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Sibilla Aleramo (1876–1960)

Autore di Una donna

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Informazioni generali

Nome canonico
Aleramo, Sibilla
Nome legale
Faccio, Rina (nascita)
Pierangeli, Rina (coniugata)
Altri nomi
Faccio, Rina (birth)
Pierangeli, Rina
Data di nascita
1876-08-14
Data di morte
1960-01-13
Luogo di sepoltura
Cimitero Monumentale al Verano, Rome, Italy
Sesso
female
Nazionalità
Italia
Luogo di nascita
Alessandria, Italia
Luogo di morte
Roma, Italia
Luogo di residenza
Alessandria, Italia
Roma, Italia
Milano, Italia
Civitanova Marche, Italia
Attività lavorative
Writer
feminist
diarist
social activist
Relazioni
Campana, Dino (lover)
Cardarelli, Vincenzo (lover)
Papini, Giovanni (lover)
Boccioni, Umberto (lover)
Breve biografia
Sibilla Aleramo was the pen name of Rina Faccio, born in the Piedmont region of Italy. Her father managed a glass factory, where she was working at age 15 when she was raped by Ulderico Pierangeli, another employee. She was persuaded to marry him when she found she was pregnant with her son Walter. In 1899, she was offered the chance to direct a women's magazine in Milan, where she moved for a short time. In 1901, when her husband demanded her return, she left him and moved to Rome. There she began a liaison with Giovanni Cena, a journalist and writer, who encouraged her to publish her semiautobiographical debut novel, Una donna (A Woman, 1906) under her pseudonym. The book sent shock waves through the European literary establishment and is now considered a landmark in the history of Italian feminism. Its author became one of Italy's leading feminists. She went on to publish collections of poetry and other fictionalized memoirs. She also became a social activist and with physician Angelo Celli and his wife Anna Fraentzel Celli, became deeply involved in the campaign to eradicate malaria from the lands around Rome.

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Recensioni

L'attualità di questo romanzo autobiografico mette i brividi: scritto nel lontano 1906, parla della vita difficile di una donna stuprata e costretta ad un matrimonio riparatore con un uomo che non stima – e come potrebbe?

Lo stronzo, tra l'altro, si permette pure di picchiarla perché non è sottomessa come dovrebbe. Qualcuno si meraviglia che la protagonista/Aleramo abbia tentato il suicidio? E che l'unica, successiva preoccupazione del marito, della suocera e della cognata sia stata quella di evitare uno scandalo?

Confinata in un paesino pieno di bassezze e ignoranza, la protagonista/Aleramo, infatti, è totalmente isolata da qualunque sollievo o aiuto. Non che, ai tempi, la legge fosse particolarmente favorevole alle donne, come la Aleramo scoprirà suo malgrado: separatasi dal marito, infatti, sarà costretta a non vedere più suo figlio.

Non so bene cos'altro scrivere perché è stata una lettura che mi ha colpita a un livello viscerale. Dalle pagine della Aleramo ho sentito il dolore e la sofferenza di tutte le donne vittime di violenza. È un libro che mi sento di consigliare a chiunque.
… (altro)
 
Segnalato
lasiepedimore | 11 altre recensioni | Sep 12, 2023 |
Questo romanzo di Sibilla Aleramo è del 1906. La sua immediata fortuna in Italia e nei paesi in cui fu tradotto segnalò una nuova scrittrice, che in seguito avrebbe fornito altre prove di valore, segnatamente nella poesia. Ma soprattutto esso richiamò l'attenzione per il suo tema: si tratta infatti di uno dei primi libri 'femmisti' apparsi da noi.
 
Segnalato
BiblioLorenzoLodi | 11 altre recensioni | Dec 8, 2019 |
citazione :
Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
 
Segnalato
Arci.Iseo.Bs | 11 altre recensioni | Feb 16, 2017 |
Non fu certo l’inquieto e fremente “femminismo” che trasuda da quelle pagine - inimmaginabili per l’Italia d’inizio secolo, ma pur sempre zeppe di esclamativi e di parole zuccherose e ottocentesche - a decretare il successo, la modernità, l’impudenza del romanzo e, quindi, la fama della sua autrice; bensì l’insanabile dicotomia tra la maternità vissuta in mezzo a carne e sangue («...quelle membra che erano uscite da me, io le pensava istintivamente animate dall’identico mio soffio…»), gridata, sospirata con sdolcinato ardore e la decisione finale di abbandonare all’educazione del marito ripudiato la tanto amata creatura: «Ora per ora sentivo di amarlo in modo sempre più delirante…».… (altro)
 
Segnalato
giuliamarangi | 11 altre recensioni | Sep 29, 2009 |

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