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I vicerè (1894)

di Federico De Roberto

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Serie: Uzeda (2)

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4171259,729 (3.8)9
I Vicer©♭ si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Vicer©♭ ©· una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa societ© , e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettivit© insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Vicer©♭ ©· dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso pi©£ profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il pi©£ autentico filo conduttore ©· quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa societ© di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore ©· atavicamente legato e alla cui sorte si immola. (dalla prefazione di Luigi Lunari)… (altro)
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Il romanzo I Vicerè è spesso paragonato a Il Gattopardo romanzo di Tomasi di Lampedusa. Le lunghe descrizioni dei caratteri, dei comportamenti, degli scopi che si prefiggono i protagonisti de I Vicerè, ripetute nel susseguirsi del racconto fino a renderlo pesante quasi per paura che il lettore possa dimenticarsene procedendo nella lettura, presentano i personaggi lasciando poco spazio all’immaginazione. Non mi vengono in mente altri racconti contenenti un’altra accozzaglia di personaggi tutti tanto negativi. Sull’interpretazione del carattere del principe di Salina come su quello di Tancredi o di Angelica, invece, sono stai versati fiumi di inchiostro a dimostrazione che L’A. lascia al lettore che ne abbia il desiderio la libertà di valutarne i pensieri e di giudicarne le azioni così come i fini. Gli Uzeda ci sono presentati come De Roberto se li immagina e che peggio non si potrebbe ed i loro comportamenti e scopi sono sempre riprovevoli. Nei Corbera, con i loro comportamenti non sempre condivisibili, i caratteri sembrano più verosimili, meno netti, più sfumati. Inoltre mi sembra che Lampedusa descriva gli ambienti in cui si svolge la narrazione con la competenza di chi li conosce bene per averli frequentati mentre si sente che le descrizioni d’ambiente di De Roberto sono di seconda mano. Un’ultima considerazione: il principe di Lampedusa è diventato famosissimo per una frase spesso a lui attribuita ma che non a mai pronunciato, come sa chi ha letto Il Gattopardo, perché a pronunciarla fu Tancredi, “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Don Fabrizio non l’ha mai pronunciata, quindi e forse mai condivisa anche se evitò di esprimere giudizi in proposito. Il concetto contenuto in questa breve frase è stato però ampiamente condiviso da don Consalvo che lo rese l’argomento dominane del lungo pistolotto finale diretto alla zia zitella. ( )
  fortunae | May 15, 2020 |
La saga della famiglia Uzeda – principi di Francalanza in Catania ed eredi della nobiltà spagnola – negli anni che segnano la fine di un mondo e la nascita di uno nuovo (non così diverso) riempie di sé questo grande romanzo italiano purtroppo un po’ dimenticato. Trattando del periodo dal 1855 al 1882 è inevitabile l’accostamento a ‘Il gattopardo’, ma in queste seicento e rotte pagine l’argomento è trattato con alluvionale abbondanza ottocentesca che si articola nelle vicende di una miriade di personaggi accuratamente delineati.
Uno dei pregi subito evidenti del libro è la capacità dell’autore di far scivolare la narrazione di figura in figura con una sorta di piano-sequenza che abbandona l’uno per seguire l’altro, una tecnica che si esplicita già in avvio quando c’è da portare in scena gli svariati componenti della famiglia. Questi hanno tutti una loro personalità definita, ma, al netto delle differenze che caratterizzano in special modo i meno fortunati come Ferdinando o Eugenio, sono segnati da tratti comuni che vanno dalla debolezza fisico-psichica (troppi matrimoni tra consanguinei nel passato, ma pure nel presente) all’esagerata autostima inculcata sin dalla più tenera età per culminare in una sete di potere e di ‘roba’ che conduce a infinite guerre interne.
La numerosità porta a lasciarne qualcuno per strada senza preavviso – don Lodovico (il racconto della cui infanzia arriva dritto dalla Gertrude manzoniana) e soprattutto Raimondo, a lungo al centro dell’intreccio prima di sparire di colpo - ma lo sguardo di De Roberto si mantiene feroce e il ritmo procede compassato ma implacabile avvolgendo il lettore: solo nei momenti più (banalmente) strappalacrime, come all’apice dei tormenti delle tristemente maritate Margherita e Matilde, la tensione cala minata da una certa maniera.
La lingua richiede un po’ d’impegno – non tanto per gli arcaismi, quanto per la netta prevalenza del discorso indiretto magari immerso in uno dei vastissimi paragrafi – ma ricompensa chi abbia voglia di abbandonarvisi e nella terza parte costringe a sobbalzare.
L’avventura politica di Consalvo, già prefigurata da quella dello zio Gaspare in pratica eletto per censo, è modernissima per spregiudicatezza e capacità di manipolazione culminando nel ‘doppio discorso’ agli elettori della sinistra parlamentare per cui si presenta e alla borbonicissima zia Ferdinanda: a entrambi proclama ciò che vogliono sentirsi dire, ma non ci sono dubbi in quale dei due sia più sincero (o meno bugiardo). ( )
  catcarlo | Jan 28, 2020 |
“I Viceré si iscrivono a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunto come monade del mondo che le circonda. […] I Viceré sono una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. […] I Viceré sono dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l’attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l’autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola.” (dalla Prefazione di Luigi Lunari).
  Cerberoz | Mar 13, 2012 |
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Nome dell'autoreRuoloTipo di autoreOpera?Stato
Federico De Robertoautore primariotutte le edizionicalcolato
Baldacci, LuigiCollaboratoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Lavagetto , MarioIntroduzioneautore secondarioalcune edizioniconfermato
Sabbatucci, GiovanniPrefazioneautore secondarioalcune edizioniconfermato
Scholtz, A.M.L.Traduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Sciascia, LeonardoCollaboratoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
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Titolo canonico
Titolo originale
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Data della prima edizione
Personaggi
Luoghi significativi
Eventi significativi
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Epigrafe
Dedica
Incipit
Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsi, un legnetto sul quale pareva fosse nevicato, dalla tanta polvere, e il cui cavallo era tutto spumante di sudore, entrò nella corte con assordante fracasso. Dall’arco del secondo cortile affacciaronsi servi e famigli: Baldassarre, il maestro di casa, schiuse la vetrata della loggia del secondo piano, intanto che Salvatore Cerra precipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.
Citazioni
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Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
DDC/MDS Canonico
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I Vicer©♭ si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Vicer©♭ ©· una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa societ© , e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettivit© insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Vicer©♭ ©· dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso pi©£ profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il pi©£ autentico filo conduttore ©· quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa societ© di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore ©· atavicamente legato e alla cui sorte si immola. (dalla prefazione di Luigi Lunari)

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