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Quando viaggiare era un'arte: il romanzo del grand tour

di Attilio Brilli, Attilio Brilli

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Il viaggiare acquist©ø i connotati di una vera consuetudine didattica nel XVIII secolo. L'et© dei viaggiatori oscillava tra i 16 e i 22 anni e il viaggio era completamento di una buona educazione. Ci si aspettava che dall'esperienza il giovane ne acquisisse intraprendenza, coraggio, attitudine al comando, conoscenza di costumi, galatei e lingue straniere, conoscenze necessarie alla futura classe dirigente. Al viaggio si accompagna la produzione di diari, epistolari, guide, relazioni cui l'autore attinge a piene mani per il suo volume. Illustra itinerari, stagioni e luoghi di sosta; descrive i dettagli del viaggio materiale con il suo corredo di carte, passaporti, bauli, guardaroba e armi; descrive la vita in carrozza e i suoi protagonisti, le camere, le locande… (altro)
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“Diceva Montaigne che in viaggio ci si trova nella stessa situazione di coloro che, impegnati nella lettura di un libro, sono presi dal timore che finisca troppo presto”. Sono le prime tre righe del prologo di questo “Quando viaggiare era un’arte”, un saggio gradevolissimo, oltre che istruttivo, il cui peso già si nota nel suo sottotitolo “Il romanzo del Grand Tour”.

Parliamo dell'itinerario, o meglio di quel viaggio assolutamente da fare, quasi un richiamo alla leva per i giovani rampolli dell’aristocrazia europea che, con al seguito accompagnatori colti e intellettuali (bear leader) a far loro da guida, percorrevano le strade del bel vivere europeo, visitavano le grandi città dell’arte, le capitali della cultura, della scienza, scoprivano nuove lingue, facevano proprie usanze, costumi e tradizioni d’altri luoghi, godevano di nuovi sapori ed anche di piacevoli sollazzi. Una “necessità”, quella del Grand Tour, che coinvolse scrittori, pittori e, a partire dalla metà del Settecento, anche le donne dell’aristocrazia, seguite poi da quelle della borghesia, da Anne-Marie du Boccage a Mary Shelley.

Un viaggio didattico a tutti gli effetti, parte fondamentale dell’esperienza formativa di giovani che avevano tra i 17 ed i 22 anni, percorso curriculare per la propria educazione, che ebbe inizio a partire dal XVIII secolo e che vide l'Italia, erede dei fasti dell’Antica Roma, uno dei luoghi più popolari da visitare, prendendo contatto con l’eredità del mondo antico, con le opere di Palladio a Venezia e nel Veneto, con il Neoclassicismo a Napoli, con il Barocco siciliano, con i grandi della pittura e della letteratura. Un percorso organizzato dunque con meticolosità, nei tempi giusti per apprendere e capire, utilizzando carrozze e mezzi dell’epoca.

Chi ama viaggiare e scoprire ciò che il pianeta sa offrire non può non leggere questo libro che, pur avendo l’impostazione di un saggio, si offre certamente ad una lettura metodica, ma fluida, tesa ad esplorare, senza rinunciare al dettaglio, la storia vera del Grand Tour, con i suoi retroscena, le sue sfumature, regalandoci numerosi spunti di riflessione su chi può oggi definirsi veramente un “viaggiatore”.

Attilio Brilli è professore ordinario di letteratura angloamericana presso l'Università di Siena, ha pubblicato saggi su autori inglesi, irlandesi e statunitensi quali Byron, Swift, Joyce e James; ha curato inoltre la pubblicazione delle Opere di R.L. Stevenson nella collana I Meridiani ed è considerato uno tra i massimi storici della letteratura di viaggio, oltre che autore di numerosi testi interpretativi sull'argomento.

Credo che il punto di forza, la testimonianza vera del Grand Tour, siano le numerose citazioni che l’autore inserisce copiosamente nelle 160 pagine del racconto, vibranti e talvolta divertenti esperienze di chi quel viaggio lo ha fatto veramente e lo ha voluto raccontare. Giusto perché a questo “itinerario di scoperta” si accompagnava l’irrinunciabile occasione di tenere un diario personale, una guida per altri futuri viaggiatori, con tanto di informazioni su camere e locande, su trasporti in carrozza e punti di sosta, oggetti utili e corredi da porre al proprio seguito, guardaroba, stiletti e pistole, documenti, carte e passaporti, denaro. Ma anche strumenti scientifici, piccole biblioteche e farmacie portatili e, talvolta, strumenti musicali per trovare distrazione e conforto nelle tappe più lunghe ed oziose del percorso.

Ed è in tal modo che questo Grand Tour, organizzato da Attilio Brilli, diventa il viaggio fatto e vissuto accanto a William Hazlitt, Arthur Young, Thomas Gray, Edward Gibbon, Madame Dubocage, Madame de Strae, e tantissimi altri viaggiatori in cammino lungo le rotte del grande itinerario nel Vecchio Continente. Un viaggio, tanti viaggi, talvolta simili, ma assolutamente mai uguali.

“Non si considerava un turista, bensì un viaggiatore” dice Paul Bowles al protagonista di "Un tè nel deserto”. Ce lo ricorda Brilli che continua con il prosieguo della citazione “laddove in capo a qualche settimana il turista s’affretta a fare ritorno a casa, il viaggiatore si sposta per anni, da un punto all’altro della terra”.

Il volume ha una struttura ben organizzata suddivisa in cinque capitoli portanti: si inizia con la storia artistica e letteraria del Grand Tour, per passare agli itinerari, le stagioni e i luoghi di sosta. Bellissimo, dal mio punto di vista, forse per il mio passato di narratore errante, il capitolo che parla del viaggio materiale, degli arredi e corredi, esplorando le guide dell’epoca, le mappe, la progettazione del tour che, in fondo, è il vero inizio di ogni viaggio. E si comprende così anche quell’evoluzione che, nel tempo, ha trasformato le prime relazioni di viaggio, in cui si descrivevano luoghi, costumi, collezioni o siti d’arte, in un vero e proprio diario dove a essere protagoniste erano riflessioni ed emozioni, ingredienti base per una vera narrativa di viaggio, quando non di romanzi fortemente ispirati dallo stesso.

Il quarto capitolo l’autore lo dedica ai mezzi di trasporto e, a differenza di ciò che si può istintivamente pensare, non erano le diligenze di posta ad essere utilizzate, considerate troppo lente ed affollate per un tour che generalmente durava un anno, ma le carrozze padronali o quelle noleggiate con tanto di vetturino tuttofare al seguito, “operatore turistico” fondamentale per le prenotazioni di locande dove mangiare, dormire ed effettuare il cambio dei cavalli. Ed è proprio su queste ultime che Brilli si sofferma nell’ultima sezione del suo libro. Il testo si chiude con oltre dieci pagine di dettagliata bibliografia.

Un lavoro che sostiene pienamente quanto l’autore ebbe a dire durante un’intervista, ovvero che “il viaggio ha sempre una funzione stimolante ed educativa perché costringe a confrontarci con il nuovo, con il diverso e con l’imprevisto. Inoltre, ci costringe a rivedere e correggere i luoghi comuni o le verità precostituite”. E nulla di tutto ciò ci appare più vero rileggendo questo romanzo del Grand Tour, magari in viaggio, tra le bellezze assolute del nostro Bel Paese.

Pubblicato su: https://www.territoridicarta.com/blog/quando-viaggiare-era-unarte-il-romanzo-del...
https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/ ( )
  Sagitta61 | Jun 21, 2023 |
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Attilio Brilliautore primariotutte le edizionicalcolato
Brilli, Attilioautore principaletutte le edizioniconfermato
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