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Il concetto dell'angoscia: semplice riflessione per una dimostrazione psicologica orientata in direzione del problema dogmatico del peccato originale di Vigilius Haufniensis (1844)

di Søren Kierkegaard

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This edition replaces the earlier translation by Walter Lowrie that appeared under the title The Concept of Dread. Along with The Sickness unto Death, the work reflects from a psychological point of view Søren Kierkegaard's longstanding concern with the Socratic maxim, "Know yourself." His ontological view of the self as a synthesis of body, soul, and spirit has influenced philosophers such as Heidegger and Sartre, theologians such as Jaspers and Tillich, and psychologists such as Rollo May. In The Concept of Anxiety, Kierkegaard describes the nature and forms of anxiety, placing the domain of anxiety within the mental-emotional states of human existence that precede the qualitative leap of faith to the spiritual state of Christianity. It is through anxiety that the self becomes aware of its dialectical relation between the finite and the infinite, the temporal and the eternal.… (altro)
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E difficile qualificare con esattezza il metodo seguito da Kierkegaard: la sua dichiarazione di voler fare unicamente un'indagine psicologica" sulla natura del peccato originale va presa con cautela. La trattazione tocca di volta in volta i vari campi interessati al problema: la teologia dogmatica, la metafisica, la fenomenologia o psicologia in senso proprio. Ma se si deve dichiarare una dominanza, essa va attribuita alla metafisica tenendo presente all'inizio l'origine teologica del problema (il dogma del peccato originale) e gli spunti biblici della sua potente analisi fenomenologica (la tentazione, il demoniaco...) che operano continuamente in ogni punto del trattato. L'angoscia è il presupposto del peccato originale rispetto alla caduta di Adamo ed Eva, come lo è per la caduta nel peccato di ogni loro discendente. Il suo oggetto è il nulla ed è l'avvertenza di questo nulla che rivela all'uomo di essere una sintesi di anima e corpo nello spirito. Se l'angoscia può essere occasione di caduta e di perdizione, può anche e deve essere, con la sua scoperta degli orrori del peccato, una tappa per incamminarsi verso il bene e la salvezza: il più spaventoso e pericoloso di questi orrori è la tentazione del suicidio, ma l'uomo ha in sua mano un punto solido a cui ancorarsi, ed è precisamente la "fede" che mette in fuga ogni angoscia e rende possibile il dispiegamento positivo delle energie dello spirito per accostarsi a Dio". (Dallo scritto di Cornelio Fabro)

Kierkegaard pubblica sotto lo pseudonimo di Vigilius Haufniensis, Il concetto dell’angoscia (Begrebet Angest), nel 1844 riprendendo un tema già presente in Timore e tremore, quello della nozione di possibilità.
Ogni singolo in ogni stadio dell'esistenza è sottoposto a questa categoria, ma siccome ogni possibile soluzione è fenditura verso l'ignoto, ogni scelta crea angoscia. Ogni scelta, infatti, si apre davanti al baratro delle possibilità dove tutto è possibile e una volta compiuta la scelta non c’è possibilità di ritorno nella condizione di innocenza originaria. Questo stato non è di quiete, ma di tensione, di lotta interiore, quella lotta che Kierkegaard aveva vissuto combattendo con se stesso nel momento in cui doveva decidere se sposare o no Regina Olsen.
Nell’analizzare la situazione del singolo nei confronti della scelta, Kierkegaard pone il problema all’origine dei tempi, quando l’uomo viveva nell’ignoranza; in quel tempo sembrava esserci pace e quiete in quanto in questo stato l’uomo era determinato psichicamente solo dalla sua natura. Ma siccome in questo stato non c’è niente con cui confrontarci, anche questo stato genera angoscia perché invita lo spirito a sognare, a fantasticare proiettando in avanti il singolo e generando nel suo spirito sognatore l’angoscia. Fortunato l’animale che non essendo determinato come spirito non può essere sottoposto all’angoscia! Nell’uomo, invece, questo stato è perenne; lo si trova già nei bambini mentre li vediamo ricercare l’avventuroso e il misterioso. Una riflessione, dunque è d’obbligo, che quanto meno spirito c’è, tanto meno angoscia esiste. E questo non vale solo per l’uomo, ma anche per le sue creazioni come ad esempio per le nazioni; tanto più sono evolute tanto maggiore è l’angoscia per il loro futuro.
L’uomo è anima e corpo, ma la sintesi dei due non è pensabile se non si uniscono in un terzo, questo è lo spirito.
L’emblema dell’angoscia è Adamo. Dio gli dice di non mangiar il frutto della conoscenza del bene e del male; ma come poteva Adamo, dice Kierkegaard, comprendere la differenza tra bene e male della sua azione se tale conoscenza gli sarebbe venuta come conseguenza della soddisfazione del frutto? Il divieto non lo pone all’interno della razionalità tra bene e male, ma gli fa apparire chiara, invece, la possibilità nascente dalla sua libertà. Questa è “la possibilità angosciante di potere” perché, pur non sapendo Adamo che cosa sia ciò che egli può e quindi essendo nell’ignoranza, pur tuttavia sente in sé l’angoscia del possibile futuro. E questa ignoranza perdura anche quando gli vien detto da Dio che dovrà morire visto che ha commesso il peccato; ancora una volta non sa che cosa voglia dire morire, mentre invece sente dentro di sé che quella condanna contiene l’idea del terribile. Ed ancora una volta l’angoscia lo turba ed è angoscia che si svolge nell’ignoranza di ciò che ancora non conosce. L’angoscia viene ad essere per lui motivo dominante sia nei confronti del divieto (per qualcosa di cui non conosce i confini), sia nei confronti della pena (che giungerà una volta operata la scelta di quel qualche cosa di cui non conosce i confini). Se Adamo avesse avuto la nozione di ciò che era bene e ciò che era male la sua scelta sarebbe stata cosciente, ma non conoscendo i limiti fra bene e male vive in uno stato d’ignoranza che crea angoscia nei confronti del divieto. Ma essa produce angoscia anche nei confronti della pena, infatti, dopo la condanna, Adamo avrà anche l’angoscia della morte, pena inflittagli di cui però non ha ancora l’esperienza; egli non vive il timore della morte futura, quanto l’angoscia nel presente. Così emerge la risposta alla domanda su che cosa sia il possibile. Esso corrisponde al futuro che non è ancora ma che può essere ed io mi angoscio dice Kierkegaard perché “sono immerso in una visione illusoria di un nulla infinitamente privo di contenuto”. L’angoscia è dunque la situazione psicologica che precede la scelta, che accompagna la scelta, che non dà pace.
Che cosa succede ai successori di Adamo? Con loro l’angoscia diventa riflessa in quanto partecipano alla storia della specie e se con Adamo il peccato venne nel mondo con l’angoscia, il peccato, a sua volta, portò con sé l’angoscia che si manifesta nella tensione tra peccato e redenzione. La redenzione è una possibilità, ma come tale non è ancora, e il singolo potrà dire di aver superato l’angoscia solo quando questa redenzione sarà colta. Ma quando ciò potrà avvenire? Solo con un salto qualitativo, cioè quel salto che si compie al di là dello stadio estetico, al di là dello stadi etico, nello stadio religioso.
E questo è un salto, non un passaggio. Lasciamo a Hegel, dice Kierkegaard, dar spiegazione di questa categoria come delle altre due, quella di mediazione e di negazione, “agenti mascherati che danno origine a tutti i movimenti”; il movimento verso il nuovo viene invece col salto e non con un passaggio; non è un problema di quantità ma di qualità e si cambia con un salto mentre col passare da una quantità ad un’altra si ammonticchia. Nella vita spirituale non si può parlare di accumulazione, ma di qualità e non ci sono rimedi di nessun tipo; non valgono né l'accortezza, né la prudenza, né la previdenza; occorre invece vivere l’angoscia fino in fondo, accettarla trasformandola in elemento di formazione e di crescita completa. E come si potrà fare ciò? Attraverso lo svestimento della illusorietà dei vari possibili, attraverso la coscienza della minaccia che porta con sé ogni possibile; questo ci permetterà di compiere quel salto che solo la fede, trasportandoci da una condizione finita, nella quale siamo legati a causa dei sensi, delle norme, della quotidianità, alla condizione infinita, dove c’è solo Dio che ci parla e ci ordina (si ricordi la figura di Abramo ben delineata in Timore e tremore).
Armando Girotti
  Cerberoz | Apr 21, 2012 |
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Anderson, Albert B.Traduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Eichler, UtaPostfazioneautore secondarioalcune edizioniconfermato
Lowrie, WalterTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Perlet, GiselaTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Praag, S. vanTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Rebhuhn, WernerProgetto della copertinaautore secondarioalcune edizioniconfermato
Richter, LiselotteTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
Thomte, ReidarTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
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