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Signora Ava (1942)

di Francesco Jovine

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Un romanzo storico ambientato in Molise negli anni cruciali che precedono l'Unità d'Italia.
La prima parte è in pratica un lunghissimo prologo in cui ci vengono presentati i personaggi e la loro esistenza semplice ed abitudinaria, scandita dalle stagioni e dal lavoro nei campi; nella seconda la storia fa irruzione nelle vite dei protagonisti e le sconvolge: il ritmo si fa più incalzante mentre rassegnazione e placidità lasciano il posto a violenza e passione.
Presi singolarmente ci sono tanti aspetti che ho apprezzato di quest'opera: la caratterizzazione dei personaggi, lo stile asciutto di impronta verista e soprattutto l'idea che la storia sia fatta da pochi e subita da tutti gli altri; nel complesso però non mi ha convinto fino in fondo, mi sembra un libro dispersivo che non ha una struttura narrativa ben costruita. C'è una prima parte fin troppo lunga, in cui si descrivono tanti personaggi che verranno tralasciati nella seconda in cui ci si concentrerà praticamente solo su Pietro. Il coinvolgimento in questo modo viene meno e resta un romanzo di qualità, ma che non appassiona. ( )
  Lilirose_ | Aug 3, 2019 |
E’ un romanzo misto di storia e di invenzione maturato a lungo e travagliosamente nella mente dell’autore.
Una delle ragioni del travaglio è l'esigenza di liquidare la venatura romantica, per "l'esattezza e lo scrupolo della ricostruzione storica".
La favola che avvolge la vicenda è in funzione ironica, e l'ironia si esercita intorno a un preciso momento storico, centrale nella storia del Mezzogiorno: il biennio 1860-61, che vede il crollo del Regno Borbonico, l'effimero entusiasmo garibaldino, la nascita dello Stato sabaudo, l'esplosione della "diversità" meridionale e il primo tempo del brigantaggio postunitario.
In Signora Ava, è lucidamente rappresentata la stratificazione sociale propria dell'epoca c'è una borghesia agraria parassitaria, incarnata dall'usuraio don Eutichio De Risio; c'è una borghesia non ottusa e anzi sensibile a una certa giustizia sociale, aperta alle idee liberali e alle innovazioni garibaldine; c'è un basso clero inerte, conformista, ligio agli interessi clientelari della borghesia agraria; c'è una classe contadina succube, rassegnata, spremuta da intatti rapporti feudali, e Pietro Veleno ne costituisce il personaggio tipico che sa, o crede di sapere, di dover morire contadino come contadini sono stati i suoi genitori e i suoi avi; c'è qualche prete di origine contadina anche lui, povero ma a suo modo ribelle, non conformista, insofferente senza essere rivoluzionario e vittima senza rassegnazione: don Matteo Tridone.
La famiglia De Risio, intorno alla quale si muove l'intera vicenda romanzesca, non è che una metafora, ma storica, e la stessa località di Guardialfiera diventa il "punto di vista" ideale dello scrittore, da cui manovrare i propri strumenti di indagine, di ricognizione, di introspezione e di giudizio.
La trama si snoda in due tempi (le due "parti" del libro) perfettamente funzionali l'uno all'altro. Il primo riproduce il momento "statico" della realtà molisana, arroccata intorno alla famiglia De Risio e definita, quasi cristallizzata, in una struttura socio-economica di tipo ancora feudale; all'interno di essa fermentano gesti, rancori, consuetudini, insofferenze, regolati e compressi da un ordine di istituzioni e di convenzioni che quasi si identificano con una legge inamovibile di natura; si muovono, inoltre, e brulicano esistenze, o meglio brandelli di esistenze, le cui ragioni costitutive sembrano affondare in quell'ordine medesimo al di fuori del quale non hanno senso e non trovano spazio. Il secondo tempo rappresenta il momento dell'incrinatura di quella realtà, quando giungono le notizie dei grandi avvenimenti del biennio '60-'61 a scatenare diversi e spesso contrapposti stati d'animo, a mettere in moto illusioni e speranze, paure e presentimenti, a rimescolare vecchie e nuove idee, memorie antiche e recenti. E’, un'insolita, sorprendente ventata di "storia" che si insinua negli animi e li turba, perché la "storia" si decide a mettere a soqquadro la "natura". Ancora una volta, è la vicenda della famiglia De Risio a ricapitolare, a metaforizzare questo scontro fra "storia" e "natura": la disgregazione della famiglia De Risio - emblematizzata dalla fuga di Antonietta con Pietro Veleno, dalla morte del Colonnello, dall'inesorabile inebetimento del Signor zio e persino dallo squallido duplice tradimento di Don Eutichio in preda all'angoscia di una catastrofica resa dei conti - segna la spia del tramonto di un'epoca e certo la messa in moto di forze ideali, per adesso possibili da imbrogliare e deviare, in cui si innesta, sia pure col peso di tutte le ambiguità, quell'autentico fenomeno insurrezionale di massa che fu il brigantaggio.
La seconda parte è ideologicamente piú indicativa della direzione su cui continuerà a muoversi la ricerca narrativa di lovine. Piú che la prosecuzione dell'affresco della prima parte, si configura come scenario di un dramma che sa di passato e di presente: il dramma della illusione, della disperazione e persino - dal "punto di vista" di Jovine - della mancata "occasione storica".
  impok | Dec 17, 2008 |
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Epigrafe
O tiempo da Gnora Ava
nu viecchio imperatore
a morte condannava
chi faciva a'mmore.
(Canto popolare del Mezzogiorno.)
Dedica
Alla memoria di mio padre
ingenuo rapsodo
di questo mondo defunto.
Incipit
Don Matteo Tridone si schermiva dal sole per guardare la siepe che aveva di fronte.
Citazioni
Ultime parole
(Click per vedere. Attenzione: può contenere anticipazioni.)
Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
DDC/MDS Canonico
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