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Sto caricando le informazioni... Se Isto é um Homem (originale 1947; edizione 2013)di Primo Levi (Autore)
Informazioni sull'operaSe questo è un uomo di Primo Levi (1947)
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Iscriviti per consentire a LibraryThing di scoprire se ti piacerà questo libro. Attualmente non vi sono conversazioni su questo libro. "Se questo è un uomo" di Primo Levi è un libro che lascia un'impressione profonda e duratura nel lettore. È una testimonianza toccante dell'esperienza dell'autore nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Levi scrive in modo semplice ma intenso, raccontando le vicende della sua vita nel campo di concentramento di Auschwitz con grande precisione e dettaglio. La sua narrazione non è solo una descrizione degli orrori che ha vissuto, ma anche una riflessione su ciò che significa essere umani e su come la dignità e la speranza possono sopravvivere anche nelle situazioni più estreme. La sua capacità di descrivere le persone e le loro emozioni, le loro paure e le loro speranze, rende questo libro un'opera straordinaria. Il modo in cui descrive la degradazione e la disumanizzazione che hanno subito i prigionieri nei campi di concentramento è commovente e toccante. Inoltre, Levi è in grado di mostrare la complessità della vita nel campo, dove anche i prigionieri stessi sono costretti a combattere tra di loro per sopravvivere. La sua analisi del comportamento umano in queste situazioni estreme è profonda e illuminante. "Se questo è un uomo" è un libro che dovrebbe essere letto da tutti. È un'opera che ci ricorda l'importanza della dignità umana e della speranza, e ci insegna che anche nelle situazioni più difficili possiamo trovare la forza di andare avanti. La testimonianza di Primo Levi ci fa riflettere sulla natura umana e ci invita a non dimenticare mai gli orrori del passato, al fine di evitare che accadano di nuovo in futuro. "Se questo è un uomo" è una testimonianza straordinaria della vita nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Primo Levi, un giovane chimico italiano di origini ebraiche, fu arrestato nel 1943 e deportato ad Auschwitz insieme ad altri prigionieri. Il libro inizia con la descrizione del viaggio in treno verso il campo di concentramento, un'esperienza traumatica e disumana in cui i prigionieri venivano stipati in vagoni merci e privati di cibo e acqua per giorni. Levi descrive la disumanizzazione subita dai prigionieri, ridotti a numeri e privati della loro identità. Una volta arrivati ad Auschwitz, Levi e gli altri prigionieri vennero sottoposti a una serie di controlli e selezioni brutali che determinavano il loro destino. Alcuni venivano selezionati per il lavoro forzato, mentre altri venivano mandati direttamente alle camere a gas. Levi descrive la dura vita quotidiana nel campo, in cui la fame, la malattia e la violenza erano all'ordine del giorno. Ma il libro non è solo una testimonianza degli orrori del campo, ma anche una riflessione sulla natura umana e sulla dignità dell'uomo. Levi analizza il comportamento dei prigionieri, che spesso dovevano lottare tra di loro per sopravvivere. Ma nonostante tutto, Levi mostra come alcuni prigionieri siano stati in grado di mantenere la loro umanità e la loro speranza, come una sorta di protesta contro la disumanizzazione del campo. "Se questo è un uomo" è un libro che ci ricorda che l'umanità è fragile e preziosa e che anche nelle situazioni più estreme, la dignità e la speranza possono essere mantenute. È un'opera che ci invita a riflettere sulla natura umana e a non dimenticare mai gli orrori del passato, al fine di evitarne la ripetizione in futuro. Questo libro, fa parte di tanti libri sulla guerra, che mio padre mi ha lasciato in eredità e che solo ora ho avuto il coraggio di rispolverare. Ho voluto iniziare da questo, perchè uno dei piu stimati e citati da mio padre in tutta la sua vita.. Avere tra le mani questo libro e sapere che anche mio padre lo ha letto è per me stato fonte di grande emozione e so per certo che non resterà l'ultimo. Quale dolore avrà creato a chi direttamente o indirettamente la guerra la ha vissuta sulle proprie spalle, solo ora mi rendo conto di quanto poco sapevo di mio padre e di quanta poca importanze gli avessi dedicato.. Spero che questa mia scoperta tardiva in qualche modo possa fare pace con la mia coscienza perche è un tentativo di capire e di avvicinarmi a lui.... Libro, senza ombra di dubbio, straziante nella sua lucida ricostruzione di quanto lui stesso e tanti altri deportati vissero a Monowitz. Soprattutto il racconto degli ultimi dieci giorni, da quando Levi e tutti gli altri ricoverati in KA-BE (infermeria) vengono a sapere che i russi si stavano avvicinando.. Monowitz viene bombardato e viene abbandonato da tutti, nazisti compresi, chi resta sono in pochi ricoverati in infermeria e vi garantisco che sono pagine strazianti... Una testimonianza terribile anche se nella prima parte traspare molto il Levi cronista, distaccato e lucido che per un verso può essere interessante per quanto concerne i fatti narrati ma personalmente mi sarei aspettata piu emozione e più pathos.. nessuna recensione | aggiungi una recensione
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Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò "Se questo è un uomo" nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei "Saggi" e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo. Testimonianza sconvolgente sull'inferno dei Lager, libro della dignità e dell'abiezione dell'uomo di fronte allo sterminio di massa, "Se questo è un uomo" è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un'analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Così, in questo momento di sconforto, ho pensato di riprendere in mano uno dei grandi classici, quello che per me è il resoconto per eccellenza della Shoah (senza nulla togliere agli altri, ovviamente, la mia è una mera considerazione personale): Se questo è un uomo di Primo Levi, la testimonianza che più di ogni altra mi ha fatto capire quanto male si possa fare con un niente.
L’infermiere indica all’altro le mie costole, come se fossi un cadavere in sala anatomica; accenna alle palpebre e alle guance gonfie e al collo sottile, si curva e preme coll’indice sulla mia tibia e fa notare all’altro la profonda incavatura che il dito lascia nella carne pallida, come nella cera.
Vorrei non aver mai rivolto la parola al polacco: mi pare di non avere mai, in tutta la mia vita, subito un affronto più atroce di questo. L’infermiere intanto pare abbia finito la sua dimostrazione, nella sua lingua che io non capisco e che mi suona terribile; si rivolge a me, e in quasi-tedesco, caritatevolmente, me ne fornisce il compendio: «Du Jude kaputt. Du schnell Krematorium fertig» (tu ebreo spacciato, tu presto crematorio, finito).
Ho sempre trovato la testimonianza di Levi particolarmente straziante proprio per il suo concentrarsi non tanto sulla crudeltà, ma sul totale annientamento della dignità e dell’umanità di tutte le persone ritenute inferiori e sull’incapacità di riconoscere se stessi nell’altro.
Ai piedi della forca, le SS ci guardano passare con occhi indifferenti: la loro opera è compiuta, e ben compiuta. I russi possono ormai venire: non vi sono più uomini forti fra noi, l’ultimo pende ora sopra i nostri capi, e per gli altri, pochi capestri sono bastati. Possono venire i russi: non troveranno che noi domati, noi spenti, degno ormai della morte inerme che ci attende.
Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete da temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.
Alberto e io siamo rientrati in baracca, e non abbiamo potuto guardarci in viso. Quell’uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo stati rotti, non ha potuto piegarlo.
Perché, anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo.
Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la riparazione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana di fame, e ora ci opprime la vergogna.
Spero che oggi a chi osa celebrare la Giornata della Memoria dopo aver giocato con dichiarazioni e azioni fasciste e razziste vada di traverso il boccone. ( )