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Sull'Autore

R. David Lankes is a professor and the director of the University of South Carolina's School of Information Science.

Opere di R. David Lankes

The Boring Patient (2014) 9 copie
The AskA Starter Kit (1998) 2 copie

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Informazioni generali

Data di nascita
1970
Sesso
male
Nazionalità
USA

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Lankes porta il colpo letale alle biblioteche locali. Merita per questo due stelle, mentre per la visione sulla professione di bibliotecario ne meriterebbe cinque.
Perché l’Autore vuole ferire a morte un sistema di servizi culturali locali (e non solo) già al collasso? Vada lui a spiegare all’assessore di Roncofritto che “la missione del bibliotecario consiste nel migliorare la società facilitando la creazione di conoscenza nelle comunità di riferimento”, quando lo stesso è quotidianamente impegnato a ridurre il capitolo di bilancio dell’acquisto libri a prescindere da qualsiasi lapalissiana dimostrazione della necessità e dell’efficacia dell’acquisto di novità - figuriamoci se gli suggeriamo con la teoria del nostro Esimio che i manufatti sono superati, relativi, secondari, sarebbe capace di stralciare il capitolo intero: soldi inattesi da dirottare verso cittadinanze onorarie, gemellaggi strampalati, anniversari faraonici e sagre rionali.
Quando il Teorico arriva dagli Stati Uniti d’America si capisce al volo che la sua spietata analisi del mondo bibliotecario (cariatidi ancorate al mattone, al catalogo di reperti e alla autoreferenzialità monadica) mira a configurare un ruolo professionale che nelle aziende americane sarà richiesto e apprezzato. Ve lo immaginate qualcuno in Italia che cerca lavoro con un curriculum di bibliotecario perché è ciò che richiedono le migliori imprese del Paese?
Penso che la prospettiva, la visione e la vocazione delineate da Lankes siano oggettivamente “moderne” (come si effigia di definirsi il suo atlante): delineano il profilo professionale del bibliotecario in coerenza sia con le richieste del presente sia con la tradizione millenaria, un profilo in grado di assecondare le esigenze di molti compiti in ambito educativo, comunicazionale e nell’ambito dell’organizzazione della conoscenza. In poche parole sono completamente d’accordo con il suo tentativo di ridefinizione e superamento della figura del bibliotecario tradizionale e non aggiungo altro su questa concordanza.
Mi preme, invece, sottolineare l’esigenza, qui in Italia, Paese che non garantisce i propri presidi culturali (la scuola pubblica è costantemente colpita da provvedimenti regressivi, i beni culturali abbandonati, il patrimonio demaniale svenduto e alienato), spesso totalmente privo di istituti culturali comunitari, sovente dotato di micro-biblioteche gestite da one person librarians costretti ad occuparsi di altri servizi, (perché sarebbe uno scandalo che si occupassero solo della biblioteca) – dicevo: mi preme sottolineare l’esigenza, prima di propugnare questa nuova figura professionale (senza aver garantito in nessun modo la precedente), di preservare le strutture esistenti, come le piccole biblioteche, (tutto di esse è superato, antiquato e secondario – stando alle considerazioni dell’Autore - ma ha ancora un forte valore fisico, materiale, spaziale nella realtà e nell’immaginario delle piccole comunità locali): proprio la fisicità del luogo è importante, non si dovrebbe abolire inseguendo slogan alla Steve Jobs, è importante perché permette a persone reali di incontrarsi, di incontrare un esperto vero, ed esseri umani empatici e curiosi o di sedersi e stare qualche ora in silenzio, leggendo (“un posto dove leggere in pace” sarebbe per me un motivo sufficiente per aprire una biblioteca) o osservando libri, riviste, ascoltando musica o guardando un film, o, infine, consultando internet in un ambiente sereno, neutrale e sicuro. Dato che nessun altro posto permette di vivere tutte queste esperienze positive (senza pagare) in un piccolo paese di provincia o in una periferia anonima anche di piccole città gentrificate, io non lo distruggerei all’improvviso perché abbiamo finalmente capito (noi intellettuali bibliofili) che la missione del bibliotecario è la comprensione dell’architettura della conoscenza, comprensione non fine a se stessa ma che ha come intrinseco obiettivo l’accompagnamento degli utenti verso gli accessi di questo complesso e oscuro edificio teorico.
Scaturirebbe da questa “illuminazione” e conquista gnoseologica che non serve l’edificio materiale (la biblioteca), non serve lo spazio (qualsiasi spazio è sufficiente con la connessione wifi e un bibliotecario virtuale), non serve neanche la tecnologia (con la quale l’antiquato bibliotecario riproduce l’ossessione per gli inventari collezionando al posto di manufatti materiali manufatti digitali) e tanto meno servono le deprecate collezioni di reperti materiali, perché basta la salvifica e a tratti sciamanica capacità del bibliotecario di facilitare le conversazioni in corso per creare conoscenza.
Plasmiamo la nuova professionalità del bibliotecario in laboratorio, nei consessi accademici, nella sperimentazione metodologica, ma garantiamo la sopravvivenza del professionista (il bibliotecario) e dell’edificio che ne giustifica la collocazione professionale (la biblioteca) con una tutela legale, cioè perorando la necessità di una legge nazionale che imponga la presenza di un bibliotecario e del suo presidio fisico per ogni comunità locale (comune, unione di comuni, fusione di comuni, quartiere, new town ecc.), prima di applicare una teoria tanto avanzata ad una realtà così arretrata che non può sostenerne l’impatto.
… (altro)
 
Segnalato
Tiziano_Tani | 8 altre recensioni | Oct 6, 2015 |

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