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“Viaggio alla droga” di Gérard Borg è per me un libro ritrovato. Una sorta di bookcrossing temporale. Lo avevo letto poco più che adolescente e volentieri mi sono convinto a risfogliarlo. La prima edizione esce in Francia nel 1970 e, nota di colore, l’edizione italiana per i tipi dalle Edizioni Paoline fu tradotta dalle Benedettine del Monastero di Rosano. Per metà saggio, per metà romanzo, il libro è una testimonianza, “da allegare al processo più grande di questo tempo di processi. Il nostro ingresso nell’era delle droghe è la fine della civiltà occidentale?” Con una domanda inizia dunque il racconto, che anche riletto oggi continua ad avere un che di straordinario. Anche da un viaggiatore navigato, per quel suo itinerario che non è solo un viaggio fisico, un pellegrinaggio alla ricerca di risposte per un’intera generazione, ma anche la storia di un’epoca che ha cambiato la nostra società.
Era il tempo in cui ogni anno dal Vecchio Continente e dall’America migliaia di ragazze e ragazzi prendevano, per così dire la via dell’Oriente. Era l’itinerario della controcultura libertaria che permeava la generazione dei figli dei fiori sin dalla metà degli anni ’50 fino alla fine dei ’70. Una sorta di turismo hippie di scoperta in regime di massima economia in cui la parola chiave era libertà. Pace e libertà.
Ma quel viaggio di scoperta del mondo e del proprio io non era lo stesso per tutti e per alcuni di questi “vagabondi della libertà” la hippy trail finiva per diventare la rotta beatnik, una strada della droga, un lungo itinerario tra i minareti di Istanbul, i calvari della dipendenza, le carceri dell’Iran ed i monti dell’Afghanistan, passando poi per i monasteri dello Sri Lanka, il fisico consumato dall’eroina e dagli allucinogeni, gli ospizi dell’India, sino alle propaggini dell’Himalaya ed alla frontiera della droga libera, la libertaria Kathmandu. Un viaggio in cui l’esperienza iniziata come un modo per liberare la mente dalle convenzioni, per aprire il pensiero a nuove esperienze, per evadere da un universo e passare in un altro, finiva per bruciare ogni cellula del corpo, ogni singolo atomo della mente. Molti di fiori ne hanno visti pochi e la tanto agognata pace l’hanno perduta per sempre, sostituita dagli incubi lisergici. Molti non sono mai tornati. In questo si sostanzia il libro di Borg: “questo racconto riferisce di un’esperienza volontaria che ho vissuto per due anni nell’universo della droga e in diciannove paesi disseminati sulla strada degli hippies. Questo viaggio al fondo della disperazione era necessario”.
Certo, lo stile è quello di una cronaca. Di un’esperienza. Talvolta diario, a tratti psicologico, con qualche piccola scivolata nel ruolo di chi pensa di poter giudicare una scelta, solo perché per averla provata non la condivide. Resta tuttavia un caleidoscopio di paesaggi, di persone, di tradizioni e culture, vale quale cronaca asciutta di un fenomeno che ha caratterizzato un’epoca ed una generazione, quella che di un soffio anticipa il dilagare dell’eroina nelle nostre città, in cui per overdose e cocktail letali morivano Janis Joplin e Jimmy Hendrix.
Borg non si traveste, non si immedesima semplicemente, ma prova in prima persona, sulla sua pelle. Sperimenta l’universo beatnik, lo fa consapevolmente e lo racconta. Oggi potrebbe persino apparire un po' retrò questa sua esposizione così cruda e autentica, ma va da se che in quel 1971 in cui uscì questo libro, come dice l’autore stesso “quel che seguirà non è né rallegrante, né rassicurante, ma c’è. Ieri lo ignoravamo, oggi non più”.

Pubblicato su: https://www.territoridicarta.com/blog/viaggio-alla-droga-di-g%C3%A9rard-borg-la-...
https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/
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Sagitta61 | Apr 23, 2023 |

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