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Sto caricando le informazioni... I quaranta giorni del Mussa Dagh: romanzo (1933)di Franz Werfel
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Appartiene alle Collane EditorialiÈ contenuto inContieneHa l'adattamentoHa uno studioPremi e riconoscimentiMenzioniElenchi di rilievo
The internationally acclaimed novel based on the heroic resistance during the Armenian genocide of 1915. This is the story of how the people of several Armenian villages in the mountains along the coast of present-day Turkey and Syria chose not to obey the Turkish government's deportation order. Instead, they fortified a plateau on the slopes of Musa Dagh--Mount Moses--and repelled Turkish soldiers and military police during the summer of 1915 while hoping for the Allies to save them . . . Translator James Reidel and scholar Violet Lutz have revised and expanded the original English translation by Geoffrey Dunlop. The Dunlop translation, had excised approximately 25% of the original text to accommodate the Book-of-the-Month club and to streamline the novel for film adaptation. The restoration of these passages and their new translation provide a fuller picture of the characters' lives, especially the hero Gabriel Bagradian, his wife Juliette, their son Stephan, and Iskuhi Tomasian. What is more apparent now is the personal story that Werfel tells, informed by events and people in his own life, in which the author, his wife Alma, his stepdaughter Manon Gropius, and others in his circle are reinvented. Reidel has also revised the existing translation to free Werfel's stronger usages from Dunlop's softening of meaning, his effective censoring of the novel in order to fit the mores and commercial contingencies of the mid-1930s. "In every sense a true and thrilling novel . . . It tells a story which it is almost one's duty as an intelligent human being to read. And one's duty here becomes one's pleasure also." --New York Times Book Review Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)843.914Literature French French fiction Modern Period 20th Century 1945-1999Classificazione LCVotoMedia:
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Franz Werfel ha scritto un romanzo poderoso su una vicenda particolare del genocidio degli armeni, cioè la storia della popolazione di sette paesi (circa cinquemila persone) che si rifugiò sul Mussa Dagh e si oppose alla deportazione, resistendo appunto quaranta giorni all’offensiva dell’Impero Ottomano e finendo per essere in gran parte salvata da una nave francese.
Non vi so dire quanto I Quaranta Giorni del Mussa Dagh rispetti gli eventi storici: sicuramente, ci sono ampie parti molto romanzate ed è un’opera di largo respiro che credo, nella mente di Werfel, volesse ridare dignità umana a un popolo sul quale si era infierito in maniera così crudele e disumana. In questo senso, la storicità passa in secondo piano rispetto all’epicità, all’idea che un gruppo di umani oppressi, se lo desidera davvero, può unirsi e resistere contro un oppressore tanto più potente e ben equipaggiato.
Questa epicità la fa da padrona anche nella caratterizzazione dei personaggi, che più che concentrarsi nelle sfaccettature del singolo cerca di dipingere la varietà umana riscontrabile in ogni gruppo, facendo sì che ogni personaggio, anche quelli meno gradevoli, un po’ ci assomigli. In questo modo si segue con trepidazione le storie particolari di tuttə, le quali formano il puzzle della complessità umana.
L’ho trovato un gran romanzo, uno di quelli che, nonostante la mole, leggi con disinvoltura, macinando pagine su pagine senza neanche rendertene conto.
«Riflettiamo! In quest'ora milioni di uomini in tutto il mondo stanno nelle trincee come noi. Aspettano la battaglia o combattono, sono feriti, muoiono, come noi. Questo è l'unico pensiero che mi calma e mi conforta. Quando penso a questo, non sono peggiore, non sono più vile di uno di quei milioni. E così come me, tutti noi! Se combattiamo, non siamo più fango che imputridisce in qualche campo lungo l'Eufrate. Se combattiamo, abbiamo onore e dignità. Perciò non possiamo vedere null'altro davanti a noi né volere null'altro che la battaglia». ( )