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London Fog: The Biography di Christine L.…
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London Fog: The Biography (originale 2015; edizione 2015)

di Christine L. Corton

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"In popular imagination, London is a city of fog. The classic London fogs, the thick yellow "pea-soupers," were born in the industrial age of the early nineteenth century. The first globally notorious instance of air pollution, they remained a constant feature of cold, windless winter days until clean air legislation in the 1960s brought about their demise. Christine L. Corton tells the story of these epic London fogs, their dangers and beauty, and their lasting effects on our culture and imagination. As the city grew, smoke from millions of domestic fires, combined with industrial emissions and naturally occurring mists, seeped into homes, shops, and public buildings in dark yellow clouds of water droplets, soot, and sulphur dioxide. The fogs were sometimes so thick that people could not see their own feet. By the time London's fogs lifted in the second half of the twentieth century, they had changed urban life. Fogs had created worlds of anonymity that shaped social relations, providing a cover for crime, and blurring moral and social boundaries. They had been a gift to writers, appearing famously in the works of Charles Dickens, Henry James, Oscar Wilde, Robert Louis Stevenson, Joseph Conrad, and T.S. Eliot. Whistler and Monet painted London fogs with a fascination other artists reserved for the clear light of the Mediterranean. Corton combines historical and literary sensitivity with an eye for visual drama -generously illustrated here- to reveal London fog as one of the great urban spectacles of the industrial age."--Publisher's website.… (altro)
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Way back in my childhood I remember my father, who is a Londoner, talking about the Smog's that they used to have. These 'pea soupers' basically rendered the capital incapacitated until they cleared. These were the result of the location of London combined with vast amounts of pollution from open fires and industry and not only did people struggle to move around in them, they were killers too. The fog held in suspension poisoned the population, provided cover for crime and other nefarious activities and caused all manner of accidents on the days that they existed. They were last seen in the 1960's after the government of the day finally passed and enforced the Clean Air Act.

London became known as the City of Fog and this seeped into the art and literature. This book just on this weather phenomena, Corton peers through the gloom to bring us the stories from history, excerpts from writers such as T. S. Eliot, Robert Louis Stevenson and of course Charles Dickens. There are a large number of artworks, cartoon and photographs included in the book adding to the atmosphere. The photos are particularly poignant as they really show just how bad it was to live through. The research that has gone into this is extensive, as the 60 odd pages of notes attest. Occasionally the prose could be a little dry and academical, but there was normally something interesting along out of the murk to pique your interest once again.
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  PDCRead | Apr 6, 2020 |
Osservate bene una delle numerose tele dipinte da Claude Monet, il pittore francese nella fase impressionista. Suo motivo centrale di studio in quel periodo era il tema della nebbia londinese. Questa creava degli strani effetti di luce a seconda della intensità, delle ore del giorno e dei luoghi dove essa calava.

Compito del pittore era dunque quello di catturare le impressioni sfuggenti e fuggitive in maniera tale da fissarle sulla tela per sempre. Monet fece una serie di visite a Londra tra il 1889 e il 1892 sempre in autunno. Potete qui vedere alcune immagini fotografiche dal vero della nebbia nell'arco di sessanta anni, prima del cambiamento ed eventualmente confrontarle con le tele al link che vi ho proposto innanzi.

Questo lungo preambolo mi serve per introdurre nel giusto contesto, chi ha la pazienza di leggermi, al tema per me importante del ricordo e della memoria personale che diventa anche sociale. L'occasione me la offre mio figlio che mi ha segnalato la recensione di un libro uscito in Inghilterra qualche settimana fa e recensito ottimamente sulla rivista letteraria inglese "London Review of Books". Un libro uscito sulla famosa nebbia di Londra con un titolo che è tutto un progetto.

L'autrice, da buona inglese, ha dato al volume questo titolo: "Nebbia di Londra: la biografia". A chi non conosce almeno un pò di storia sociale e letteraria delle Isole Britanniche, un libro sulla nebbia potrebbe sembrare strano, se non addirittura irrilevante. Non ci si può rendere conto di quanto sia stata importante, invece, la nebbia per la storia di questa città e il suo Paese. Per altri versi, in maniera differente e meramente atmosferici, ancora lo è. Ma il perchè di questa segnalazione ha anche un connotato più specifico, tanto da farne quasi un caso personale per questo blogger. Nella presentazione del suo articolo, la rivista dice che nell'anno 1962, quando tutto accadde, Neal Ascherson era un giornalista del giornale "Observer". In questa veste ebbe modo a Londra di occuparsi di quanto successe a causa della nebbia. In quell'anno, guarda caso, anche io mi trovavo in Inghilterra. Scopro così essere in buona e autorevole compagnia per testimoniare quell'evento.

Avevo poco più di venti anni ed ero andato da quelle parti per studiare la lingua. Lavoravo in un ospedale psichiatrico e ci rimasi per quasi tre anni. Il cronista ha qualche anno in più di me. Lui, oggi, recensisce il libro di Christine Corton partendo proprio da una esperienza diretta a Londra di quella che venne chiamata "the Great Fog" nel dicembre del 1962. Una "grande nebbia" che fece innumerevoli vittime e creò una serie infinita di problemi che perduravano, però, da sempre. In effetti dall'inizio della Rivoluzione Industriale.

I ricordi che ne ebbi io, invece, iniziano su quella specie di grande campus ospedaliero che era "Harperbury Hospital", poco a nord di Londra. Due inverni indimenticabili quelli del 1962 e l'anno successivo 1963. Restano prova del fatto le lettere che scrivevo a mia madre (allora, a quei tempi, nel "profondo sud" da cui provenivo, erano ancora pochi quelli che si potevano permettere il telefono!) Ne ho riletto una a proposito della furiosa e storica nevicata del 1963 nella quale scrivevo testualmente "Cara Mamma, credo che se le cose continuano così, tra nebbia e neve, non vedremo mai più il sole in questo Paese".

Mi accorgo di avere detto molto poco del libro di Christine Corton, un libro che ha tanto entusiasmato il giornalista, scrittore e saggista scozzese nella sua lunga recensione. Allora, come ho detto, era un cronista dell' "Observer" mentre io lavoravo in quell'ospedale mentale. Chi vuole saperne di più su questo posto, ormai uno dei tanti "derelict places" - "luoghi scomparsi", può andare al link.

A me interessa qui riandare con il pensiero a quei giorni. Posso capire, così oggi l'artista Monet cosa intese fare dipingendo tutte quelle tele in maniera quasi ossessiva, sempre sullo stesso tema: "la nebbia". Solo cercando di "leggere" e magari squarciare quel denso, magico, misterioso e tragico velo, si può comprendere la sua presenza nella storia di questa città e non solo di essa. Forse di tutti gli uomini, la "nebbia" che offusca la memoria e ne condiziona anche fatalmente i destini.

Il libro della scrittrice inglese non l'ho ancora letto, è in arrivo via Amazon. Ma posso dire che da quanto si dice nella lunga recensione, la "Great Fog" è stata da sempre presente nella mente sociale e culturale di questo Paese. Ricordo una famosa frase-aforisma, sempre usata quando si vuole mettere in evidenza la forte tendenza all'isolazionismo inglese: "Fog on the Channel, the Continent cut off" - "Nebbia sulla Manica. Il continente isolato".

Ora che la nuova legislazione è riuscita ad avere la meglio sui cattivi comportamenti e sulle speculazioni degli uomini, in termini di inquinamento, e sono riusciti ad eliminare l'uso di carbon fossile artificiale, il classico "coke", per il riscaldamento della metropoli nei milioni e milioni di camini e fornaci, Londra ha cambiato faccia. Non è più quella di una volta. La città non soffre più dei tanti mali di cui ebbero a soffrire tante generazioni per secoli. Non a caso nel libro la scrittrice parla di come quella grigia e fumosa città che era Londra abbia ispirato tanti artisti e scrittori rimasti famosi nella storia della cultura inglese.

Si possono ancora vedere sui tetti delle case di Londra milioni e milioni di camini di case e fabbriche, per fortuna oggi spenti. L'orizzonte urbano contemporaneo risulta radicalmente mutato, come cambiate sono le relazioni sociali e i relativi comportamenti umani. Chi non conosce le descrizioni nelle storie inventate di scrittori come Charles Dickens, Henry James, Oscar Wilde, Robert Louis Stevenson, Joseph Conrad, T S Eliot? L'autrice del libro è riuscita, secondo il recensore, a far convergere la sua sensibilità storica e letteraria, su di un'opera, il suo libro, che vive la narrazione con l'occhio di un dramma visivo, quasi una tragedia che riesce ad animare la città nella sua grande forza di trasformazione e cambiamento.

Un ricordo legato al carbone e alla nebbia insieme ce l'ho anche io. Intendo ricordarlo a me stesso a distanza di tanti anni, prima che vada definitivamente a scomparire nelle pieghe della nebbiosa memoria. Proprio in uno di quelle notti del mese di dicembre del 1962 da cui Neal Ascherson si muove all'inizio della recensione del libro della Corton, io ero di servizio in un reparto dell'ospedale. Questo luogo era come un grande campus sul quale erano disseminati tanti reparti, chiamati "villa" oppure "ward", decine e decine di "cottages" che ospitavano i pazienti.

Una rete stradale interna li collegava. Da una parte il settore femminile, dall'altra quello maschile, al centro i grossi edifici amministrativi e quelli riservati al personale nel quale risiedevo. Sul bordo esterno la "farm", la "dispensary", la cucina centrale, all'ingresso la biblioteca, la scuola di nursing, il laboratorio di analisi, i campi da gioco, tennis, bowling, golf. Una realtà umana e sociale del tutto autosufficiente vissuta da circa duemila persone. Prati ed isole floreali facevano da sfondo a questo paesaggio tipicamente inglese, lievemente lievemente ondulato pieno di campi verdi seminati a grano d'estate, ricoperti di neve e di nebbia d'inverno.

Quella notte di dicembre del 1962 ero di servizio notturno in un reparto tranquillo dove ero stato assegnato. I turni erano organizzati in maniera ciclica. Avevo frequentato il corso per il diploma e mi stavo preparando agli esami. Avevo chiesto di lavorare di notte per aver più tempo da dedicare allo studio. Si entrava in servizio alle venti e si smetteva alle sette del mattino. Il reparto era tranquillo, nessun caso o malato difficile, era una "villa" di "patient-workers", gente quasi normale in grado anche di svolgere lavori pesanti o leggeri, che lasciava il reparto durante la giornata e svolgevano le loro mansioni altrove. Venivano anche regolarmente retribuiti.

Faceva freddo, c'era una forte gelata, un pò di neve residua, molta umidità. Le luci si accendevano alle tre e mezzo del pomeriggio. Per arrivare al reparto dovevo fare un bel pò di cammino nel parco. Mancava qualche minuto alle otto, faticai non poco per trovare la giusta direzione nonostante la forte illuminazione a neon gialla. Mi aspettava una lunga notte che avevo però programmato di studio in vista della prova per gli esami del primo anno. (Lo superai poi, quell'esame, sia detto per inciso. Con la borsa di studio che il "Ministero della Salute" ci diede, mi pagai il mio primo volo Alitalia della mia vita: Gatwick-Naples via Firenze!)

Il fidato James, collaboratore-paziente, aveva acceso il grande camino che si trovava al centro della lunga camerata del dormitorio. Di fianco aveva collocato una abbondante riserva di "coke", una delle parole magiche che hanno concorso al dar vita allo "smog" - "smoke coke fog" fa nascere "smog". Mi preparavo a studiare, godendomi il tepore di quel classico camino vittoriano mentre i pazienti dormivano e tutti insieme formavano una delle più poderose orchestre del sonno che si potesse immaginare. Erano previste due visite di controllo da parte di ufficiali sanitari, una poco dopo l'entrata in servizio, l'altra verso l'alba, qualche ora prima della fine servizio.

Chi controllava dava uno sguardo ai registri, segnalava qualche emergenza, dava disposizioni impreviste. Alla prima visita, Mr Dawson mi trovò intento a guardare la TV, con alcuni pazienti. Disse che era molto difficile circolare senza perdersi. Una nebbia e un gelo che li potevi tagliare a fette. Allora c'erano tre canali nazionali che trasmettevano a colori, BBC1, BBC2, ITV. Le news, ricordo, che davano gravi disagi sia per il gelo che per la neve e la fitta nebbia che copriva ed avvolgeva, come in un sudario, gran parte della parte meridionale del Paese. Facemmo qualche veloce considerazione e poi svanì nel nulla. Mi preannunciò che sarebbe passato alla solita ora il "Night Chief Superintendent" mr Brickell, a noi tutti noto per la sua pignoleria, rigidità e professionalità. Una prospettiva da notte di incubo.

Quando spensi la TV e mandai a letto i pochi pazienti che facevano resistenza per andare a dormire, diedi uno sguardo attraverso la finestre al mondo esterno. Non vidi altro che un muro plumbeo che diventava sempre più spesso. Non tentai nemmeno di mettere il naso fuori per paura che quel fumo nero me lo potesse tagliare. Mi distesi sulla poltrona, rinforzai il grande camino con alcuni pezzi di quel nerissimo "coke" e cominciai a leggere quel libro sulla fisiologia del cervello che ho ancora da qualche parte tra i miei libri.

Erano da poco passate le ultime "newsreel" di mezzanotte e sembrava che dovesse accadere la fine del mondo. Una sorta di apocalisse con l'arrivo di un giustiziere. Mi sentivo comunque confortato dalla musica trasmessa senza interruzione da quella sessantina di esseri umani con un quoziente di intelligenza al di sotto della media. Nelle due camerate condividevano il loro spirito e il loro corpo con il dio del sonno nell'orchestra diretta dal maestro Morfeo.

A questo punto non so più come continuare, nel senso che di quelle quattro-cinque ore successive non ricordo assolutamente nulla. Il coke aveva fatto il suo lavoro. Il mio cervello era stato letteralmente paralizzato dalle esalazioni. Se non fosse stato per il telefono della saletta dell'ufficio che si mise a suonare senza interruzione, non dico mi avrebbero trovato stecchito insieme ai pazienti, cosa impossibile data l'ampiezza del dormitorio, ma di certo qualcosa di brutto sarebbe accaduto. Nessuna traccia di mr Brickell, il temuto controllore, mentre fuori il colore grigio di quel muro di nebbia della sera prima era diventato più nero del coke.

Vorrei saper descrivere la sensazione che si prova quando il cervello viene paralizzato da qualcosa che ne condiziona il funzionamento. Che so io, come quando si ha un incubo, si ha la febbre alta, si è in preda all'anestesia, ad una droga o all'alcol. Ci fu un momento in cui ebbi come la sensazione di una presenza, un qualcosa o un qualcuno che uscisse fuori di me, come una sorta di sdoppiamento, una divisione, un distacco dell'essere, una doppietà. Come quella di un sudario, la sensazione di una nebbia avvolgente che ti trascina altrove ...

Ecco, tutto questo mi ha fatto ricordare la recensione di questo libro. Mi è servita per non solo per fare un "amarcord" personale, ma anche per riflettere sulla "nebbia" nella quale sono avvolte le nostre esistenze e sulla impossibilità, diversamente dalla storia della nebbia di Londra, di poter cambiare le cose della nostra vita.

Dal mio blog, post pubblicato in data 24 ottobre 2015 https://goo.gl/CaJ1ds

P.S. Il libro poi è arrivato e ogni tanto lo rileggo e ricordo ...


( )
  AntonioGallo | Nov 2, 2017 |
Yes, weather can be interesting. Especially if you've been reading a lot of British novels
  revliz | Jan 7, 2017 |
An atmospheric dark book literally!
I received this digital copy from the publisher via Goodreads in return for an honest unbiased review ( )
  Welsh_eileen2 | Jan 23, 2016 |
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Titolo canonico
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To Richard, Matthew, Nicholas, and Tuppence
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Elogi
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Lingua originale
DDC/MDS Canonico
LCC canonico

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"In popular imagination, London is a city of fog. The classic London fogs, the thick yellow "pea-soupers," were born in the industrial age of the early nineteenth century. The first globally notorious instance of air pollution, they remained a constant feature of cold, windless winter days until clean air legislation in the 1960s brought about their demise. Christine L. Corton tells the story of these epic London fogs, their dangers and beauty, and their lasting effects on our culture and imagination. As the city grew, smoke from millions of domestic fires, combined with industrial emissions and naturally occurring mists, seeped into homes, shops, and public buildings in dark yellow clouds of water droplets, soot, and sulphur dioxide. The fogs were sometimes so thick that people could not see their own feet. By the time London's fogs lifted in the second half of the twentieth century, they had changed urban life. Fogs had created worlds of anonymity that shaped social relations, providing a cover for crime, and blurring moral and social boundaries. They had been a gift to writers, appearing famously in the works of Charles Dickens, Henry James, Oscar Wilde, Robert Louis Stevenson, Joseph Conrad, and T.S. Eliot. Whistler and Monet painted London fogs with a fascination other artists reserved for the clear light of the Mediterranean. Corton combines historical and literary sensitivity with an eye for visual drama -generously illustrated here- to reveal London fog as one of the great urban spectacles of the industrial age."--Publisher's website.

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