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"Jaquira Díaz writes an unflinching account of growing up as a queer biracial girl searching for home as her family splits apart and her mother struggles with mental illness and addiction. From her own struggles with depression and drug abuse to her experiences of violence to Puerto Rico's history of colonialism, every page vibrates with music and lyricism"--… (altro)
Se Ordinary Girls fosse un romanzo, probabilmente adesso starei iniziando questa recensione lamentandomi di come alla protagonista ne siano accadute troppe per rendere la narrazione credibile; invece Ordinary Girls è un memoir e inizio la recensione lamentandomi del fatto che non è stato tradotto in italiano e che abbiamo bisogno di più storie di questo tipo, per due motivi.
Il primo riguarda il modo in cui Díaz racconta la sua storia: questo genere di memoir spesso ha un andamento ascendente – dalle stalle alle stelle – prendendo avvio da un contesto di povertà e disagio per arrivare al successo coronato magari dalla pubblicazione del libro stesso. Ordinary Girls, invece, ha un andamento ondulatorio: non c’è il successo definitivo che salva per sempre Díaz, ma è un continuo oscillare tra lo stare bene e lo stare male, tra eventi positivi ed eventi terribili. Il che la rende una storia con la quale è facile empatizzare (quale vita può vantare il successo definitivo che ne sistema ogni aspetto?), per quanto possa essere lontana dalla nostra specifica esperienza di vita.
E abbiamo davvero bisogno di empatizzare con le vite delle persone come Díaz, il che ci porta al secondo motivo per cui abbiamo bisogno di queste storie. Se la vita di Díaz avesse smesso di oscillare e fosse deragliata verso lo stare male in maniera irreparabile, oggi non starei scrivendo questa recensione. Non solo perché Ordinary Girls non esisterebbe, ma perché le vite delle persone povere, che vivono in contesti di estremo degrado, che magari finiscono loro malgrado nella criminalità organizzata, che vengono distrutte dalle dipendenze e da malattie mentali mai diagnosticate o mal curate – tutte queste persone ci causano al massimo una scrollata di spalle.
Quella gente lì è ovvio che finisca male. Quante volte l’abbiamo detto, pensato, sentito? Come se ci fosse chi non vede l’ora di vivere una vita di merda. Quanto sappiamo essere arrogantз: ben vengano le storie che ci fanno vergognare della nostra insensibilità. ( )
Dati dalle informazioni generali inglesi.Modifica per tradurlo nella tua lingua.
We're going to right the world and live. I mean live our lives the way lives were meant to be lived. With the throat and wrists. With rage and desire, and joy and grief, and love till it hurts, maybe. But goddamn, girl. Live. -Sandra Cisneros, "Bien Pretty"
Dedica
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Para Abuela, para Mami, para Puerto Rico, and for all my girls.
Incipit
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We were the girls who strolled onto the blacktop on long summer days, dribbling past the boys on the court.
Citazioni
Ultime parole
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And if I could reach back through time and space to that girl I was, to all my girls, I would tell you to take care, to love each other, fight less, dance dance dance until you're breathless. And goddamn, girl. Live.
"Jaquira Díaz writes an unflinching account of growing up as a queer biracial girl searching for home as her family splits apart and her mother struggles with mental illness and addiction. From her own struggles with depression and drug abuse to her experiences of violence to Puerto Rico's history of colonialism, every page vibrates with music and lyricism"--
Il primo riguarda il modo in cui Díaz racconta la sua storia: questo genere di memoir spesso ha un andamento ascendente – dalle stalle alle stelle – prendendo avvio da un contesto di povertà e disagio per arrivare al successo coronato magari dalla pubblicazione del libro stesso. Ordinary Girls, invece, ha un andamento ondulatorio: non c’è il successo definitivo che salva per sempre Díaz, ma è un continuo oscillare tra lo stare bene e lo stare male, tra eventi positivi ed eventi terribili. Il che la rende una storia con la quale è facile empatizzare (quale vita può vantare il successo definitivo che ne sistema ogni aspetto?), per quanto possa essere lontana dalla nostra specifica esperienza di vita.
E abbiamo davvero bisogno di empatizzare con le vite delle persone come Díaz, il che ci porta al secondo motivo per cui abbiamo bisogno di queste storie. Se la vita di Díaz avesse smesso di oscillare e fosse deragliata verso lo stare male in maniera irreparabile, oggi non starei scrivendo questa recensione. Non solo perché Ordinary Girls non esisterebbe, ma perché le vite delle persone povere, che vivono in contesti di estremo degrado, che magari finiscono loro malgrado nella criminalità organizzata, che vengono distrutte dalle dipendenze e da malattie mentali mai diagnosticate o mal curate – tutte queste persone ci causano al massimo una scrollata di spalle.
Quella gente lì è ovvio che finisca male. Quante volte l’abbiamo detto, pensato, sentito? Come se ci fosse chi non vede l’ora di vivere una vita di merda. Quanto sappiamo essere arrogantз: ben vengano le storie che ci fanno vergognare della nostra insensibilità. ( )