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Sto caricando le informazioni... A Grain of Wheat (1967)di Ngũgĩ wa Thiong'o
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Appartiene alle Collane EditorialiAfrican Writers (36)
A GRAIN OF WHEAT portrays several characters in a village whose intertwined lives are transformed by the 1952-1960 Emergency in Kenya. As the action follows the village's arrangements for Uhuru (independence) Day, this is a novel of stories within stories, a narrative interwoven with myth as well as allusions to real-life leaders of the nationalist struggle, including Jomo Kenyatta. At the centre of it all is the reticent Mugo, the village's chosen hero and a man haunted by a terrible secret. As events unfold, compromises are forced, friendships are betrayed and loves are tested. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813Literature English (North America) American fictionClassificazione LCVotoMedia:
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È netta la scelta di campo dell’autore per «il popolo nero», che è il suo, con la conseguente denuncia delle atrocità fisiche e psicologiche inflitte dal colono. Ma l’epica che ne scaturisce non è retorica. Siamo in un romanzo all’insegna della coralità – come subito avverte nella sua ampia Introduzione Marco Grampa, che è stato traduttore anche di Chinua Achebe, di Soyinka… – dove però il singolo ha la propria personalità, storia, virtù e debolezze. Un romanzo che a poco a poco assume anche il carattere di un giallo: chi avrà tradito Kihika? E proprio costui, l’autentico eroe di Thabai, prima di essere impiccato s’interrogava: «Ma che cos’è un giuramento? […] Ci sono quelli che non terranno mai un segreto se non per il vincolo di un giuramento. […] In ogni caso, quanti hanno giurato e ora leccano i piedi dell’uomo bianco? No, si giura per confermare una scelta già fatta. La decisione di offrire la tua vita per il popolo sta nel cuore. Il giuramento è l’acqua versata al battesimo sulla testa di un uomo».
Metafora cristiana presente qui e in molti passi del libro, il quale è scandito da citazioni bibliche in una sorta di teologia della liberazione ante litteram, e a partire dal titolo stesso dell’opera (Giovanni 12,24-25). Questo, malgrado l’accusa frontale portata al colonialismo missionario – è proprio in questo libro che troviamo la celebre frase ripresa da tanti, Desmond Tutu compreso (che però la discute): «Disse: inginocchiamoci e preghiamo. Ci inginocchiammo. Mubia disse: Chiudiamo gli occhi. Lo facemmo. […] Quando riaprimmo gli occhi la nostra terra se n’era andata […] Quanto a Mubia, continuò a leggere la parola, implorandoci di mettere i nostri tesori nel cielo dove la tignola non li avrebbe attaccati. Ma lui poneva i suoi nella terra, la nostra terra».
E c’è dell’altro, molto altro, in questo romanzo fondatore. Scritto tre-quattro anni dopo l’Uhuru, Ngũgĩ già vi anticipa le delusioni che cominceranno a manifestarsi poco dopo "I soli delle Indipendenze" (e infatti il romanzo di Ahmadou Kourouma è praticamente simultaneo a "Un chicco di grano"). «E so che anche adesso questa guerra non è finita – proclama il “generale R.” nell’orazione semi-improvvisata davanti alla folla, nel pomeriggio dell’Uhuru –. Domani chiederemo: dov’è la terra? Dov’è il cibo? Dove sono le scuole? Perciò che si facciano ora queste cose, perché non vogliamo un’altra guerra… niente più sangue sulle mie… su queste nostre mani…».
Uno di quei libri che, quando hai finito di leggerlo, hai voglia di riaprirlo e di ricominciarlo, perché ti rendi conto di quanti fili ci sono da riprendere e da seguire, cui a una prima lettura non avevi prestato sufficiente attenzione.