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Sto caricando le informazioni... La profezia di Celestino: romanzo (1993)di James Redfield
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Iscriviti per consentire a LibraryThing di scoprire se ti piacerà questo libro. Attualmente non vi sono conversazioni su questo libro. Appartiene alle SerieCelestine (1) Ha l'adattamentoMenzioni
Nella foresta pluviale del Perù viene alla luce un antico manoscritto del VI secolo a.C.: profetizza grandiose trasformazioni per l'umanità e eventi che si verificheranno negli ultimi anni del XX secolo. Sulle tracce dell'antica pergamena, oltre al protagonista, sono anche la Chiesa e il Governo peruviani, allarmati dall'impatto che certe rivelazioni potrebbero avere sulla popolazione, e quindi determinati a far sparire il manoscritto. Esso contiene nove punti base per raggiungere la Conoscenza in una prossima era di consapevolezza spirituale. Capitolo per capitolo, il protagonista svela una alla volta le chiavi che conducono a scoprire il fine ultimo dell'esistenza, ma per portare in salvo il manoscritto il protagonista dovrà affrontare mille pericoli. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813.54Literature English (North America) American fiction 20th Century 1945-1999Classificazione LCVotoMedia:
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Il problema, con questo e altri simili testi oracolari della new age, sta nel fatto che i loro autori, nel loro slancio missionario di propagare una “nuova” spiritualità, dimostrano per intanto di non possedere neppure la piú pallida idea di ciò che fosse la spiritualità vecchia…
Questa deficienza, questa colpevole trascuratezza, è metodologicamente esiziale. Ciò che diceva nel XII secolo Bernardo di Chartres a proposito del rapporto dei suoi contemporanei con gli antichi — cioè che erano come “nani seduti sulle spalle dei giganti («quasi nanos gigantum umeris insidentes»), in grado di vedere piú lontano non per l’acume della propria vista, ma grazie al sostegno della statura di quelli” — vale per tutti i tempi e per tutti i domini, incluso quello della scienza non meno che della spiritualità: il progresso in qualsiasi campo è l’esito di uno sforzo comune, che trae giovamento dalle conquiste collettive del passato per avanzare a piccoli passi grazie ai contributi individuali verso il futuro.
Naturalmente, questo è anche quel che vorrebbe inculcarci il nostro Autore con il suo gran parlare dell’evoluzione spirituale dell’umanità verso superiori “livelli vibratori” di energia: ma sono parole al vento, visto che dal canto suo dimostra, nei confronti dello stupendo patrimonio delle religioni tradizionali che egli presumerebbe di portare a compimento, una comprensione di una pochezza imbarazzante. Gli adepti (e gli studiosi) delle religioni autentiche rimangono dolorosamente sconcertati, per esempio, al vedere la profondità metafisica ed etica del concetto della carità cristiana — o della compassione buddhista — banalizzata a strategia edonistica di alimentazione energetica. Come un violinista stonato, Redfield, semplicemente, non ha orecchio per lo spirito, che la sua mentalità grossolana, pasciuta a materialismo scientista deforma in una specie di materia piú sottile (l’ineffabile “energia” di cui parla a ogni piè sospinto, appunto).
Non è il caso di fare esempi al di là di qualche annotazione che la dice lunga sulla competenza di Redfield circa le antiche culture di cui sfrutta sfrontatamente il prestigio adibendole a contenitori della sua propaganda. Il Manoscritto, redatto in aramaico (!) sarebbe stato rinvenuto in nell’antico sito Maya (!) di Celestino, vicino a Iquitos nel Perú settentrionale. I Maya sarebbero successivamente scomparsi (in realtà, passati a un livello vibratorio superiore, e perciò divenuti invisibili grazie alle illuminazioni!) intorno al 600 a. C. Ora, la finzione letteraria — specialmente se, come in questo caso, pretende una certa plausibilità — non può infischiarsi bellamente della realtà storica assodata: i Maya rimasero confinati allo Yucatan e non giunsero mai in Perú; e non “scomparvero” nel 600 a.C. bensí la loro civiltà ebbe termine (se ci limitiamo al periodo classico) nel 900 d. C. Ma l’invenzione piú grottesca è la lingua del Manoscritto: l’aramaico, pensa un po’! Dev’essergli parsa una figata pazzesca ficcarci dentro una lingua antica dal nome altisonante, che tuttavia c’entra come i cavoli a merenda, visto che è una lingua biblica di ceppo semitico, che nella sua lunga storia ebbe diffusione esclusivamente in oriente. Perché mai poi i Maya, che ― unici tra i precolombiani — possedevano una loro scrittura, avrebbero dovuto adottare per la redazione del Manoscritto una scrittura totalmente aliena, e per giunta compromessa con una tradizione religiosa altrettanto aliena sia alla loro religione tradizionale sia al presunto messaggio religioso della profezia di Celestino?
Misteri della psiche di questi sedicenti profeti, che si trastullano con cose che ignorano e con la credulità di un pubblico altrettanto ignorante. ( )