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Sto caricando le informazioni... La conjura de los necios (originale 1980; edizione 1992)di John Kennedy Toole, José Manuel Álvarez Flórez (Traduttore), Ángela Pérez (Traduttore)
Informazioni sull'operaUna banda di idioti di John Kennedy Toole (1980)
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Le premesse di questo libro sono ottime. L’opera prima, ed ultima, di un giovane americano che si suicida con un manoscritto inedito. La mamma che cerca, proponendolo, un editore. E, dice qualcuno, quel manoscritto è un capolavoro. Questa è la storia del libro. Interessante. Ma la storia nel libro è fiacca. Un racconto che punta a mettere in evidenza le contraddizioni e la povertà intellettuale della middle-class americana. Attraverso la storia di Ignativo, un giovane (trentenne, per me oggi un trentenne è giovane, non c’è nulla da fare, è un discorso di prospettiva) al di fuori degli schemi e permanentemente in protesta. Contro nell’abbigliamento, nei modi di fare e nel lavoro. E in secondo piano una serie di personaggi che appiano, per la gran parte, come in una fotografia in bianco e in nero. Il racconto si inerpica, si sbriga, si intreccia. La forma è serrata. Ma manca un filo conduttore, di fondo; non lo è il rapporto tra madre e figlio; non lo è quello tra uomo e donna; e nemmeno quello tra proprietario e lavoratore. Forse l’autore non lo voleva; o, forse, lo voleva così. Ed allora se il filo conduttore c’è sono io a non averlo visto. Un atto di accusa contro l’America, comunque, qualunquista, (su questa parola sono andato a fare una ricerca per approfondire dove mettere la q, beata ignoranza). Ed il solito elogio ad un qualunquista come Benni, che non è andato oltre un bel libro scritto trent’anni fa, ma che testimonia quanto le impressioni prevalgano sui fatti. ( ![]() Un libro insieme grandioso ed insopportabile. Una galleria di personaggi davvero unici. Ed Ignatius è il grandguignolesco Don Quijote dei fannulloni, dei diseredati; un gonfio ed obeso monito alla pochezza dell'oggi. Dove la filosofia è davvero minima e non minimalista; dove tutto si piega all'immediato senza ombra di misercordiosi paluamenti. La tronfia tracotanza del protagonista galoppa e cavalca per New Orleans come un eroe d'altri tempi, mangiando a sbafo e non lavandosi mai, in un delirio onnipotente ed onniscente che si nutre della miseria che lo circonda. E se non si salva nessuno non è colpa dell'immenso Ignatius, ma del mondo di piccoli e gretti suoi simili. Un capolavoro, a modo suo, del grottesco, dove il desiderio di lasciare Ignatius e l'imperdonabile microcosmo che lo circonda al proprio destino (abbandonando anche il libro al proprio) non sortisce alcun effetto: Ignatius non ti lascerà scappare via!
A pungent work of slapstick, satire and intellectual incongruities - yet flawed in places by its very virtues. Ultimately, Ignatius is simply too grotesque and loony to be taken for a genius; the world he howls at seems less awful than he does. Pratfalls can pass beyond slapstick only if they echo, and most of the ones in this novel do not. They are terribly funny, though, and if a book's price is measured against the laughs it provokes, A Confederacy of Dunces is the bargain of the year. This is the kind of book one wants to keep quoting from. I could, with keen pleasure, copy all of Jones's dialogue out and then get down to the other characters. Apart from being a fine funny novel (but also comic in the wider sense, like Gargantua or Ulysses), this is a classic compendium of Louisiana speech. What evidently fascinated Toole (a genuine scholar, MA Columbia and so on) about his own town was something that A.J. Liebling noted in his The Earl of Louisiana: the existence of a New Orleans city accent close to the old Al Smith tonality, 'extinct in Manhattan', living alongside a plantation dialect which cried out for accurate recording. El protagonista de esta novela es uno de los personajes más memorables de la literatura norteamericana: Ignatus Reilly -una mezcla de Oliver Hardy delirante, Don Quijote adiposo y santo Tomás de Aquino, perverso, reunidos en una persona-, que a los treinta años aún vive con su estrafalaria madre, ocupado en escribir una extensa y demoledora denuncia contra nuestro siglo, tan carente de teología y geometría como de decencia y buen gusto, un alegado desquiciado contra una sociedad desquiciada. Por una inesperada necesidad de dinero, se ve 'catapultado en la fiebre de la existencia contemporánea', embarcándose en empleos y empresas de lo más disparatado. Ruggero Bianchi Tuttolibri settembre 1998 Il caso di Una banda di idioti di John Kennedy Toole ricorda sorprendentemente, per molti versi, quello di Il giovane Holden di J.D. Salinger. Opere, entrambe, di autori (quasi) esordienti e comunque alla loro prima esperienza nel campo della narrativa lunga. E scritte, entrambe, da artisti irrequieti e verosimilmente nevrotici, non disposti a campare sulla sinecura del loro primo successo. Conosciamo tutti, di Salinger, la scelta di centellinare i propri scritti e di difendere la sua scelta esistenziale, una sorte di coleridgiana morte-in-vita. Ma pochi sanno della fine di Toole, nato nel 1937 e suicidatosi nel 1969, a soli trentadue anni, lasciando alla madre il compito di trasformare in bestseller e in classico moderno un libro che forse non pensava di poter mai pubblicare e che, negli Stati Uniti, uscì grazie soltanto al parere autorevole (sebbene segretamente perplesso) del celebre critico Walter Percy, che firma anche l’introduzione all’edizione italiana.Ma le analogie non si fermano qui. Sia Il govane Holden che Una banda di idioti pongono, fin dal titolo, grossi problemi alla bravura dei traduttori. Il primo alludendo, con la dizione originale di The Catcher in the Rye, alle figure del baseball e alle coltivazioni del mais; il secondo chiamando in causa, sotto la formula di A Confederacy of Duncies, la realtà di un Sud "confederato" nella guerra civile e l’indimenticato poema di Alexander Pope, The Dunciad (1728), un capolavoro satirico inglese del primo Settecento che nessuno oggi legge come nessuno oggi legge il Parini e, probabilmente, per le stesse ragioni. Come se non bastasse, ai due romanzi è toccata di fatto la medesima sorte in Italia. The Catcher in the Rye di Salinger, uscito nel 1952 nel nostro Paese con il titolo Vita da uomo (Casini editore, traduzione di Jacopo Darca), divenne un bestseller grazie alla nuova edizione di Einaudi del 1961 (trad. di A. Motti). A Confederacy of Duncies passò inosservato dal pubblico una quindicina d’anni fa, sebbene Luciana Bianciardi vincesse, per la sua traduzione oggi ripubblicata in altra cornice, il Premio Monselice 1983. È ispirato a
Ignatius J. Reilly of New Orleans, --selfish, domineering, deluded, tragic and larger than life-- is a noble crusader against a world of dunces. He is a modern-day Quixote beset by giants of the modern age. In magnificent revolt against the twentieth century, Ignatius propels his monstrous bulk among the flesh posts of the fallen city, documenting life on his Big Chief tablets as he goes, until his maroon-haired mother decrees that Ignatius must work. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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