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E non è da trascurare il forte impulso positivo portato dalla concezione sportiva (la quale, pertanto, non ha affatto sfigurato il vero volto dell'alpinismo): essa fa dell'alpinismo soprattutto una prova delle proprie capacità contro determinati ostacoli e quindi una fonte benefica di fiducia in se stessi, di educazione all'azione, di alacrità e di energia: in una parola, una preziosa terapeutica dell'anima.
L'alpinismo è appunto una delle forme di conoscenza dove più inestricabilmente si uniscono il conoscere e il fare, dove il soggetto s'impadronisce anche materialmente dell'oggetto conosciuto. E, poiché le parole hanno una loro saggezza segreta, questa ebbrezza estasiante di sentirsi dio nell'identità di conoscere e di fare, l'alpinista la racchiude inconsciamente in quel curioso particolare linguistico del suo frasario: "fare" una punta. «Ho fatto le Jorasses», dice l'alpinista, e non: «Sono andato alle Jorasses». L'alpinista crea la montagna nell'atto stesso di dominarla, di prenderene possesso palmo per palmo, tastando con la mano gli appigli, riconoscendone la struttura, la qualità della roccia, gli anfratti, le cenge, le spaccature.
«Ciò che lega alla montagna in modo duraturo, più ancora d'una vittoria, è la subitanea apparizione d'un animale, un'alba, l'arsura sofferta arrampicando, i cieli delle altezze o il fascino di un lago». Sono queste le cose di cui è fatto il libro [La voce delle altezze, 1955] di Biancardi: tutte le innumerevoli realtà, apparentemente marginali, che sostanziano una giornata in montagna e fanno sì che ogni ascensione sia un fatto unico, irripetibile, diversa da tutte le altre.
[lettera alla mamma da Regina Coeli, 21 febbraio 1936] … Delle migliaia di concerti che ho dovuto sentire, ce ne sarà sì e no qualche dozzina che ho sentito volentieri e con piacere: gli altri unicamente per obbligo di mestiere, e spesso con sofferenze vivissime. Quindi tranquillizzati anche per questo e levati dalla testa che io senta in qualche modo la mancanza di musica, teatri e cinematografi: almeno finché posso aver dei libri, cosa vuoi che m'importi, mentre leggo un dialogo di Platone o una pagina dell'Alfieri, di non sentire l'ultima pisciatina di qualche compositore contemporaneo, oppure la millesima cattiva esecuzione d'una sinfonia di Beethoven che so a memoria? Non sono queste le sofferenze della galera: le uniche cose di cui sento la mancanza sono voi e la montagna …