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Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson
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Io non mi chiamo Miriam (originale 2014; edizione 2016)

di Majgull Axelsson (Autore), Laura Cangemi (Traduttore)

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På sin 85-års fødselsdag bestemmer Miriam sig for at fortælle sandheden om sin sande identitet til sit barnebarn. Hun lever en tryg tilværelse som husmor i den lille svenske by Nässjö, men fortiden gemmer på en grum historie om dengang hun var romapigen Malika, der blev sendt til koncentrationslejren Ravensbrück.… (altro)
Utente:Kieln
Titolo:Io non mi chiamo Miriam
Autori:Majgull Axelsson (Autore)
Altri autori:Laura Cangemi (Traduttore)
Info:Iperborea (2016), 562 pages
Collezioni:La tua biblioteca
Voto:
Etichette:Letteratura svedese contemporanea, Lettera

Informazioni sull'opera

Jag heter inte Miriam di Majgull Axelsson (2014)

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Se non per qualche mia difficoltà iniziale ad entrare in empatia con la storia e la scrittura, il libro si è rivelato molto toccante, duro a tratti, come credo purtroppo ci si debba aspettare da un libro che parla di deportazioni e campi di concentramento. Durante la festa del suo 85esimo compleanno Miriam non riesce più a nascondere il suo passato. Passato fatto di un’infanzia mancata, di una improvvisa enorme responsabilità, si ritroverà a fare non sola da sorella ma anche da madre a Didi. Poi arriveranno le umiliazioni, gli stenti, la fame e il freddo ma anche la grande solidarietà tra le altre prigioniere.
Miriam, deciderà di cambiare identità, ma non sarà una scelta consapevole ma dovuta alla situazione, nella speranza di poter passare, magari, inosservata e cosi sfuggire al massacro.
“..i nazisti odiano gli ebrei più di quanto odiassero gli zingari. E però gli altri prigionieri disprezzavano gli zingari più degli ebrei. Il fatto era che nessuno, a parte le puttane e i ladri, sembrava disprezzare gli ebrei, mentre tutti si permettevano di disprezzare gli zingari”
Conoscerà Else, a cui si legherà molto, a cui Miriam fino alla fine non svelerà il fatto di essere una rom e non un’ebrea. Segreto che non riuscirà a raccontare nemmeno a suo marito Olof e alla sua amata cognata Hanna.
Libro che mi resterà per sempre impresso per avermi fatto conoscere il dottor Josef Mengele, il quale viene menzionato nel libro per le atrocità, gli esperimenti che perpetrava soprattutto sui bambini. Era il medico delle caramelle rosse, con le quali catturava e conquistava i bambini per farne poi le sue cavie. Non riesco a raccontarvi cosa fece a Didi, perdonatemi. ( )
  Sally68 | Jun 11, 2018 |
Il coraggio di una scrittrice che ha scelto di affrontare congiuntamente in un’opera di fiction due temi, ciascuno di per sé, assai delicati, shoah e contestuale sterminio dei Rom, è certamente ammirevole. Ma l’esito è complessivamente deludente. Se, da un lato, non mancano sensibilità e delicatezza dall’altro abbondano anche le inverosimiglianze. L’autrice si è certamente documentata sulla vita nei lager con uno scrupolo che sconfina nella minuzia, ma alcune delle cose che ha poi inventato per costruire il suo racconto mi hanno lasciata interdetta. Esempio: il numero marchiato sul braccio della giovane rom Malika che viene da lei parzialmente e velocemente ‘grattato via’, per farlo coincidere con quello della deceduta Miriam con cui Malika intende sostituirsi, nella convinzione di un possibile migliore destino. Passi questo (anche se non ho mai sentito di un deportato che sia riuscito a cancellarsi il numero, o parte di esso, dal braccio), ma l’identità ebraica, che è notoriamente difficilissima da definire, è anche molto difficile da fingere. Il segno giallo sottratto alla vera Miriam non fa di Malika un’ebrea e infatti Malika non lo è mai né potrebbe esserlo. L’autore della post fazione al libro ha notato questa inverosimiglianza osservando che è strano che nel prosieguo della sua vita in Svezia, dove Malika continua a farsi passare per Miriam, nessuno si sia accorto, pur in una piccola città senza ebrei, che di ebraico la sedicente Miriam non aveva nulla se non il nome. A me pare assai più strano che nessuno se ne sia accorto ben prima, nel lager, in un ambiente in cui gli ebrei erano la stragrande maggioranza. Insomma c’è stata una certa faciloneria da parte dell’autrice, come se l’identità di ciascuno fosse un abito che si dismette e si indossa con disinvoltura, mentre, a mio avviso, ciascuno non può che essere quello che è, con la sua storia, la sua cultura e, ovviamente, la sua dignità. Si aggiunga a questo che la descrizione dell’orrore mi è parsa un po’ scolastica e comunque non è stata in grado di smuovere in me le corde più profonde. In definitiva, un racconto molto (e non impeccabilmente) costruito, ma quanto sentito? Sono arrivata alla fine con fatica e un certo fastidio. ( )
  Marghe48 | Aug 30, 2017 |
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Titolo canonico
Titolo originale
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Epigrafe
Dedica
Incipit
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Citazioni
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Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
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