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Questa edizione fuori commercio venne illustrata da Salvador Dalì e fu pubblicata in 27 puntate di sedici pagine ciascuna nel settimanale TEMPO dal 16 settembre 1964 al 14 aprile del 1965. La traduzione di Vittorio Bodini è stata gentilmente concessa dall'editore Einaudi.

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"Alcuni libri devono essere gustati, altri masticati e digeriti, vale a dire che alcuni libri vanno letti solo in parte, altri senza curiosità, e altri per intero, con diligenza ed attenzione. Alcuni libri possono essere letti da altri e se ne possono fare degli estratti, ma ciò riguarderebbe solo argomenti di scarsa importanza o di libri secondari perché altrimenti i libri sintetizzati sono come l’acqua distillata, evanescente. La lettura completa la formazione di un uomo; il parlare lo fa abile, e la scrittura lo trasforma in un uomo preciso. E, pertanto, se un uomo scrive poco, deve avere una grande memoria, se parla poco ha bisogno di uno spirito arguto; se legge poco deve avere bisogno di molta astuzia in modo da far sembrare di sapere quello che non sa. Le storie fanno gli uomini saggi; i poeti arguti; la matematica sottile; la filosofia naturale profondi; la logica e la retorica abili nella discussione".

Don Chisciotte va digerito ...
 
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AntonioGallo | 452 altre recensioni | Sep 28, 2022 |
Ed eccoli, qui, Don Chisciotte e Sancho Panza, che mi accompagnano in un mese ed altro di lettura, prima dei quarant’anni. E che straordinaria compagnia. Non entro nel merito del discorso sui classici. Questo è un capolavoro. Punto e basta. Un capolavoro di inventiva, di fantasia, di genio. Tra tutte le coppie che hanno contraddistinto la mia vita, questa è la più incredibile. Nel lungo viaggio per la Spagna, ai tempi grande impero al tramonto, e per le sue tradizioni. Le avventure di Don Chisciotte sono i sogni di ogni ragazzo, anche quando si è talmente avanti con l’età che la parola ragazzo diventa ridicola. Perché i mostri sono dovunque ed a volte prendono la forma di mulini a vento. Li combattiamo per combatterli, ma già sappiamo che sono battaglie adolescenziali. Ed il risultato fa parte del sogno. La cavalleria errante è oggi la correttezza quotidiana, il coraggio di fare, nonostante tutto. E Sancho è il contrappasso che incarna la necessità, della tutela di sé stessi, a difesa dei sogni. E questo libro è un capolavoro.
 
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grandeghi | 452 altre recensioni | Mar 14, 2020 |
Benché i suoi protagonisti siano universalmente conosciuti, o forse sarebbe meglio dire orecchiati, questo romanzo va preso con le dovute precauzioni. Innanzitutto perché rappresenta l’unione di due libri, scritti alla distanza di un decennio e declinanti il tema di fondo lungo vie diverse: il primo è più ondivago, ma, a onta delle lunghe novelle che un po’ lo appesantiscono, anche più vitale del successivo la cui maggior compattezza non riesce a volte a nascondere il fiato corto di una certa prevedibilità. Va poi tenuto conto che si tratta di uno scritto del Seicento costruito sul modello delle narrazioni picaresche e perciò non sarebbe male intenderlo come una successione di racconti con gli stessi personaggi (e in certi tratti neppure questi). Infine perché è al contempo un manifesto di critica letteraria contro gli stereotipati testi cavallereschi e un abile gioco di specchi tra realtà e finzione, con Don Chisciotte impegnato nel secondo segmento a rivendicare la narrazione delle proprie gesta – di modo che un po’ il libro esamina se stesso – e a smentire la versione apocrifa scritta nell’intervallo fra i due volumi originari da un tal de Avellaneda. A dir la verita, la faccenda è ribadita qualche volta di troppo – la lingua batte dove il dente duole, chioserebbe Sancio – ma la ripetitività non è certo una delle preoccupazioni di Cervantes che fa rivivere le stesse situazioni e sovente replicare i medesimi concetti, come appunto la discussione tra cavaliere e scudiero sulla capacità (invero mirabolante) di quest’ultimo di infilar nel discorso un numero esagerato di proverbi non sempre pertinenti. Come detto, nella prima parte il Don si mette alla ventura assieme a Sancio trascinandolo in una serie di peripezie che lui vive come avventure, a iniziare dalla celeberrima contro i mulini a vento, ma che fuori dalla sua fantasia stanno tra la scazzottata in stille Spencer/Hill e la comica finale (l’inganno sulle gualchiere non cadrebbe a pennello per Stanlio e Ollio?). A variare il ritmo e la vicenda provvedono le novelle cortesi di cui sopra, che raccontano di giovani bellissimi e di amori contrastati che tendono verso il quasi inevitabile lieto fine, con la notevole eccezione di quell’incrocio molto moderno di malfidenze e inganni che è ‘L’indagatore segreto’: si tratta di brani che hanno una vita propria e usano l’opera principale quasi come una cornice e, al dilà dei pregi intrinseci, finiscono per prendersi troppo spazio. La seconda sezione ha un andamento più coerente, seppur a volte a discapito della dinamicità: non ci sono più spunti di pura comicità a livello della padella da barbiere ritenuta ‘elmo di Mambrino’, ma costruzioni più complesse, come il montaggio alternato che vede Don Chisciotte a combattere le tentazioni nel castello dei duchi mentre Sancio affronta il proprio governatorato. E’ evidente pure l’evoluzione dei personaggi, con un rapporto più stretto fra i due principali: lo scudiero non segue più il padrone solo per avidità, mostrando via via una miscela di arguzia e ignoranza che gli serve per conquistare il centro della scena; il Don, da parte sua, non pare credere più così fanaticamente alle proprie fantasie, ma, per evitare di disilludersi, s’inventa i malevoli incantamenti di maghi dispettosi. Il che, al netto del sovrannaturale, è abbastanza vero perché tutti quanti sono impegnati a fingere per prenderlo in giro, lo facciano per affetto (Sancio con Dulcinea, i compaesani per riportarlo a casa) o per diletto (le arzigogolate burle dei duchi suddetti): il lento ritorno alla realtà rappresenta una rinuncia ai sogni e, malgrado essi abbiano un’origine di cui ci si può fare beffe, la loro assenza svuota talmente l’esistenza di Alonso Chisciano da non lasciargli altro che la morte. Si tratta dell’ennesima stratificazione dell’opera, rappresentando in filigrana la fine di un’epoca (e di un’epica) ormai soppiantata dalla prosaicità dell’età moderna.
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catcarlo | 452 altre recensioni | Feb 16, 2017 |
Bhè, non c'è molto da dire. E' scritto bene ma è molto noioso e ripetitivo. Per essere uno dei grandi classici pensavo fosse molto ma molto meglio. Le uniche cose positive, a parer mio, sono le varie storielle che vengono raccontate di tanto in tanto perchè rendono il libro meno ripetitivo.
Amo leggere, è la mia passione e mai prima d'ora ho desiderato che un libro finisse in fretta. Mi dispiace dirlo ma il Don Chisciotte non mi ha entusiasmato per niente.
 
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_MaryLou_ | 452 altre recensioni | Oct 18, 2015 |
È un po' imbarazzante da dire, ma il Don Chisciotte mi ha annoiato. (Pare che anche Virginia Woolf lo considerasse noioso; ma lei, ovviamente, certi giudizi se li poteva permettere molto più di me.) Forse perché le vicende del Cavaliere dalla Triste Figura sono di tono per lo più comico e farsesco, tono che non è di mio gusto; o forse perché le novelle inserite nella narrazione sono vicende di amori contrastati, o favole pastorali, e anche queste non sono di mio gusto; o forse per l'andamento episodico e la struttura disorganica. O forse, per la mia scarsa conoscenza della storia letteraria, non ho saputo comprendere l'importanza dell'opera. Purtroppo non ho afferrato il capolavoro, non ho inteso la sua grandezza, non ho colto la sua universalità e la sua polivalenza. Forse la semplice ragione è che, sia esso un capolavoro o no, un libro deve piacere al lettore perché il lettore lo apprezzi (e lo apprezzi anche come capolavoro, se lo è), e a me questo, con il Don Chisciotte, non è successo.
 
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Oct326 | 452 altre recensioni | Sep 1, 2012 |
Un saggio perfetto di critica letteraria e di approfondimento del rapporto tra la letteratura, la cultura e la vita. Di sorprendente attualità.
 
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ddejaco | 452 altre recensioni | May 20, 2008 |
Don Chisciotte Della Mancia

"Quello che è prodigioso nel Don Chisciotte è la totale assenza di artificio e la continua fusione di illusione e realtà, che ne fanno un libro così comico e così poetico". Con queste parole Flaubert celebrava, più di due secoli dopo la sua pubblicazione, il grande romanzo che Miguel de Cervantes aveva concepito nelle prigioni di Siviglia e in cui avrebbe riversato tutta la sua ricchissima esperienza di vita, dagli anni spesi a Roma al seguito del cardinale Acquaviva al giorno di gloria della battaglia di Lepanto, dal servizio di Filippo II di Spagna e della sua Invincibile Armata ai quattro tentativi, tutti falliti, di sfuggire ai pirati che lo avevano fatto prigioniero ad Algeri.
Grande conoscitore dei casi della vita e dei caratteri degli uomini, Cervantes ambiva a scrivere con il Chisciotte un libro che rispecchiasse per una volta la realtà del mondo, scacciando le fantasie dei poeti e le illusioni degli sciocchi per fare posto, finalmente, alla verità. Ma se ci riuscì, e se dopo tre secoli la sua opera continua a incantare, divertire e commuovere lettori di ogni età e cultura, questo si deve all'arma disarmante che ebbe il genio di utilizzare: la parodia. Perché la verità, a questo mondo, si può dirla solo sorridend

L'autore

Miguel de Cervantes Saavedra nacque ad Alcalá de Henares nel 1547. Completati gli studi letterari fu segretario del cardinale Acquaviva in Italia e marinaio dell'esercito di Carlo V, combattendo anche nella battaglia di Lepanto (1571). In seguito svolse piccoli incarichi diplomatici per conto del re di Spagna Filippo II e militò nell'esercito spagnolo di stanza in Italia. Catturato dai corsari mentre faceva ritorno in patria, visse come schiavo ad Algeri per cinque anni prima di essere riscattato. Il suo ritorno a Madrid segnò l'inizio di una nuova vita: oltre a comporre diverse commedie rappresentate con un discreto successo (tra queste si ricordano La vita ad Algeri e L'assedio di Numancia), Cervantes prese moglie, pubblicò il primo romanzo Galatea (1585) e divenne responsabile del vettovagliamento della Invencible Armada. Ma le sue peripezie non erano terminate: nel 1595 subì l'incarcerazione nella prigione per debitori di Siviglia, e nel 1605 venne processato per un fatto di sangue cui era del tutto estraneo. Ma la fortuna del Don Chisciotte, pubblicato nello stesso 1605, lo rese finalmente famoso e lo sollevò dalle cure materiali. Prima della morte, avvenuta nel 1616, avrebbe pubblicato ancora le Novelle esemplari (1613), il Viaggio al Parnaso (1614), Otto commedie e otto intermezzi (1615) e la seconda parte del Don Chisciotte (1615). Postumo fu dato alle stampe il romanzo Le disavventure di Persile e Sigismonda, completato pochi giorni prima di morire.
 
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MareMagnum | 452 altre recensioni | Mar 20, 2006 |
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