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Byung-Chul Han è un filosofo pop coreano di nascita e tedesco di formazione. Con un dottorato su Heidegger alle spalle, ha avuto la brillante idea di scrivere uno «sciame» (il termine è suo) di libri brevi e ragionevolmente semplici sul senso del nostro tempo. I temi prescelti sono temi rilevanti del presente, a cominciare dalla condizione digitale in cui siamo volenti o nolenti immersi. A voler essere maliziosi, si può dire che Byung-Chul Han ti fa saggiare il profumo della filosofia a costo non troppo alto e quindi fa sentire sofisticato anche chi non lo è, lusingandolo assai. A voler essere generosi, si può dire che il nostro ha acume da vendere, che il misto East-West è premiante e che in fondo continua un discorso che era stato aperto, in maniera più profonda, dalla Scuola di Francoforte (certo, da Adorno a Habermas siamo ad altri livelli, ma questo per la verità vale per quasi tutti quelli che si occupano di filosofia della cultura). Il suo ultimo libro tradotto in italiano (l’originale tedesco è del 2020), intitolato Infocrazia: le nostre vite manipolate dalla rete, è un esempio chiaro di quanto detto. Del fatto che la digitalizzazione sia pervasiva e invada tutti gli ambiti delle nostre vite c’è poco da dubitare. Tra i vari ambiti in questione c’è sicuramente quello della politica e dell’economia. Infocrazia è il nome che Byung-Chul Han sceglie per definire e discutere il regime istituito dal capitalismo dell’informazione e dalla politica nell’età digitale ... Appartiene alle Collane Editoriali
The tsunami of information unleashed by digitization is threatening to overwhelm us, drowning us in a sea of frenzied communication and disrupting many spheres of social life, including politics. Election campaigns are now being waged as information wars with bots and troll armies, and democracy is degenerating into infocracy. In this new book, Byung-Chul Han argues that infocracy is the new form of rule characteristic of contemporary information capitalism. Whereas the disciplinary regime of industrial capitalism worked with compulsion and repression, this new information regime exploits freedom instead of repressing it. Surveillance and punishment give way to motivation and optimization: we imagine that we are free, but in reality our entire lives are recorded so that our behaviour might be psychopolitically controlled. Under the neoliberal information regime, mechanisms of power function not because people are aware of the fact of constant surveillance but because they perceive themselves to be free. This trenchant critique of politics in the information age will be of great interest to students and scholars in the humanities and social sciences and to anyone concerned about the fate of politics in our time. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)303.4833Social sciences Social Sciences; Sociology and anthropology Social Processes Social change Causes of change Development of science and technology Communication, information technologyClassificazione LCVotoMedia:
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Han sostiene che ormai lo spazio per il confronto sia diventato marginale anche grazie alla diffusione pervasiva di informazioni che renderebbero superflua qualsiasi attività di dialogo e, quindi, di ascolto dell’altro.
Verità e menzogna in questo mondo sommerso da dati diventano valori del tutto irrilevanti, come diventano irrilevanti il discorso e la narrazione. Preoccupante. Come è preoccupante la considerazione che emerge anche nelle pagine di Reckwitz sulla capacità delle destre di fornire narrazioni “coerenti” capaci di supportare la ricerca di identità sociale da cui siamo ormai praticamente espropriati.
Han analizza il pensiero di vari autori. Cita Benjamn, Arendt, Luhumann, Pentland, Habermas ed altri. Mi sembra curioso che in un contesto come questo, dove dati e informazioni sono al centro della riflessione, manchino pensatori come Popper, Khun, Morin. Perché?