossimoro) grazie a una lingua continuamente ricreata e ricca di elementi eterogenei che vanno dal dialetto, milanese ma non solo, ai linguaggi tecnici. Insomma, tutto un giro di frase per dire che questi scritti sono semplicemente strepitosi: non sono magari facili da leggere, ma, una volta afferrato il loro ritmo interiore, garantiscono un viaggio che può portare alla risata caricaturale oppure alla commozione più profonda. I testi furono sistemati dallo stesso ingegnere per chiudere un debito con Garzanti in un momento in cui si barcamenava tra tre editori, come ben racconta la lunga postfazione dei curatori del volume: ci sono capitoli di libri, come ‘La meccanica’ e ‘la cognizione del dolore’, così come brani usciti su varie riviste, a dimostrazione che i materiali gaddiani sono sempre stati oggetto di profonda rielaborazione, magari dopo lunghi periodi di abbandono. L’ordine è cronologico e perciò le pagine iniziali riguardano i tempi della prima guerra mondiale: si prendono le mosse con gli imboscati, sia nel quadro popolare di ‘Cugino barbiere’ (dove il veneto dell’avvenente Zoraide fu ’doppiato’ da Goffredo Parise), sia in quello borghese di ‘Papà e mamma’, primo affondo umoristico contro la classe, in special modo meneghina, che non esita a spedire il figlio in fabbrica pur di evitargli il fronte. Dopo l’intermezzo comico de ‘Le novissime armi’ (in cui un ingegnere millanta di poter far esplodere le armi nemiche a distanza) e il piccolo quadro di vita militare con i cinque alpini in libera uscita di ‘Dopo il silenzio’, l’attacco alla società milanese si ripropone nello sfavillante ‘San Giorgio in casa Brocchi’. In una casa della piccola nobiltà, una madre cerca di tenere il figlio lontano dal peccato, ma ovviamente non ci riuscirà, malgrado le severe lezioni dello zio Agamennone e lo studio di Cicerone (divertentissimo il capitolo in cui la vita dell’oratore romano viene, per dir così, rivisitata). Subito dopo, arriva l’apice della raccolta, ovvero ‘L’incendio di via Keplero’, tragicommedia di stampo popolare in cui le fiamme del titolo sono il pretesto per raccontare le bassezze degli abitanti dello stabile in un crescendo di ritratti graffianti da cui escono bene soprattutto gli irregolari e gli emarginati. E’ notevole, a questo punto, lo stacco segnato dall’accoppiata ‘Una visita medica’/’La mamma’ che restituiscono tutta la cupezza de ‘La cognizione del dolore’ da cui provengono, con il loro ritratto di vite quasi cristallizzate nella sofferenza. La stessa mestizia si ritrova nell’addio alla casa paterna (mangiata dai debiti) de ‘La domenica’ mentre il nome Gonzalo riappare in ‘La sposa di campagna’, sardonico e un po’ inquietante nel raffigurare quasi come una strega la tabaccaia Marianna nella sua bottega: A questo punto, i racconti si fanno più brevi e finiscono per far prevalere l’amarezza e una sconsolata narrazione dei piccoli rituali della provincia italiana: il mediocre tradimento di ‘Una buona nutrizione’, il desiderio represso tra la padrona di una pensione e un suo cliente sullo sfondo della Roma mussoliniana di ‘Socer generque’, il rapporto inespresso tra tre studenti e la loro insegnante di storia dell’arte ne ‘Il club delle ombre’. Dopo il tocco di delicatezza di quet’ultimo, ecco il divertito ‘Il bar’, dove si dimostra che essere lasciati non è sempre una disgrazia, per poi giungere al più complesso ‘Prima divisione nella notte’ che inizia con le schermaglie tra una madre e un’amante che si contendono un ragazzo destinato a morire in guerra (fondamentalmente per l’insipienza dei comandi italiani). A chiudere il libro, il brano che lo intitola: racconto dalla complessa genesi che narra della politica matrimoniale di un arricchito per mantenere unita la ‘roba’, ma soprattutto è un’acuta analisi di vari tipi caratteriali fra i quali le donne fanno la parte del sesso forte. La deviazione finale dimostra come a Gadda non importasse più di tanto la coerenza della trama, preferendogli l’approfondimento di un interesse momentaneo, ma chi fosse interessato può dare un’occhiata al progetto completo descritto in appendice con il recupero di ulteriori materiali: curiosità interessante ma non davvero fondamentale per apprezzare un libro davvero affascinante.
 
Segnalato
catcarlo | 1 altra recensione | Feb 4, 2015 |
Espressionista è il termine più adatto. Senz'altro lo è lo stile, con un lessico pieno di arcaismi, prestiti dialettali, francesismi, spagnolismi, al punto che fin dall'inizio ho assunto l'atteggiamento che ho quando leggo un libro in inglese: mi rassegno a non capire a fondo tutte le frasi, e continuo la lettura.

Ma anche la trama: in particolare, la seconda parte inizia con trenta pagine che descrivono una scena che si svolge in pochi minuti, perdendosi in cento digressioni. E il "finale", frutto dell'incompiutezza del libro, ma che ben si addice all'espressionismo del tutto.
 
Segnalato
marcel.bergeret | 6 altre recensioni | Dec 16, 2012 |
Testimonianza straordinaria di Carlo Emilio Gadda in una raccolta di tutti i diari del sottotenente degli alpini. Tra le sue esperienze di vita troviamo la battaglia di Caporetto e la prigionia presso i nemici austriaci. Gadda riesce a cogliere il vasto contesto storico e umano dove s'inseriscono le vicende chiave della storia del nostro paese.
 
Segnalato
BiblioLorenzoLodi | 3 altre recensioni | Mar 16, 2012 |
Non si può fare una recensione di un libro di Gadda. Si può solo consigliarlo vivamente a tutti.
1 vota
Segnalato
ddejaco | Aug 5, 2010 |
Roma durante il fascismo. Il commissario di polizia don Ciccio Ingravallo è incaricato di svolgere un’inchiesta su un furto di gioielli avvenuto al 219 di via Merulana, una via popolare nel cuore di un vecchio quartiere. Nella casa abitano due amici del commissario: i coniugi Balducci, dai quali è solito andare a pranzo nei giorni festivi. Per lo scapolo don Ciccio Liliana Balducci è l’incarnazione della dolcezza e della purezza femminile. Un mattino, Liliana viene rapinata e selvaggiamente assassinata nel suo appartamento: il furto dei gioielli e l’assassinio sono opera di una stessa persona? Da questi episodi, intessuti su un fatto di sangue realmente accaduto, prende il via il romanzo gaddiano.
Apparso in «Letteratura» nell’immediato dopoguerra (1946-47), Quer pasticciaccio brutto de via Merulana fu scritto a Firenze nel ricordo di un lontano soggiorno nella capitale (1926-27). La versione qui proposta è quella defi nitiva del 1957, di cui nel 2007 cade il cinquantenario. Gadda costruisce un intrigo poliziesco che gioca su un duplice registro: può essere letto, infatti, come eco del mondo e come bricolage letterario.
Il fascismo, la morte, il lenocinio, il furto, le bassezze degli uomini – tutte metafore di un male oscuro – conducono il lettore dallo sgomento al riso, ricordandogli che il mondo è teatro e quindi parodia...
2 vota
Segnalato
edascenzi | 24 altre recensioni | May 24, 2010 |
Un romanzo che richiede una seconda lettura per superare alcuni ostacoli, ma la fatica è ben ripagata. Ci sono dei passi entusiasmanti e delle acrobazie linguistiche che fanno scattare l'applauso, almeno il mio.
Perché leggerlo? Perché è un classico della letteratura italiana ed i classici bisogna leggerli: sono libri più densi degli altri, arricchiti da anni e anni di letture e di interpretazioni, di analisi critiche. Il tempo è poco per cui bisogna scegliere ciò che vale di più e cogliere i fiori più profumati.
La storia e coinvolgente ed i personaggi sono vivi. La lettura mi ha messo davanti una Roma poco trafficata, non rumorosa, un po' polverosa, con tanta campagna intorno ancora vergine. Una Roma plebea, popolare e impiegatizia. Ma anche piena di colori nei mercati e nella folla. Quando un libro ti porta a vivere in un mondo diverso, insieme con i suoi personaggi, ha raggiunto un grande risultato.
E poi c'è il linguaggio, spesso difficile, talvolta incomprensibile, ma che rappresenta pur tuttavia una sfida da superare per entrare in una dimensione nuova. Ci sono descrizioni e br
ani che suscitano sorpresa, meraviglia, stupore anche per la grande capacità di Gadda di presentarci con ironia situazioni e personaggi. Questo romanzo è una festa di fuochi artificiali.
3 vota
Segnalato
ren47 | 24 altre recensioni | Dec 30, 2009 |
Alla suggerita fascinazione per la complicità saffica di Liliana è dedicato il passaggio più bello di sempre, tipo.
 
Segnalato
vagueFROIDE | 24 altre recensioni | Mar 26, 2009 |
il più "facile" Gadda... più che uno scrittore.. un compositore della parola. Qui si cimenta con un idioma non suo... e riesce
1 vota
Segnalato
Pensieri | 24 altre recensioni | Jul 3, 2008 |
Mostra 21 di 21