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Sto caricando le informazioni... Un uomo (1979)di Oriana Fallaci
Italian Literature (174) Sto caricando le informazioni...
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La prima parte del libro è la storia di un carcerato, di un dissidente durante un regime, la Fallaci stessa quando lo incontra lo collega a padre Tito de Alancar Lima, a Carlos Marighella o a Chato Peredo, uomini che hanno vissuto per un’idea di libertà. Ma lo stile di scrittura è tale da lasciare il segno, con Alekos vivi le torture dentro la cella, le sevizie, fisiche e morali, i ripetuti tentativi di evasione, la ricerca della libertà ma soprattutto l’irrinunciabile pretesa alla dignità dell’uomo. Ma la storia in carcere è la parte di una vita, è una parentesi di una lotta che Alekos, con la sua nuova compagna, l’unica compagna possibile, conduce una volta uscito dal carcere a seguito dell’amnistia. Ed inizia un nuovo libro, in cui le contraddizioni dell’uomo Panagulis prendono il posto delle sicurezze dell’eroe. Ma il carcere rende duri, questo lo so bene, il problema non è dentro, ma fuori; per carità due storie antitetiche la mia e la sua, lui in galera per un attentato contro un dittatore io per truffa ai danni di uno Stato democratico. E lui l’attentato l’ha fatto, e ne rivendica in pieno la paternità; io la truffa no, ma queste sono quisquilie, pinzillacchere. Ma l’obiettivo comune era la libertà degli altri, non la propria, quella la si cerca in altri lidi. E poi inizia il libro, quello vero, un’analisi spietata della società in cui risalta sempre l’inadeguatezza dell’uomo che non riesce a non mettersi in discussione e che non accetta di entrare negli schemi precostituiti da altri. Alcuni passaggi sono incredibili, le parole di Platone sui rischi dell’eccesso di libertà, pagina 344, o la straordinario passaggio sugli ismi e sugli anti: “Questa è l’epoca degli ismi: comunismo, capitalismo, marxismo, storicismo, progressismo, socialismo, deviazionismo, corporativismo, sindacalismo, fascismo: e nessuno s’accorge che ogni ismo fa rima con fanatismo. Questa è l’epoca degli anti: anticomunista, anticapitalista, antimarxista, antistoricista, antiprogressista, antisocialista, antideviazionista, anticorporativista, antisindacalista, antifascista: e nessuno s’accorge che ogni ista fa rima con fascista. Nessuno dice che il vero fascismo consiste nell’essere anti per principio, per bizza, cioè nel negare a priori che in ogni corrente di pensiero vi sia qualcosa di giusto o qualcosa da usare per cercare il giusto. È ad incasellarsi nel dogma, nella cieca certezza d’aver conquistato la verità in assoluto, sia essa il dogma della verginità di Maria o il dogma della dittatura del proletariato o il dogma dell’Ordine e Legge, che si perde il senso anzi il significato della libertà: unico concetto inappellabile e indiscutibile. Tant‘è vero che la parola libertà non ha sinonimi, ha solo estensioni o aggettivi: libertà individuale, collettiva, personale, morale, fisica, naturale, religiosa, politica, civile, commerciale, giuridica, sociale, artistica, di espressione, di opinione, di culto, di stampa, di sciopero, di parola, di fede, di coscienza. Al limite essa è l’unico ismo cioè l’unico fanatismo ammissibile: perché senza di essa un uomo non è un uomo e il pensiero non è pensiero”. O Il successivo passaggio sugli intellettuali: “Molti intellettuali credono che essere intellettuali significhi enunciare ideologie, o elaborarle, manipolarle, e poi sposarle per interpretare la vita secondo formule e verità assolute. Questo senza curarsi della realtà, dell’uomo, di loro stessi, cioè senza voler ammettere che essi stessi non sono fatti solo di cervello: hanno anche un cuore o qualcosa che assomiglia a un cuore, e un intestino e uno sfintere, quindi sentimenti e bisogni estranei all’intelligenza, non controllabili dall’intelligenza. Questi intellettuali non sono intelligenti, sono stupidi, e in ultima analisi non sono nemmeno intellettuali ma sacerdoti di una ideologia. Con l’ottusità dei sacerdoti non riconoscono che, una volta sposati all’ideologia, e peggio ancora se sposati all’ideologia con un matrimonio che esclude l’adulterio e il divorzio, non si è più liberi di pensare. Perché si piega tutto a quella soluzione, si giudica tutto secondo quegli schemi: da una parte l’inferno e dall’altra il paradiso, da una parte il lecito e dall’altra l’illecito. Ergo, per fare i coerenti costoro diventano incoerenti anzi disonesti. Prendi l’intellettuale di sinistra, l’intellettuale che oggi va di moda, o meglio l’intellettuale che segue la moda per comodità o per paura o per mancanza di fantasia: egli sarà sempre pronto a condannare le dittature di destra, bontà sua, però mai o quasi mai le dittature di sinistra. Le prime le disseziona, le studia, le combatte coi libri e coi manifesti; le seconde le tace o le scagiona o al massimo le critica con imbarazzo e con timidezza. In certi casi addirittura ricorrendo a Macchiavelli: il fine giustifica i mezzi. Quale fine? Quello di una società concepita su principii astratti, calcoli matematici, due più due fa quattro, tesi e antitesi uguale sintesi, e cioè senza tener conto che nella matematica moderna due più due non fa necessariamente quattro, magari fa trentasei, o senza tener conto che nella filosofia più avanzata la tesi e l’antitesi sono la medesima cosa, che la materia e l’antimateria sono due aspetti dell’identica realtà? È grazie ai loro calcoli, cioè al lugubre fanatismo delle ideologie, all’illusione anzi alla presunzione che il Buono e il Bello stiano da una parte sola, che un genocidio o un assassinio o un abuso sono considerati illegittimi se avvengono a destra e diventano legittimi o almeno giustificabili se avvengono a sinistra. Conclusione, il grande malanno del nostro tempo si chiama ideologia e i portatori del suo contagio sono gli intellettuali stupidi: i sacerdoti laici e non disposti ad ammettere che la vita (ciò che essi chiamano Storia) provvede da sola a ridimensionare le loro masturbazioni mentali, quindi a dimostrare l’artificialità del dogma. La sua fragilità, la sua irrealtà. Se non fosse così, perché i regimi comunisti ripeterebbero le stesse infamie dei regimi capitalisti? Perchè avrebbero gli stessi Joannidis, gli stessi Hazizikis, gli stessi Teofilojannacos, gli stessi Zararikis dei regimi fascisti? E perché si combatterebbero fra loro, sorretti da sentimenti e bisogni come l’amor di patria e il nazionalismo egoista? È tempo di denunciare il malanno, senza timidezze, senza imbarazzi, senza paure. E per farlo non bisogna fermarci a Marx e ai marxisti, bisogna tornare indietro di almeno duemila anni, rifarsi all’ideologia cristiana. È quella che ha concepito l’innaturale divisione, da una parte il lecito e dall’altra l’illecito, da una parte il Paradiso e dall’altra l’Inferno. Oggi i padroni del nostro cervello, i teologi della sinistra, non fanno che ripetere gli errori di quei maestri: togli all’asta della bandiera la croce, mettici la falce e il martello, e vedrai che rimane la stessa cosa: un cencio che sventola i soliti privilegi, le solite ambizioni, i soliti imbrogli”. Un’attualità disarmante, Oriana ma tu scrivevi della Grecia degli anni settanta o di un Italia che hai avuto ventura, o sventura, di non vedere. Come diceva, infatti, Socrate, mentre andava a morire: “E’ giunta l’ora di andare. Ciascuno di noi per la propria strada: io a morire, voi a vivere. Cosa sia meglio, Iddio solo lo sa”. E leggevo queste tue parole, Oriana, in delle sere in cui Alekos, o le storie di quelli come lui, mi dava la forza di decidere che non era l’ora di andare, che come lui mi trovavo smarrito, tra un salto dal ponte del Plebiscito e tirare fuori la forza per vivere un altro giorno, anche uno solo. No, Oriana, nessun parallelo con Alekos, lui attentatore, io truffatore, ma la fragilità non è nelle accuse, ma nella difesa. La confusione non nasce dal doversi difendersi, ma dal non sapere perché ci si deve difendere. Questo libro non lascia solo sensazioni Oriana, ma emozioni, nessuna sicurezza, solo qualche dubbio in più, perché se la vita è un mistero un uomo lo è ancora di più. E l’organizzazione sociale, questa terribile macchina messa in moto dagli uomini in nome di un diritto che dovrebbe essere la naturale estrinsecazione delle relazioni umane, il buon senso che diventa legge, incastonata sulla dura pietra delle stele delle giurisdizioni di sempre lascia un senso di smarrimento quando poi si vede nell’uomo stesso l’elemento fondamentale abbandonato a se stesso, se incapace di accettare le regole scritte da altri o di volere la loro semplice applicazione. Un libro monumentale. nessuna recensione | aggiungi una recensione
Appartiene alle Collane EditorialiFischer Taschenbuch (5204) Elenchi di rilievo
Un uomo ©· il romanzo della vita di Alekos Panagulis, che nel 1968 ©· condannato a morte nella Grecia dei colonnelli per l'attentato a Georgios Papadopulos, il militare a capo del regime. Segregato per cinque anni in un carcere dove subisce le pi©£ atroci torture, restituito brevemente alla libert© , conosce l'esilio, torna in patria quando la dittatura si sgretola, ©· eletto deputato in Parlamento e inutilmente cerca di dimostrare che gli stessi uomini della deposta Giunta continuano a occupare posizioni di potere. Perde la vita in un misterioso incidente d'auto nel 1976. Oriana Fallaci incontra Panagulis nel 1973 quando, graziato di una grazia che non aveva chiesto ma che il mondo intero reclamava per lui, esce dal carcere. I due si innamorano di un amore profondo, complice, battagliero. Lei lo affianca e ne condivide una lotta mai paga. Il poeta ribelle, l'eroe solitario, ©· un individuo senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Per©ø le prepara. Anche se non combina nulla di immediato e di pratico, anche se si esprime attraverso bravate o follie, anche se viene respinto e offeso, egli muove le acque dello stagno che tace, incrina le dighe del conformismo che frena, disturba il potere che opprime. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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