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Sto caricando le informazioni... Ulisse (1922)di James Joyce
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Una volta terminato l’Ulisse nel 2007 con la traduzione di Guido De Angelis ripresi l’abitudine di appuntarmi i libri, tanto fu eroica l’impresa che dovevo fare qualcosa di impegnativo. Ho questo libro nel ripiano di una delle mie librerie, che sofferenza questa instabilità dei libri, ostaggi delle mie odissee, dal 2013, come fu pubblicata l’edizione tradotta da Celati non ebbi esitazione. Pensavo di leggerlo nel 2017, ma poi l’ordine è ordine e questa impegnativa lettura è arrivata in un momento terribile. Mamma ha raggiunto Ettore e papà e io rimango con un senso di vuoto, di solitudine assoluta, Paola cerca di colmare, ma gli spazi vuoti sono giganteschi. La lettura dell’Ulisse è impresa epica, un giorno, e che giorno quel 16 giugno 1904 in cui Leopold Bloom, Stephen Dedalus e Molly diventano i grandi rappresentanti della letteratura del 900. Dalla colazione con il rognone al capitolo di chiusura del libro in cui i flussi di coscienza di Molly diventano un attentato alle già deboli coronarie del già indebolito lettore, Ulisse è un viaggio nell’uomo e nelle parole. Celati parla del disordine delle parole, ma dietro quel disordine esiste un lavoro incredibile di minuziosa scelta di milioni di termini, di forme, di vernacoli. Joyce presenta in un solo testo un’escursione intensa nelle letterature, negli stili narrativi, con un testo che da solo diventa simbolo del pluralismo. Plurali le persone, forme e sostanze, il singolare è estraneo all’Ulisse, nonostante la lunga giornata dublinese di Leopold Bloom sia ordinaria. Come ordinaria è la vita di ogni protagonista dell’Ulisse in senso tecnico. Straordinaria è la sintesi di culture, di fatti storici, di citazioni, di metafore, iperboli, parabole, riduzioni, domande senza risposte e risposte senza domande. Ma dietro il disordine dell’Ulisse c’è la sensibilità di Joyce di comprendere i fermenti del secolo che sta iniziando, l’ebreo errante, lo stesso Bloom, che ignora la sorte che la storia gli sta precompilando, la caduta dei grandi imperi coloniali, dell’odiato impero britannico, la solitudine dell’uomo moderno, la crisi del modello famigliare, l’avvento della psico analisi, la destrutturazione del pensiero. Probabilmente una mia superficialità nella lettura mi ha aiutato a affrontare questo testo; perché accetto di non capire tutto, apprezzo il flusso delle parole, il ritmo della pagina, di questa splendida opera che è l’Ulisse di James Joyce. Un capolavoro assoluto. ( ![]() 823.912 JOY Un viaggio. Nell’uomo, dentro le sue emozioni, le sue debolezze, le sue ricchezze, le sue miserie. Tra le religioni, le convinzioni, l’amicizia, la sessualità. E che viaggio! Non è un libro semplice. Perché è al di fuori degli schemi narrativi classici. O meglio è oltre gli schemi, assumendo una fisionomia narrativa del tutto innovativa. Un lungo giorno di due protagonisti, Leopold Bloom e Stephen Dedalus a Dublino, il 14 giugno del 1904. In primo piano la moglie di Bloom, Molly che lo tradisce con il suo impresario teatrale. E sullo sfondo l’umanità che avanza e retrocede lungo il racconto. Che non è un racconto ma una somma di possibili circostanze. Bloom è ebreo, giudeo in un’Irlanda cattolica. Cosa sarebbe successo trent’anni dopo sarebbe la domanda da porre al Cittadino, futuro SS. E questa cultura irlandese ad emergere in questo racconto che anticipa il 900. Lo stile narrativo è quanto mai complesso e spesso ostico, passando per tutti i sistemi di scrittura. Ma non si tratta di una dotta esercitazione di stile ma di un mondo che si apre attraverso l’ordine delle parole. Peccato non poterlo leggere in inglese. L’Ulisse non è un libro. E’ un infuso nel quale ti immergi e da cui ne esci imbevuto. > da WIKIPEDIA Una famosa interpretazione dell’Ulisse è quella dello scrittore e poeta inglese Thomas Stearns Eliot, secondo il quale “vi è espressa la distanza tra la mediocre realtà contemporanea e la grandezza eroica del mondo greco”. E ancora: “ … nell’Ulisse è esaltato il valore del mito in quanto mezzo dell’uomo per riscattare un'esistenza altrimenti priva di senso …” (affrontata in questo modo l'Ulisse non può che intimidire!) Ma quella di Eliot, a mio modo di vedere, è una interpretazione intellettualistica forzatamente romantica (tra l’altro mai avvalorata da J. stesso, per quel che ne posso sapere). D'altra parte, la critica letteraria classica ha molto ha amato gli aspetti epici delle grandi storie, soprattutto quando il linguaggio ne ha supportato e ne ha compenetrato le trame. E certo molti grandi scrittori hanno portato al limite estremo le modalità del narrare l’esplicita e dichiarata “epica umana”. In essi il linguaggio è a “esclusivo servizio” del racconto e viene elevato a perfetta arte dello scrivere, solo fondendosi armonicamente con questo. Ma io amo un altro vedere: il punto di vista di un esploratore di portici bassi e di visioni del mondo a volte limpide a volte bruciantemente morbose di conoscenza anelata, di un camminatore di viottoli di campagna, di storie minimalistiche, di passioni riservate che sono però telluriche nel profondo dell'anima, esprimendosi attraverso parole che spesso nascondono nel ritmo il loro essere prede . Dunque, nell' evoluzione stilistica di Joyce amo vedere come si privilegi il “modo della scrittura”e si inventi un nuovo linguaggio (che da ombra nascosta si palesa ironicamente e prepotentemente alla luce). Sembra, anzi, che questo "modo" possa prevalere sulla storia, conservandone, solo al contorno, l’epicità. Con Joyce la “grande storia” si sfuma; le vicende non prevedono più eroi o passionali vittime/interpreti delle pulsioni e degli sconvolgimenti dell’anima. Essa resta nascosta alla trama e, tutt’al più, aleggia su questa, magari costituendone una formalità che spesso sa di esercizio di circostanza e di interpretazione della modernità. Nessuno di noi potrebbe oggettivamente proiettarsi in Enrico IV, in Ettore o Achille o addirittura d/Chisciotte. Ma tutti possiamo “vederci” in Dedalus (timoroso esploratore della vita), in Bloom (cinico ironizzatore di conformismi protestanti e disincantato mentitore), in Buck Mulligan (blasfemia vivente) o in Molly (fascinosa e seducente fedifraga) e nelle loro vicende minimalistiche. Dunque, cos’è che, malgrado tutto, rende i personaggi Joyciani evocanti o criptici navigatori dell' epica , come sono invece esplicitamente gli eroi Omerici o Riccardo II°, Enrico IV°, Macbeth o i dimoranti dei gironi infernali? Che cosa li illumina di un alone eroico? Esclusivamente la forma/linguaggio. Che non descrive il loro aspetto (o lo fa in minima parte) e tanto meno i sentimenti e le loro convulsioni; si limita ad accompagnarne i movimenti, gli spostamenti e i percorsi: la parola ritmica prima di tutto.E questa parola ritmica da sola deve rendere il senso del racconto, a costo di essere neologismo. E a volte onomatopeismo. In Joyce è la forma “linguaggio” che, intrinsecamente, diventa, di volta in volta, drammatica, evocativa, tragica, ironica. In qualche modo referente formale di un mito.
For readers to whom books are an important means of learning about life, it stands preeminent above modern rivals as one of the most monumental works of the human intelligence. During the one exciting day in Dublin, Joyce turns the mind of Bloom inside out. The history of Ireland comes to us in refracted rays. Through Stephen Dedalus we are introduced to Joyce's own profound spiritual uneasiness, his sense of loss, his hatred of the pragmatic commercial ethic, his need for the moorings and soundings of the medieval Catholic synthesis, his mental honesty that won't permit him to accept a religion, no matter what its appeal, so long as his intelligence tells him it is a figment of dream. Appartiene alle Collane EditorialiArion Press (27) Delfinserien (433) edition suhrkamp (1100) — 17 altro Keltainen kirjasto (60) Modern Library Giant (G52) Neue Folge (Bd. 100) Penguin Books (3000) Perpetua reeks (55) st (2184) È contenuto inDubliners, A portrait Of The Young Artist, Ulysses (Three Acclaimed Classics In One Volume) di James Joyce 4 James Joyce Novels: Ulysses, Portrait of The Artist As a Young Man, The Dubliners, Chamber Music (Illustrated) di James Joyce Ha un sequel (non seriale)Ha l'adattamentoÈ ispirato aHa ispiratoHa come guida di riferimento/manualeHa uno studioHa come commento al testoHa come concordanzaHa come guida per lo studenteHa come guida per l'insegnante
L'Ulisse di Joyce è un'opera fondamentale del Novecento letterario europeo. Il romanzo rovescia il canone epico della tradizione, raccontando non il destino di un eroe, ma la giornata comune di un uomo moderno nelle sue peregrinazioni quotidiane. Un'odissea dentro la realtà di ogni giorno che sa aprire, per squarci e discese nell'abisso psichico dei personaggi, porte sulla verità di ogni uomo. Annotation Supplied by Informazioni Editoriali Non sono state trovate descrizioni di biblioteche
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