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No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison (2018)

di Behrouz Boochani

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"In 2013, Kurdish journalist Behrouz Boochani was illegally detained on Manus Island, a refugee detention centre off the coast of Australia. He has been there ever since. This book is the result. Laboriously tapped out on a mobile phone and translated from the Farsi. It is a voice of witness, an act of survival. A lyric first-hand account. A cry of resistance. A vivid portrait through five years of incarceration and exile."--… (altro)
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Ho sempre creduto nelle parole e nella letteratura. Sono convinto che la letteratura abbia il potenziale per provocare cambiamenti e per sfidare le strutture del potere.
La letteratura ha il potere di darci la libertà. Sì, è così.
Sono chiuso in prigione da anni, ma la mia mente non ha smesso di produrre parole che mi hanno portato oltre i confini, oltreoceano, in luoghi sconosciuti. Le parole sono più potenti delle sbarre del luogo in cui mi trovo, di questa prigione.
Non è un semplice slogan. Non sono un idealista, non sto esprimendo il punto di vista di un sognatore. Queste sono le parole di una persona che è tenuta prigioniera in questa isola da quasi sei anni e che è testimone di una tragedia straordinaria che si sta verificando ora. Queste parole mi consentono di essere lì con voi, questa notte.

Dal Discorso di Behrouz Boochani pronunciato all’assegnazione del Victorian Prize 2019

Nessun amico se non le montagne non è stato affatto la lettura che mi aspettavo: pensavo che avrei letto il resoconto delle terribili esperienze di Boochani durante la fuga dall’Iran e poi nei campi di prigionia australiani, invece mi sono ritrovata a leggere una sorprendente analisi del perché ancora esistono situazioni e luoghi di disumanità come quelli.

La prosa di Boochani è stata definita surrealismo raccapricciante perché sembra realismo magico, ma la sua interpretazione della realtà (dovuta sia al non rendere riconoscibili le persone prigioniere delle quali parla, sia al costruire la sua riflessione in merito alla Prigione di Manus) unita al suo uso poetico delle parole la rendono un unicum in letteratura. Basterebbe solo questo a rendere questo libro degno di attenzione.

Ma c’è anche la sua analisi della situazione della prigionia e del sistema di accoglienza (sempre che si possa definire accoglienza). Sicuramente le modalità di analisi vi saranno familiari se bazzicate il femminismo intersezionale, visto che Boochani è consapevole di come quel sistema di sfruttamento venga replicato in altri ambiti, che devono essere tutti liberati affinché questi orrori non si ripetano mai più, da nessuna parte.

Siamo quattrocento persone
quattrocento anime perse in uno spazio ristretto
quattrocento prigionieri
che aspettiamo impazienti le notti
…in modo da potercene andare
…ed entrare nei nostri incubi.
( )
  lasiepedimore | Jan 12, 2024 |
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"In 2013, Kurdish journalist Behrouz Boochani was illegally detained on Manus Island, a refugee detention centre off the coast of Australia. He has been there ever since. This book is the result. Laboriously tapped out on a mobile phone and translated from the Farsi. It is a voice of witness, an act of survival. A lyric first-hand account. A cry of resistance. A vivid portrait through five years of incarceration and exile."--

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