Le perplessità che ho avuto durante la lettura di questo romanzo si rispecchiano nella difficoltà in cui mi trovo nel doverne dare un giudizio.
Di sicuro non posso che ammirare la cura certosina con cui l'autrice ha ricostruito il mondo della borghesia tedesca tra la fine dell'800 e l'ascesa del nazismo; nello specifico racconta il destino beffardo degli ebrei cosiddetti "assimilati", che nel giro di qualche decennio si sono trovati dall'essere cittadini eminenti nella Germania del Secondo Reich (in molti casi addirittura ferventi nazionalisti e patrioti) ad essere emarginati e perseguitati in quanto appartenenti ad una comunità in cui non si erano mai veramente riconosciuti. E' emblematico il fatto che dell'ebraismo nel libro non si parli mai se non di sfuggita, diventa elemento importante della narrazione solo con l'entrata in scena dei nazisti, sono loro che impongono l'identità di ebrei a persone che fino a quel momento si erano sentite soprattutto tedesche. E' un punto di vista molto originale, perchè di solito siamo abituati a leggere degli ebrei in contrapposizione ai tedeschi (che identifichiamo genericamente coi nazisti), mentre qui troviamo ebrei che sono anche e soprattutto tedeschi.