Charlotte Bronte è un'autrice che amo, Jane Eyre fa parte del mio background culturale e non si contano le volte in cui l'ho letto. Con queste premesse è facile intuire che le mie aspettative su questo libro fossero piuttosto alte, ma non sono state deluse: certo non ha il pathos di Jane Eyre, ma è un'opera di spessore.
E' un romanzo corale, non c'è un vero e proprio protagonista (basti pensare che la Shirley che da il titolo al volume appare dopo più di un terzo del racconto) e l'attenzione dell'autrice è focalizzata sulla descrizione dell'ambiente e delle persone che lo popolano più che sulle vicende, infatti è un libro piuttosto statico e spoglio di avvenimenti cruciali. Questo fa sì che soprattutto all'inizio si avverta una certa lentezza nella narrazione, la cui qualità poi però va in crescendo, con un finale dolce ed appassionato al tempo stesso.
Vista la struttura più didascalica dell'opera rispetto a Jane Eyre, qui la Bronte ha potuto esprimere con maggiore chiarezza le sue idee, che sebbene a volte risultino pedanti e moraleggianti, sono comunque progressiste se pensiamo al periodo storico in cui si inseriscono; le sue eroine sono un modello di indipendenza di pensiero e di azioni, tra le prime a percepire loro stesse come qualcosa di più di una figlia, una sorella o una moglie.
Lo stile oscilla fra momenti di pacata sobrietà e momenti di puro lirismo, in particolare nelle descrizioni naturali o nei pensieri più riposti dei protagonisti.
Complessivamente è stata una lettura impegnativa ma stimolante, e nonostante il distacco tutto inglese che lo permea, il romanzo è riuscito anche ad emozionarmi in qualche passaggio. ( )