Centoventotto diversi modi di salutare, di alzare la mano, di andarsene, accomiatarsi, rendere la pariglia, dire ciao. Centoventotto brevissimi racconti, poche parole, ma ben messe in fila, il cemento degli scrittori, di un libretto a mio avviso ottimo e da custodire nel cassetto. Arminio diventa irriverente, dissacratorio, nell’inviare queste cartoline dall’aldilà all’aldiquà. Una su tutte, a pagina 71, “nella bara mi hanno messo tante bambole. E pure la lapide è piena di giocattoli. Mia madre a ogni compleanno mi compra una cosa nuova e me la porta”. Perché la vita è l’unico contraltare della morte. E perché raccontare la propria morte è un lusso che nessuno si può permettere. A meno che non si abbia la fortuna di trovare dall’altra parte una casella della posta funzionante che faccia il vecchio mestiere di recapitare la corrispondenza e non la banca, con un bel francobollo da leccare per poi incollare per inviare la missiva. Sperando che dall’altra parte ci sia ancora qualcuno che eviti di utilizzare la terribile frase “destinatario sconosciuto”. ( )