Nick Hornby scrive bene, questo è fuor di dubbio. Ha uno stile semplice e scanzonato e la sua prosa è spontanea, sembra che scrivere gli sia naturale quanto respirare. Questa è una confessione a cuore aperto, senza filtri o omissioni; eppure ci vuole parecchio coraggio e molta consapevolezza per venire a patti con le proprie ossessioni e darle in pasto al pubblico, sempre pronto a puntare il dito: l'idea un intellettuale che passa i sabati pomeriggio allo stadio fra i tifosi più scalmanati e il cui umore invariabilmente dipende dai risultati della sua squadra del cuore è difficile da digerire perfino oggi che il calcio ormai ha invaso le nostre vite, figuriamoci quasi trent'anni fa quando il libro è stato pubblicato. Eppure l'ironia e l'onestà con cui Hornby si mette a nudo riescono a farci passare sopra ad ogni eccesso, mentre l'amore spassionato che nutre per questo sport è talmente evidente che risulta quasi contagioso: probabilmente anche quest'opera ha contribuito a rendere il calcio un fenomeno della portata attuale (ed in fin dei conti è stato un bene o un male? Difficile dirlo)
Aldilà di questi meriti oggettivi, è chiaro che è un libro destinato ad una fetta molto specifica di persone: tifosi (che come ci spiega egregiamente l'autore, sono una categoria ben diversa dagli amanti del calcio), possibilmente nati negli anni 50, ancora meglio se in Inghilterra. Io non rientro in nessuna di queste categorie, il massimo che si può dire di me riguardo il calcio è che sono una simpatizzante della mia squadra, seguo volentieri i mondiali ed ho un padre tifoso; ovvio quindi che non ne sia stata conquistata, mentre leggevo sapevo già che non ero il tipo di pubblico a cui si stava rivolgendo. Però lo consiglierei ad occhi chiusi a mio padre e a qualunque altro appassionato, sapendo che lo apprezzerebbe perchè si sentirebbe capito. ( )

Molto lontano dai soliti piacevoli romanzi di Hornby: solo per sfegatati di calcio inglese, specie per la squadra dell'Arsenal.
Abbandonato dopo pochi capitoli.... ( )