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La malattia malvagia (1838)

di I. Gontsjarov

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Nome dell'autoreRuoloTipo di autoreOpera?Stato
Gontsjarov, I.autore primariotutte le edizioniconfermato
Langeveld, ArthurTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Langeveld, ArthurPostfazioneautore secondarioalcune edizioniconfermato

Appartiene alle Collane Editoriali

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Titolo canonico
Titolo originale
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Data della prima edizione
Personaggi
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Eventi significativi
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Epigrafe
Nel dicembre 1830, quando il colera giro-
vagava ancora per Mosca, benché fosse gia
notevolmente diminuita la sua espansione, su
duecentocinquanta galline cinquanta persero
la vita in un brevissimo periodo di tempo.

Opuscolo scientifico sugli effetti del
colera a Mosca
, del dottor Kristian
Loder, Mosca, pagina 81
Dedica
Incipit
Avrete letto, egregi signori, o forse almeno sentito, di una strana malattia da cui erano una volta affetti i bambini in Germania e in Francia e di cui non esiste altro esempio negli annali della medicina.
Citazioni
Arrivò aprile. Il sole con raggio fiammeggiante salutò l'ultimo giorno d'inverno che andandosene fece una smorfia così deplorevole che la Neva si spaccò dal riso e uscì fuori dalle sponde, e la terra indurita sorrise di tra la neve. La spensierata rondinella chiacchierina e l'allodola portarono la notizia dell'arrivo della primavera. Quelli che morivano o dormivano risuscitarono e si svegliarono. Tutto si affaccendò, si mise a cantare, a zampettare, brontolare, gracidare. - Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama -. E ad un tratto anche gli abitanti di Pietroburgo si accorsero della primavera.
[Nikon Ustinovič Tjaželenko] era famoso fin dagli anni giovanili per la metodica pigrizia senza precedenti e l'eroica indifferenza alla vanità del mondo. Passava la maggior parte della vita sdraiato a letto. Se gli capitava talvolta di sedersi, questo avveniva all'ora di pranzo. Per la colazione e per la cena, secondo lui, non valeva assolutamente la pena di farlo [...] molto raramente usciva di casa e, a causa di un avita condotta sempre da sdraiato, aveva acquistato tutti gli attributi di uno scansafatiche. Gli fioriva e s'innalzava dalla pancia un monte eccessivamente grande. tutto il resto del corpo gli scendeva come le pieghe di un rinoceronte, formando un specie di vestito naturale.
[...] gli Zurov sono malati.
- Ma che dici? Malati di cosa? - gridai io con terrore.
- Di una malattia strana, caro mio, molto strana. E contagiosa! [...]
- Dimmi almeno il nome e i sintomi di questa malattia, - dissi.
- Il nome non c'è perché, come mi risulta, è il primo caso. E per ciò che riguarda i sintomi, adesso te li spiego. Beh, non so proprio da dove iniziare... vedi... Eh, sì, diventa una cosa molto ingarbugliata quando non ne sai il nome... Ecco, chiamiamola, almeno per ora, «malattia malvagia». E poi, quando i medici ne sapranno qualcosa, la battezzeranno a modo loro. Fatto sta che gli Zurov d'estate non possono restare a casa. Ecco dov'è questa terribile, questa micidiale malattia. -
- Persino io , anni fa... ti rivordi i begli anni di una volta quando ero così stupido da passare la maggior parte del giorno, e anche della notte, in piedi? eh, giovinezza, giovinezza! Dio, come mi piaceva andare nel bosco con una piccola provvista, per esempio... eh... un tacchino arrosto sotto l'ascella e una bottiglia di malaga in tasca. Mi accomodavo sotto un albero, mi sdraiavo sull'erba, mangiavo un boccone e mi godevo una giornata calda. Beh, e poi... a casa! Ma quella gente lì si ammazza con le gite in campagna! Figurati a che punto sono arrivati! Se un giorno d'estate rimangono a casa, allora (di nascosto, l'ho sentito confessare a loro stessi durante uno degli attacchi) si sentono oppressi, angosciati, non trovano pace. Una forza irresistibile li trascina fuori città, uno spirito maligno s'impadronisce di loro. Ed eccoli... - qui Tjaželenko cominciò a parlare con fervore. - Eccoli corrono in barca, in carrozza, a piedi. Arrivati là, camminano fino alla morte, finché non cadono per terra. Ora salgono sulle cime, ora scendono nei burroni. - Ognuno di questi concetti egli accompagnava con un gesto pittoresco. - Si mettono ad attraversare i ruscelli a guado, affondano nelle paludi, si fanno strada in mezzo a cespugli spinosi, si arrampicano su alberi altissimi. Dio, quante volte annegavano, si precipitavano negli abissi, affondavano nel limo, si intirizzivano di gelo e persino - che terrore! - pativano la fame e la sete!
Ma come sono questi sintomi?
- Eh, quei continui sbadigli, la malinconia, l'angoscia, la mancanza del sonno e dell'appetito, il pallore e allo stesso tempo certe macchie misteriose in tutta la faccia e qualcosa di strano, di selvaggio negli occhi...! [...]
appena loro si ricordano dei boschi, dei prati, delle paludi, dei posticini solitari, tutti i sintomi si manifestano e li prende l'angoscia ed il tremito finché non soddisfano lo sciagurato desiderio. Allora tutti insieme corrono via di casa senza fiato, prendendo appena il necessario, come se fossero spinti, istigati da tutti i demoni dell'inferno.
- Ma dove vanno allora?
- Dappertutto. Per trenta verste intorno a Pietroburgo non c'è un cespuglio che loro non abbiano frugato. Non parlo dei luoghi conosciuti, come Peterhoff e Pargolovo, che tutti visitano. Loro cercano gli angoli sperduti, poco frequentati, solo per, guarda un po'!, conversare con la natura, respirare l'aria fresca, sfuggire la polvere e... chi sa cosa ancora. Prova ad interrogare Marja Aleksandrovna. Lei te ne racconterà delle belle: «Qui, sa, solo per la puzza dei ristoranti e dei mercati si può soffocare!». Guarda che ingiustizia!, che nera ingratitudine! Mercati e ristoranti! Questi ricettacoli di salute e di pacifica felicità! Sfuggire i luoghi dove isi concentrano i frutti di due ricchissimi regni della natura: animale e vegetale! Soffocare dell'aria di quei posti dove al dolcissimo nostro fabbisogno, il mangiare, erigono palazzi, costruiscono altari! Dimmi un po', quale piazza è più maestosa di quella Sennaja, e in che cosa cede il primato la mostra delle opere naturali che si fa in essa, a quella delle opere d'arte? Insomma, sfuggire il piacere che è l'unico che non ci tradisce e, sempre giovane, sempre fresco, ogni giorno ci copre di nuovi imperituri fiori! Tutto il resto è spettro e fumo, tutto è precario e instabile. Tutte le altre gioie ci sfuggono nel momento in cui le raggiungiamo. Mentre qui, anche se qualcosa provasse a sfuggirci, la pallottola precisa vola avanti, chiamata dalla voce del desiderio bizzarro, e s'impadronisce dell'essere intrepido. A che servono questi innumerevoli mezzi e comodità se non per goderseli con gratitudine e...
Ultime parole
(Click per vedere. Attenzione: può contenere anticipazioni.)
Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
DDC/MDS Canonico
LCC canonico

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