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Recensioni

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Ho cercato questo libro spinto da un post di facebook sulla parabola della rana bollita. Possibile - mi sono chiesto - che Chomsky vi abbia dedicato del tempo? Sì, è possibile. La riflessione di tutto il libro è sul potere della comunicazione e sulla capacità che ha chi la controlla di influenzare le scelte in una “democrazia”.
 
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claudio.marchisio | Aug 31, 2023 |
E' il primo libro di Chomsky che leggo, dopo averne tanto sentito parlare.
Nel complesso esprime concetti che personalmente apprezzo, ma non universalmente condivisi al giorno d'oggi.
Qualche passaggio un po' difficile, ma aiutano molto le fonti citate a fianco.
Da consigliare ai giovani!!
 
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ginsengman | Dec 31, 2021 |
Nonostante le mie ottime intenzioni e la passione per la materia, confesso di non essere riuscito a finire questo libro. Caso per me del tutto eccezionale, in genere vado sempre fino in fondo anche in presenza di cagate pazzesche. Eppure il libro è interessante, gli argomenti ci sono tutti, ma allora cos’è che non è andato, dove è stato il corto circuito tra me e Chomsky. Semplice, nella faziosità dell’autore nel raccontare la faziosità dei media. Nel libro vengono sostanzialmente ripercorsi i modi narrativi della stampa internazionale rispetto all’assassinio di appartenenti ad ordini religiosi, alle elezioni in Salvador, Honduras e Nicaragua ed alla rappresentazione della guerra in Indocina. L’obiettivo di Chomsky è rappresentare le distorsioni, o meglio le asimmetrie nella rappresentazione dei fatti, per piegare gli stessi rispetto agli interessi del potere. E’ la parte migliore del libro, perché ha una indubbia valenza storica, l’omicidio di Popieluszko in Polonia, ad esempio, lo ignoravo del tutto. O la storia recente del centro America, la rivoluzione sandinista in Nicaragua, il controllo degli stati centrali da parte degli Stati Uniti. Ma, come detto, nonostante la valenza storica del lavoro degli autori, e l’interesse per glia argomenti addotti, il libro è fazioso, un manicheismo inverso che ad un certo punto ho trovato intollerabile. Ottima, invece, la postfazione di Alberto Leiss e Letizia Paolozzi con la quale i due autori forniscono un’ottima panoramica del pessimo modo di rappresentare i fatti da parte dei mezzi di comunicazione de noartri.
 
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grandeghi | 25 altre recensioni | Mar 14, 2017 |
Bagno di Sangue, scritto dal celebre linguista Noam Chomsky e dall'esperto di economia politica Edward Herman, è una controinchiesta del 1973 sulla gestione della politica estera statunitense, basata sull'esportazione del conflitto armato e sulla disinformazione per rendere digeribile all'opinione pubblica l'aggressione ad altre nazioni, spacciata per "intervento pacificatore"; punto cruciale dell'opera è il Vietnam, ma il libro si occupa anche di altri "interventi" U.S.A. precedenti: Guatemala, Brasile, Grecia etc.
Il libro, che negli Stati Uniti avrebbe dovuto uscire per Warner Modular Publications - una sussidiaria di Warner Bros. - fu da subito osteggiato dalla casa madre; (William Sarnoff, responsabile della Warner Communications, lo definì "indegno di un editore serio"; Bagno di Sangue non fu distribuito negli U.S.A. e solo 500 copie della prima stampa sono sopravvissute.
Il testo introduttivo di Jean Pierre Faye "Arcipelago Bloodbath" fu scritto per l'edizione francese; Faye definì Bagno di Sangue rilevante quanto "Arcipelago Gulag" di Solzenitsyn.

Sommario:
- Nota dell'editore
- Arcipelago Bloodbath (Jean Pierre Faye, Settembre 1974)
- Prefazione all'edizione americana (Richard Falk, Luglio 1973, Hardwick VT)
- Introduzione
- Parte prima - Bagni di sangue benigni e costruttivi
- Parte seconda - Bagni di sangue costruttivi nel Vietnam
- Parte terza - Bagni di sangue nefasti e mitici
- Parte quarta - L'accelerazione dei bagni di sangue nel Vietnam del Sud
- Appendice - Indocina: Quang Ngai (Jane e David Barton, 20 Giugno 1973)
- Documenti - L'affare Colby (J.P. Faye, Noam Chomsky, Laurence Stern)
 
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infoshoplatalpa | Apr 28, 2015 |
la lotta che deciderà il destino di Israele si combatte su tre fronti. Sul piano locale è in atto un conflitto fra due gruppi nazionali, gli ebrei d'Israele e gli arabi palestinesi, che accampano diritti sopra un territorio che entrambi considerano la propria patria. Ma dal 1948 il conflitto locale è diventato un più vasto conflitto regionale fra Israele e gli stessi arabi, in cui il popolo palestinese è in genere ridotto al ruolo passivo di vittima. E se le parti in causa nel conflitto locale non raggiungeranno un accordo durevole,le superpotenze cercheranno di imporre un assetto rispondente ai loro interessi...Questi saggi sono motivati dalla convinzione che una qualche forma di binazionalismo socialista offra la migliore speranza per conciliare le giuste e urgenti rivendicazioni delle due parti in lotta e che, per quanto oscure sembrino le prospettive, è importante tener viva questa speranza finché i movimenti popolari sia d'Israele sia della Palestina si muoveranno per farne una realtà.
 
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BiblioLorenzoLodi | 1 altra recensione | Nov 8, 2011 |
Molti degli intellettuali e degli scienziati in generale scindono la teoria dalla prassi. E' un fenomeno strano eppure succede spesso; in questo mondo troviamo veterinari che curano animali di mattina e li mangiano la sera, politici contro la droga che si fanno le canne, premier contro l'illegalità che frodano lo stato, ecc... In mezzo a questo marasma di quelli che a Napoli sono definiti “quaqquaraquà”, c'è un uomo che ha dedicato la sua vita a due scienze lasciando il segno in ognuna di esse: la linguistica e l'etica analitica (a diffusione di un anarchismo ragionato e non per ragazzini imbecilli che vanno in giro vestiti di nero a scassare le cose). Quest'uomo è Noam Chomsky, professore emerito al MIT di Boston. Molti degli estimatori di Chomsky lo conoscono solo per la sua instancabile ricerca nel campo della linguistica, scienza che ha contribuito addirittura ad elevare proprio a vera scienza e non a semplice ricerca in campo umanistico e in cui ha gettato le basi per la nuova ricerca con teorie che, infatti, vanno dagli universali grammaticali al programma minimalista. Poi però esiste un altro Chomsky - che ha ricevuto il suo battesimo iniziale con il libro I nuovi Mandarini del 1967, pubblicato per la prima volta in occasione dell'intervento americano in Vietnam. Quando un uomo diventa così importante, quasi un simbolo per le nuove generazioni di intellettuali (“mandarini”, appunto), capita quello che era capitato ad altri della sua statura intellettuale come Bertrand Russel, cui interviste e interventi furono raccolti in un libro chiamato appunto Pensieri (1993)...
Alla raccolta di interviste chomskiane è toccato invece un titolo meno poetico ma di forte impatto e con un chiaro intento divulgativo, Guerra e propaganda. Il libro in questione presenta dialoghi con nomi prestigiosi che vanno da David Jay Brown ad Anthony di Maggio; il titolo del testo non lascia troppa sorpresa al lettore per capire quale sia il leit motiv degli interventi che si concentrano ovviamente sulla drammaticità della guerra, sulle sue distruzioni, sui suoi morti e sulle pseudo-verità dei grandi media, che comunicano solo la necessità e la normalità dell'azione militare (addirittura missioni di pace, un ossimoro per deficienti). Chomsky comunica le sue idee: non esistono regole del diritto internazionale violate, convenzioni internazionali infrante, ragioni dei più deboli giuste; ogni posizione contro gli Usa è intesa, anzi addirittura equivale al fiancheggiamento del terrorismo. Le interviste costituiscono una denuncia accorata e documentata su ciò che i media passano come verità e su come invece sia la verità reale. Un libro che parla alla coscienza di ogni uomo libero, ma ne esistono ancora? Vedendo lo status quo si può essere certi che la maggioranza è costituita da prigionieri in gabbie dorate che, scrutando l'orizzonte della libertà, pensano di averlo anche raggiunto. La democrazia rappresentativa è una “tassa per gli imbecilli” e solo l'anarchia ragionata può salvare la libertà individuale. Questa è l'idea che passa dal libro di Chomsky; se non siete d'accordo provate a discuterne con lui ma attenzione, perchè quest'uomo è un generatore impressionante di argomenti validi e fondati.
 
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Leonardo_Caffo | Jul 15, 2010 |
D.: da quanto tempo il governo e i potenti Usa possono fare affidamento sulla principale collaborazione dei mezzi di informazione?
C: all’incirca dal 1775 all’epoca della guerra di indipendenza, quando persino Jefferson , grande fautore delle libertà civili, affermava che bisogna punire “i traditori nel pensiero anche se non negli atti”
Oggi le tecniche sono più sofisticate.
Esiste un complesso sistema di filtri, sia nei mezzi di informazione sia nel sistema scolastico che alla fine garantisce che i punti di vista non conformistici siano annullati o in qualche modo marginalizzati.
Comunque quelle che all’interno del sistema dei media vengono presentate come opinioni di destra o di sinistra offrono una visuale parziale e limitata dei problemi che riflette le esigenze del potere privato .
Nella Fabbrica del consenso ho messo a confronto due modelli: come i media dovrebbeo funzionare e come funzionano in realtà. Il primo modello è più o meno quello convenzionale , che recentemente il NYT ha definito jeffersoniano secondo cui la stampa è un contrappeso al governo, sempre pronta ad attaccare, ostinata, onnipresente, per aiutare la gente a controllare in modo significativo l’operato dei politici.
Il secondo modello è quello secondo cui i media presentano un’immagine del mondo che difende e inculca le priorità economiche, sociali e politiche dei gruppi che dominano l’economia nazionale . Secondo il modello della propaganda, i media adempiono la loro funzione sociale attraverso vari metodi:
• la scelta degli argomenti e dei temi
• filtrando le informazioni
• concentrando le loro analisi su certi problemi a scapito di altri, attraverso il tono, l’accento ecc.

Bisogna ricordare che la stampa non fa soldi con la gente a cui vende i giornali ma con gli inserzionisti: è la pubblicità a tenerla in vita.
Se uno arriva al punto di influenzare versamente il comportamento della gente verso la politica e il potere in breve non potrebbe fare più il giornalista.

La terminologia di cui ci serviamo è carica di ideologia, sempre. Scelga un termine qualsiasi che non sia “e “ o “o” in genere avrà due significati, quello dato dai dizionari e quello usato nella guerra ideologica. Per cui il termine “terrorismo” indica sempre quello che fanno gli altri. “Difesa”: non ho mai sentito uno stato ammettere che sta compiendo un atto di aggressione.
Se esaminiamo la storia di qualsiasi paese – uno qualsiasi, la Germania nazista, l’Urss, la Libia- scopriamo che qualunque cosa hanno fatto, l’hanno fatta per difesa. Come quando si afferma che gli Usa stavano “difendendo” il Vietnam del Sud. Noi non lo stavamo difendendo: noi stavamo aggredendo il Vietnam del sud.

D.: Lei vota?
R.: Diciamo che voto in modo differenziale. Ossia voto quasi sempre quando si tratta di candidati a incarichi di minor importanza.

Di fronte agli sforzi messi in campo per far arretrare le conquiste ottenute in occidente sul piano della giustizia e dei diritti umani attraverso lunghe lotte ed estremamente aspre, ritengo che deva essere obiettivo immediato degli stessi anarchici difendere alcune istituzioni statali, cercando nel contempo di costringerle ad aprirsi a una partecipazione pubblica più significativa, per poi alla fine smantellarle in una società molto più libera.

Che cosa intende dire quando afferma che il liberismo classico era anticapitalista?

Da liberale classico qual era Smith
Smith ha detto che la divisione del lavoro è una cosa orribile perché distrugge ogni società civile e i governi dovrebbero proibirla.
 
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pauleluard | 12 altre recensioni | Jun 17, 2008 |
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