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A S. M. Ejzenštejn e a A. Einstein, regista e filosofo, maestri dell'orrore
Incipit
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L'aereo seguiva la sua rotta, dritto come una freccia. Sul davanti una luce segnaletica rossa, rafforzata da prismi di cristallo. Fendeva la notte come un dardo dalla punta incandescente. Il bersaglio la città. Volava basso sopra le campagne.
Ci sono libri che estendono il loro dominio, si direbbe la loro volontà di potenza, oltre la linea d’ombra che la mente di un lettore può tracciare. Libri assoluti e improvvisi che sembrano arrivati dal nulla. Qualcuno scrive, ma vi è indotto da che cosa? Può darsi che lo scrivere sia una fuga dal nulla. Un’oscurità che si squarcia retrospettivamente.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
Citazioni
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Non vi erano luci sulla terra. Solo una distesa luminosa nel cielo. Là dove l'uomo ancora non aveva potere, viveva il romanticismo, selvaggio e corrucciato nel suo trionfo.
Nel gioco tra spazi aperti e chiusi prevalevano questi ultimi. Da tutti i lati la città sovrastava il pedone. Non segnalava la propria fine, compariva improvisa, dietro un angolo. Si costruiva poco, la popolazione dello Stato era stazionaria, l'inurbamento cessato, tutti ora erano sistemati nelle città. Gli scambi tra le città erano rari, ora tutte si costruivano secondo lo stesso modello. L'individualità delle città consisteva in qualche reliquia del passato.
Chi usciva da solo correva un rischio. Migliaia di sguardi diffidenti convergevano immediatamente su di lui come i raggi del sole in un punto focale.
Al pianterreno, in alcune case, c'erano nicchie fortemente illumimate e accessibili a tutti. Contro dei catafalchi, e un po' all'indietro, erano appoggiati i morti. Trattati con l'acido carbolico per evitare la prima putrfazione, stavano là tre giorni in mostra, davanti alla massa bramosa di vedere - poi venivano sepolti nudi, in piedi, in fosse di sabbia, interamente murati in sabbia umida, calcata attorno al corpo. Lo Stato seppelliva i suoi morti in piedi. Era una dura condanna quella che ordinava che si fosse sepolti distesi, nel Cimitero dei Distesi, un cimitero della vergogna, molto lontano, non visitato da nessuno.
Qualcosa di gigantesco si stagliava sullo sfondo, un organo che in una sala come questa pareva una città, ma una città del passato, una città simmetrica con dei tetti. [...] Lo strumento nazionale era l'organo. [...] Questa costruzione non era più predisposta per essere suonata, ma per essere azionata da un esercito di funzionari, e mossa da diverse serie di motori. [...] Sembrava un'unità indistinta quella che stava là ad ascoltare, ma chi si fosse avvicinato con occhio critico avrebbe scorto che la moltitudine, sebbene vestita allo stesso modo, si componeva nei volti in individui. La natura, più potente del volere dell'autorità, giocando capricciosamente, rompeva la monotonia della riunione. La spessa vernice delo Stato non riusciva a spegnere i colori originari.
Non v'era alcun valore, perché il valore è qualcosa di personale. Lo Stato non tollerava alcuna critica perché la critica è scissione.
Sul podio c'era l'individuo, in piedi. Era una figura del passato. La sua parola era una voce del passato. Stava in piedi ed essi lo ascoltavano in piedi. [...] "Ma perché", disse, "avete costruito le vostre città come scatole cubiche, tracciato le vostre aiuole come quadrati, le vostre strade come rette! Siete innamorati, con il duro amore delle vostre anime, delle linee, delle figure e delle forme dalle sporgenze angolose. Avete spinto l'ideale del blocco ai suoi eccessi estremi, siete i cubisti della pratica. Vi ferirete a morte sui bordi taglienti della vostra condizione. dvo solo tastare il mio cranio rotondo per sentire che ciò che sta dentro cenrca la perfezione nel cerchio, nel disco e nella Sfera. Oh, la delizia della linea senza fine, della superficie senza angoli, del corpo senza superfici! Il blocco è il vostro dio, eppure voi non potete cambiare la natura. Nelle scuole quadrate i vostri bambini accolgono con occhi tondi le lezioni dei vostri princìpi spigolosi. Voi stessi, uomini, accarezzate nell'ebbrezza dei sensi le rotondità delle vostre donne. Come sarebbe il vostro animo se la carezza delle vostre mani cadesse su dei cubi? Voi dimenticate che la terra è rotonda, che descrive un cerchio attorno al sole e i cui colori si rifrangono nell'arcobaleno quando cadono le gocce tonde. Coi siete seguaci non dell'amor vole acqua, ma delle sgradevoli lastre di ghiaccio. La vostra angolosa intelligenza avanza come il ghiaccio maligno sull'ondeggiamento delle vostre emozioni. Eppure l'acqua ci scorre sotto, e, a volte, dove il ghiaccio è leggero, dove c'è una spaccatura, anche sopra. Io riconosco nell'avanzata dei vostri ghiacci qualcosa di grandioso, ma alla fine essa farà saltare gli arigini del vostro Stato, soccomberete sotto il freddo polare che avete copiosamente accumulato. Ciò che voi volete non è nella natura dell'uomo. [...] La mia voce apssa attraverso la finestra rotonda e ovale delle vostre orecchie. Il cielo sta come una cupola sopradi voi, l'universo attorno a voi è una Sfera. L'oridne del mondo tende alla Sfera. Io vedo la città del futuro come una città di cupole, una città fondata su un monte rotondo. Se volete servire, servite la Sfera, inchinatevi davanti al formidabile segreto del suo contenuto, voi che così ardentemente aspirate al formidabile. La vostra pratica è la caricatura implacabile dei vostri princìpi, voi equilibristi fra due idee, metri con due misure, voi bigami della matematica."
Lo Stato negava tutti i valori individuali, in primo luogo il valore dell'individuo. L'individuo interessava lo Stato per una cosa soltanto: la sua pericolosità per lo Stato. Allora lo Stato vedeva in lui un uomo. L'uomo era per lo Stato nient'altro che un nemico.
Lo Stato imparava dal passato solo ciò che non si doveva fare. Il museo storico era il museo del monito. Si trovava nel nucleo della città, nel quartiere del monito. il nome ufficiale di questa zona della città era "il quartiere del cattivo esempio". La popolazione chiamava il quartiere "il nucleo della città ". Il nucleo della città si trovava pressappoco nel suo centro. Il nucleo era piccolo, ma compatto e aggrovigliato come il cervello di un mammifero di grado superiore. Era la foto in miniatura dello stato capitalista. C'era un canale con le anitazioni patrizie, c'erano casermoni con appartamenti di una stanza sola, c'erano viuzze e vicoli ciechi, catapecchie, e c'era una chiesa. [...]Il nucleo della città era ufficialmente l'unica cosa curiosa della capitale, un frammento del passaro, notevoli sì, ma fino a un certo punto. Era qualcosa che si doveva conoscere a completamento della propria formazione, ma che per il resto valeva poco. Come soffiarsi il naso in un fazzoletto era segno di educazione [...] E, proprio come nel fazzoletto ci sono i microbi, il nucleo della città conteneva i microbi di vite umane nell'ombra, fuori del consorzio sociale.
I ci que furono giustiziati contemporaneament. Le loro mascelle erano cucite assieme. Dagli occhi ciechi usciva sangue. La loro vista era ripugnante. Ma all'ultimo, quando sentirono che le mitragliatrici avrebbero crepitato, ebbero un lampo di grandezza. Si ersero in tutta la loro statura. Uno riuscì a sollevare la mano, a mezza altezza. Caddero giù. Le metragliatrici spararono ancora per un poco. Le pallottole si conficcarono nell'argilla. Erano: Glüschaint, De Marcas, Tannenhof, la signora Tekalopte, Ypsilinti.
La loro festa era unicamente una gioia per gli occhi. Di occhi e orecchie. Di nessun altro senso era tollerata la carezza festosa, ancor meno lo stimolo.
Non c'era denaro, non c'erano negozi, non c'erano articoli di lusso, tranne che nel museo storico, severamente sorvegliato da puniti. La popolazione era tesserata. Tuttavia circolavano vizi, soldi, gioelli, leccornie, bevande alcoliche, giochi lussuria. Il peccato era inestirpabile. come la flora intestinale. [...] I gioielli servivano a poco, l'oro a niente. Ma era dolce commettere un peccato, essere un individuo. Se non si poteva brillare sugli altri apertamente, si poteva però brillare nascostamente di luce profonda e falsa.
Gli sguardi dei dieci andavano lontano. E notavano che ciò che sembrava oridnato lasciava qua e là intravedere i germi del disordine. I quadrati e i rettamgoli osservati dall'alto non erano tutti perfetti come un tempo. Anche le squadre aeree sopra di essi mostravano irregolarità. E selvaggio, troppo selvaggio a colte, era lo spettacolo sul fiume. Là, in lontananza, un reggimento formava un arco, e un altro, molto lontano, tentò di formare un cerchio. I dieci vedevano tutto ciò. Era come se vedessero da una grande altezza il gorviglio di vene d'acqua sotterranee dura te l'era alluvionale. Vedevano il disordine in divenire, la scissiome, la divisione cellulcare. Era ancora poca cosa, ma innegabile. E allora, guardando in basso, colsero sul tetto di un nuovo edificio a blocco della Piazza del nucleo l'accenno di una cupola come il primo rigonfiamento nel petto di un'adolescente.
L'idea di fondo che sorregge la costruzione del racconto è che le città non sono organismi neutri, né tantomeno innocui. Esse interpretano lo spirito con cui il potere esercita il proprio ruolo, si riproduce e si rappresenta.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
Il fine della vita metropolitana non è più la libera circolazione degli individui, la loro realizzazione in quanto comunità, bensi l'esibizione stessa del potere. Spazio architettonico e spazio politico tendono a coincidere, a sovrapporsi, a integrarsi l'uno nell'altro.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
Nel paesaggio urbano dominato dall'ortogonalità un solo numero è alla base di ogni cosa, di ogni pensiero, di ogni possibile scelta: il quattro. La stabilità architettonica, morale e politica della città-stato si fonda su quell'unica cifra.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
Il racconto si può leggere anche come il terribile fallimento di una rivolta. L'oscillazione permanente di un dramma. [...] Ogni si golo evento che accade minaccia la stabilità del tutto. Nessun punto di equilibrio si dà tra ordine e conflitto. Quest'ultimo, anzi, va ossessivamente rimosso, radicalmente estirpato.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
[...] ci troviamo in presenza di uno stile allarmante. Ogni aspetto che vi è descritto - dai dettagli di vita quotidiana alle terrificanti emergenze che la rivolta in corso richiede - è il puro stare in allerta. E lo stile non fa che conformarsi a questo stato di angosciosa eccezionalità in cui l'esperienza umana è gettata. Si direbbe perciò che la stessa scrittura - fratta ed elementare - non parli su o di qualcosa, non rappresenti la scena, ma vi appartenga in modo indistricabile. È un abbandonare la distanza, pur restando imperturbabili. Il brusco stile si fa geometria.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi
Ultime parole
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I dirigibili prendevano masse e scaricavano masse. C'erano ressa, calca, canti, e un inizio di risata. C'era inquietudine. E nei tunnel notturni pieni di spifferi e solitamente vuoti, con il sordo scivolare dei nastri trasaportatori e qualche lontana eco di voci, c'era un rumore mai sentito sotto le interminabili volte, con uomini tutti in nero e rosso, ma che vociavano, gridavano, si ammassavano, al limite tra il gioco e la lotta. E queste moltitudini, calde di irrequietezza, rimasero a circolare sottoterra, trascinandosi avanti a tutte le velocità, finché spuntò il nuovo giorno, algido, rossastro, ferrigno.
Ma la tensione del racconto, magistralmente mantenuta per tutta la narrazione, non si scioglie. Non trova una conclusione, un esito risolutore. La radicale antitesi di Rotondo e Quadrato, potenze poltiche e al tempo stesso archetipi metafisici, rimane aperta, sospesa. Ci si rende conto, in virtù dell'insolito finale, che Bordewijk non dà valutazioni, non qualifica, non giudica lo scenario distopico che squaderna dinanzi. Fa, se si vuole, della vulcanologia sociale, limitandosi a descriverne i movimenti tellurici. Fin dentro la parola e l'azione che improvvisamente si interrompono. E restano come sospese sul vuoto, pronte a rientrare in quel nulla da cui provenivano.
Il cubismo di Stato di Antonio Gnoli e Franco Volpi