Il teatro non è mai stato una delle mie letture preferite. Un testo scritto esplicitamente per la recitazione risulta a volte poco coinvolgente quando viene letto, dato che l’azione e la riflessione vengono sempre ‘coperte’ dal dialogo. Inoltre, le rappresentazioni già viste delle stesse opere finiscono per incidere sull’immaginario del lettore ben più di quanto faccia un film tratto da un romanzo. Però, a furia di rimandare,, al Bardo non si poteva più dire di no e, neanche a dirlo, ne valeva ampiamente la pena. Il volume – un Meridiano comprato in offerta in edicola a 2,90 – contiene quattro tragedie: “Romeo e Giulietta”, “Otello”, “Re Lear” e “Macbeth”: oltre mille pagine, con testo a fronte, di passione e di morte che avvincono dalla prima all’ultima riga. Non scopro certo io la grande capacità dell’autore di scandagliare l’animo umano e di costruire storie profondamente rivelatrici pur rispettando l’esigenza di tener desto l’interesse dello spettatore, impresa che ai suoi tempi era anche più difficile di ora. Delle quattro, “Re Lear” pare essere quella che più patisce la pagina scritta – forse per i numerosi personaggi, forse per la varietà della ambientazioni – mentre la mia preferenza va ad “Otello”: innanzitutto per la figura di Iago e poi per l’incredibile potenza dell’ultimo atto. Come avrebbe detto un altro poeta non da poco: se non piangi, di che pianger suoli? ( )