Questo è un romanzo che racconta splendori (pochi) e miserie (molte) di un paesino sperduto tra i monti dell'Appennino negli anni a cavallo tra la fine dell'800 e l'ascesa del fascismo: un affresco storico quindi, ma anche una carrellata di vite e di esperienze che si intrecciano e il cui filo conduttore è l'acquaiola del titolo.
Non è un capolavoro e spesso manca di incisività, è come se Carla Maria Russo non riuscisse mai ad arrivare alle estreme conseguenze delle sue scelte autoriali; la sensazione che ne deriva è che quella descritta sia una miseria patinata e molto distante dalla realtà, che magari ci coinvolge ad un livello superficiale ma con cui si fa fatica ad empatizzare per davvero. [SPOILER]- Emblematico l'episodio dello stupro, quando senza alcuna spiegazione tutto il paese si schiera con la vittima e caccia via il colpevole: una situazione che perfino nell'Italia di oggi non si verifica mai così nettamente, figuriamoci ai primi del 900-[FINE SPOILER]. I personaggi poi sono un po' troppo stereotipati tanto che a volte sembra di aver a che fare con tipi umani più che con persone, anche perché la scrittrice tende ad esasperare pregi e difetti dei suoi protagonisti.
Al netto del buonismo e dei clichés però è un'opera che si lascia apprezzare, innanzitutto per lo stile scorrevole e poi perché riesce a centrare bene il focus sui conflitti generazionali e in particolare sull'incomunicabilità tra genitori e figli, causa ed effetto di tante incomprensioni e tanto dolore.
Insomma un libro che non sconvolgerà nessuno ma che appassiona quel tanto che basta per renderla una lettura piacevole. ( )

Carino ma non mi ha convinta del tutto: ci sono salti temporali inquietanti che, a mio parere, anziché alleggerire la narrazione, la appesantiscono.