Borges ci conduce in questi tredici racconti in dimensioni labirintiche, oniriche, visionarie. Il tema che ricorre è quello del doppio, del paradosso, della finzione e dell'illusione e ancora una volta rimaniamo coinvolti dal cieco visionario e dalla sua prosa pacata, paziente, mai monotona. ( )

commozione e stupore timoroso di fronte a qualcosa di superiore (che poi Borges lo sapeva “scriverai poesie che ti daranno un piacere non condiviso” ché bisognerebbe essere all'altezza di farlo)

creazione letteraria eccelsa come conseguenza di un desiderio fortemente inseguito ma irrealizzato
“quel breve brano in cui Walt Whitman rievoca una notte in compagnia davanti al mare, nella quale era stato realmente felice.
'Se Whitman l'ha cantata' osservai 'è perché la desiderava e non ci fu. La poesia migliora se intuiamo che è espressione di un anelito, non storia di un fatto'”

e poi si ha la sensazione che Borges vedesse veramente oltre, che cogliesse l'essenza di ciò che di solito si riesce appena a intuire vagamente, a percepire di sfuggita
“Per vedere una cosa bisogna comprenderla.” … “Se vedessimo davvero l'universo, forse lo capiremmo.”
e nonostante questo fardello, questa consapevolezza di una “elemosina spaventosa” che include “i giorni e le notti, il senno, le abitudini, il mondo”, Borges gioca, sogna, suscita meraviglia con “terribile eleganza” e, come auspicava per il suo libro, i suoi sogni continuano “a ramificarsi nell'ospitale immaginazione di quanti ora lo stanno chiudendo”. ( )