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Nel mio paese straniero (2009)

di Hans Fallada

Altri autori: Sabine Lange (A cura di), Jenny Williams (A cura di)

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"I lived the same life as everyone else, the life of ordinary people, the masses." Sitting in a prison cell in the autumn of 1944, the German author Hans Fallada sums up his life under the National Socialist dictatorship, the time of "inward emigration". Under conditions of close confinement, in constant fear of discovery, he writes himself free from the nightmare of the Nazi years. He records his thoughts about spying and denunciation, about the threat to his livelihood and his literary work and about the fate of many friends and contemporaries. The confessional mode did not come naturally to Fallada, but in the mental and emotional distress of 1944, self-reflection became a survival strategy. Fallada's frank and sometimes provocative memoirs were thought for many years to have been lost. They are published here for the first time.… (altro)
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Hans Fallada era già ben indirizzato nel percorso della propria autodistruzione quando, nel 1944, fu rinchiuso in un manicomio criminale per aver tentato di commettere atti di violenza contro quella che era ormai la sua ex moglie. In cella riuscì a procurarsi carta e penna e con quelle, mentre al di fuori la Germania precipitava nell’inferno, scrisse alcuni racconti e, di nascosto dai propri carcerieri, il diario della vita sua e dei propri familiari sotto il nazismo.
Per non essere scoperto e per sfruttare fino in fondo il poco materiale di cui disponeva, scrisse questo libro a caratteri piccolissimi, capovolgendo il foglio ogni volta che arrivava alla fine e ricominciando daccapo scrivendo negli spazi fra una riga e l’altra. A un certo punto, lo racconta lui stesso nell’ultimo capitolo, deve decidere di fermarsi e, approfittando di un permesso temporaneo di uscita, nasconde su di sé i fogli e riesce a portarli fuori del carcere. Difficilissimo da decifrare, il manoscritto rimarrà inedito fino al 2009.
Come già in Ognuno muore solo, il punto di vista di Fallada è quello dell’uomo comune, schiacciato dall’immane macchina del regime. Ma se nel romanzo le tante storie che si intrecciano sono quelle dei piccoli atti di resistenza nella tetra Berlino degli anni di guerra, qui Fallada racconta una storia di quotidiana normalità in una piccola cittadina di campagna e del suo resistere da persona comune contro la stolidità, l’arroganza, la perfidia dei nazisti:
"Mi sembra che tutto ciò che ho vissuto siano soltanto beghe di poco conto, che non possono non annoiare chiunque […] E però mi dico: cos’altro avrei dovuto scrivere? Io non mi sono trovato nel bel mezzo dell’attualità, non ero l’amico fidato di ministri e generali, non ho grandi rivelazioni da fare. Ho vissuto la vita di tutti, la vita della gente qualunque, della massa."
Nonostante ne abbia più volte avuto l’occasione, Fallada si rifiutò sempre di lasciare la Germania. Fu questa la sua resistenza, il suo piccolo e privato atto di eroismo, il pegno d’amore pagato a un paese che non riconosceva più ma che nonostante tutto non cessò mai di amare. ( )
  winckelmann | Sep 24, 2017 |
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Nome dell'autoreRuoloTipo di autoreOpera?Stato
Hans Falladaautore primariotutte le edizionicalcolato
Lange, SabineA cura diautore secondariotutte le edizioniconfermato
Williams, JennyA cura diautore secondariotutte le edizioniconfermato
Blunden, AllanTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Martí-Menzel, ChristianTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Rubino, MarioTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Stenström, SofiaTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato

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"I lived the same life as everyone else, the life of ordinary people, the masses." Sitting in a prison cell in the autumn of 1944, the German author Hans Fallada sums up his life under the National Socialist dictatorship, the time of "inward emigration". Under conditions of close confinement, in constant fear of discovery, he writes himself free from the nightmare of the Nazi years. He records his thoughts about spying and denunciation, about the threat to his livelihood and his literary work and about the fate of many friends and contemporaries. The confessional mode did not come naturally to Fallada, but in the mental and emotional distress of 1944, self-reflection became a survival strategy. Fallada's frank and sometimes provocative memoirs were thought for many years to have been lost. They are published here for the first time.

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