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"As far as the education of children is concerned," states Natalia Ginzburg in this collection of her finest and best-known short essays, "I think they should be taught not the little virtues but the great ones. Not thrift but generosity and an indifference to money; not caution but courage and a contempt for danger; not shrewdness but frankness and a love of truth; not tact but a love of one's neighbor and self-denial; not a desire for success but a desire to be and to know." Whether she writes of the loss of a friend, Cesare Pavese; or what is inexpugnable of World War II; or the Abruzzi, where she and her first husband lived in forced residence under Fascist ru≤ or the importance of silence in our society; or her vocation as a writer; or even a pair of worn-out shoes, Ginzburg brings to her reflections the wisdom of a survivor and the spare, wry, and poetically resonant style her readers have come to recognize. "A glowing light of modern Italian literature . . . Ginzburg's magic is the utter simplicity of her prose, suddenly illuminated by one word that makes a lightning streak of a plain phrase. . . . As direct and clean as if it were carved in stone, it yet speaks thoughts of the heart." --The New York Times Book Review… (altro)
So light is the touch of the Italian writer Natalia Ginzburg in these 11 essays, written between 1944 and 1960 and translated by Dick Davis, that they might float through the reader’s mind unimpeded, if it weren’t for the ballast hidden within.
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Deus nobis haec otia fecit
Dedica
Incipit
In Abruzzo non c'è che due stagioni: l'estate e l'inverno.
Citazioni
Per quanto riguarda l’educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l’indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l’astuzia, ma la schiettezza e l’amore alla verità; non la diplomazia, ma l’amore al prossimo e l’abnegazione, non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere. Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtù, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo. Scegliamo, in questo modo, la via più comoda: perché le piccole virtù non racchiudono alcun pericolo materiale, e anzi tengono al riparo dai colpi della fortuna. Trascuriamo d’insegnare le grandi virtù, e tuttavia le amiamo, e vorremmo che i nostri figli le avessero: ma nutriamo fiducia che scaturiscano spontaneamente nel loro animo, un giorno avvenire, ritenendole di natura istintiva, mentre le altre, le piccole, ci sembrano il frutto d’una riflessione e di un calcolo e perciò noi pensiamo che debbano assolutamente essere insegnate. In realtà la differenza è solo apparente. Anche le piccole virtù provengono dal profondo del nostro istinto, da un istinto di difesa: ma in esse la ragione parla, sentenzia, disserta, brillante avvocato dell’incolumità personale. Le grandi virtù sgorgano da un istinto in cui la ragione non parla, un istinto a cui mi sarebbe difficile dare un nome. E il meglio di noi è in quel muto istinto: e non nel nostro istinto di difesa, che argomenta, sentenzia, disserta con la voce della ragione. L’educazione non è che un certo rapporto che stabiliamo fra noi e i nostri figli, un certo clima in cui fioriscono i sentimenti, gli istinti, i pensieri. Ora io credo che un clima tutto ispirato al rispetto per le piccole virtù, maturi insensibilmente al cinismo, o alla paura di vivere. Le piccole virtù, in se stesse, non hanno nulla da fare col cinismo, o con la paura di vivere: ma tutte insieme, e senza le grandi, generano un’atmosfera che porta a quelle conseguenze. Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore è di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo. Il modo di esercitare le piccole virtù, in misura temperata e quando sia del tutto indispensabile, l’uomo può trovarlo intorno a sé e berlo nell’aria: perché le piccole virtù sono di un ordine assai comune e diffuso tra gli uomini. Ma le grandi virtù, quelle non si respirano nell’aria: e debbono essere la prima sostanza del nostro rapporto coi nostri figli, il primo fondamento dell’educazione. Inoltre, il grande può anche contenere il piccolo: ma il piccolo, per legge di natura, non può in alcun modo contenere il grande.
Ultime parole
Questa è forse l'unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro di qualche aiuto nella ricerca di una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l'amore alla vita genera amore alla vita.
"As far as the education of children is concerned," states Natalia Ginzburg in this collection of her finest and best-known short essays, "I think they should be taught not the little virtues but the great ones. Not thrift but generosity and an indifference to money; not caution but courage and a contempt for danger; not shrewdness but frankness and a love of truth; not tact but a love of one's neighbor and self-denial; not a desire for success but a desire to be and to know." Whether she writes of the loss of a friend, Cesare Pavese; or what is inexpugnable of World War II; or the Abruzzi, where she and her first husband lived in forced residence under Fascist ru≤ or the importance of silence in our society; or her vocation as a writer; or even a pair of worn-out shoes, Ginzburg brings to her reflections the wisdom of a survivor and the spare, wry, and poetically resonant style her readers have come to recognize. "A glowing light of modern Italian literature . . . Ginzburg's magic is the utter simplicity of her prose, suddenly illuminated by one word that makes a lightning streak of a plain phrase. . . . As direct and clean as if it were carved in stone, it yet speaks thoughts of the heart." --The New York Times Book Review
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Descrizione del libro
"In ogni pagina di questo libro c'è il modo di essere donna (di Natalia Ginzburg): un modo spesso dolente ma sempre pratico e quasi brusco, in mezzo ai dolori e alle gioie della vita... Tra i capitoli del volume si ricorda 'Ritratto d'un amico', certo la più bella cosa che sia stata scritta sull'uomo Cesare Pavese. E le pagine scritte subito dopo la guerra, che riportano con una forza più che mai struggente il senso dell'esperienza d'anni terribili (e sanno pur farlo, serbando, come 'Le scarpe rotte', un quasi miracoloso senso del comico). Poi, le prove (come 'Silenzio' e 'Le piccole virtù') d'una Natalia Ginzburg moralista, dove una partecipazione acuta ai mali del secolo sembra nascere dalla matrice d'un calore familiare. E soprattutto, perfetto capitolo d'una autobiografia in chiave obiettiva e ironica, 'Lui e io', in cui la contrapposizione dei caratteri si trasforma, da spunto di commedia, nel più affettuoso poema della vita coniugale." (Italo Calvino).