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Sto caricando le informazioni... Casa di foglie (2000)di Mark Z. Danielewski
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Questa è la recensione di Daniele Abbiati apparsa su Il Giornale in data 7 novembre 2019. La lettura è un mostro e abita nella "Casa di foglie" Mark Z. Danielewski utilizza una trama orrorifica a più voci per spiegare la magia della letteratura. Occorre partire dalla fine, cioè dalla chiave di lettura con cui, senza accorgercene, abbiamo «aperto» la Casa di foglie e vi siamo entrati. La chiave di lettura è: Casa di foglie è un romanzo della lettura. Non un romanzo sulla lettura, come a ben vedere sono quasi tutti i romanzi, in cui il protagonista principale è il lettore che li legge. Tuttavia Casa di foglie è un romanzo della lettura con tratti somatici e caratteriali assai differenti da quelli di un suo antico e glorioso progenitore, il Don Chisciotte. Nell'opera di Cervantes la lettura compulsiva dei romanzi cavallereschi provoca nel «cavaliere dalla trista figura» una specie di sindrome: per lui tutto è riconducibile a quel mondo lì, a quell'area semantica lì, e a null'altro. Nel Don Chisciotte la patologica passione dell'eroe per la lettura è direttamente, linearmente, meccanicamente la causa degli effetti letterari che produce, e che l'arte di Cervantes raccoglie e cataloga. Invece in Casa di foglie la lettura colonizza la scrittura bulimicamente, con modalità rizomatiche, se ne appropria, la fagocita, la ingoia, la digerisce e la espelle sotto nuova forma. In altri termini, trasforma la lettura in scrittura. Detto della fine, ora occorre partire dall'inizio, anzi dall'antefatto. Casa di foglie del 53enne newyorkese Mark Z. Danielewski torna oggi nelle librerie italiane in una nuova e arricchita edizione dopo quella Mondadori del 2005 (66th and 2nd, pagg. 760, euro 29, traduzione di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti). Nel 2000 il romanzo aveva dato il benvenuto al Terzo Millennio delle lettere americane con un botto clamoroso, diventando laggiù in men che non si dica un libro di culto. Ma questo poco importa: i culti si sprecano, nella vigente orgia di pagano sincretismo editoriale. Importa di più, invece, la forma sotto cui Casa di foglie si presentava e ora si ripresenta: un rutilante esempio di letteratura ergodica. Il parolone, coniato nel 1997 dallo studioso di videogiochi e letteratura elettronica Espen J. Aarseth, indica i testi scritti che richiedono al lettore «sforzi non superficiali» (cioè non tradizionali e basici come leggere le righe nell'ordine voluto dall'autore) per «attraversarli». Insomma, materiale tipo I Ching, il libro dei mutamenti cinese, i calligrammi di Apollinaire che diventano figure, i Cent mille milliards de poèmes di Queneau. Per dirla con Foucault, tante parole, sì, ma anche tante cose. Ebbene, calandoci, con angosciosa prudenza da speleologi, nella cavità di Casa di foglie, avvertiamo fin dal primo passo l'inquietante presenza della Lettura al nostro fianco. Accade infatti che Johnny Truant, il nostro piccolo Dante del quale seguiamo il lungo viaggio in questa drammatica commedia, essendo in cerca di un nuovo appartamento accoglie la segnalazione dell'amico di bisbocce alcoliche e psicotrope Lude. Un vicino di Lude, un vecchio cieco e strambo incantatore di gatti randagi, è morto, quindi... Quindi Johnny, come noi, fa anch'egli il primo passo in giù, verso il sotto, verso gli inferi. Perché in casa del vecchio cieco (e diciamo subito che nell'apparato iconografico di Casa di foglie a un certo punto compare, confusa fra decine di ritagli, di oggetti, di bacheche pro-memorialistiche molto narrative, molto testuali - come quelle che dettano al Roger «Verbal» Kint de I soliti sospetti la storia per lui salvifica, liberatoria - una foto di Jorge Luis Borges, il più celebre narratore cieco della storia dopo Omero) Johnny trova un infinito testo diffuso, rizomatico, appunto, di migliaia e migliaia di parole scritte ovunque (persino sul retro dei francobolli) da leggere, e soprattutto da decifrare. Fin qui, tutto sommato, nulla di davvero eclatante: quante volte ci siamo imbattuti in un libro nel libro? Ma a questo punto Danielewski, figlio del regista cinematografico di origini polacche Tad Danielewski, imbocca la strada, anzi la claustrofobica fessura giusta. Il lettore Johnny legge, insieme al lettore, una sorta di frammentario saggio su un fantomatico documento filmato. Dunque abbiamo un cieco che scrive, dettando (lo apprenderemo presto) ad alcune belle ragazze (le sue Moire?) che a loro volta gli leggono libri sul film, un libro sul film che non ha potuto vedere (o forse è diventato cieco dopo averlo visto? Questo interrogativo, il più gotico di tutti, non avrà mai risposta). Non c'è male. Ma, del resto, ogni lettore è a sua volta cieco nei confronti delle immagini che ogni libro gli propone, e si limita a... immaginarle. Di che cosa si tratta? Della pellicola «La versione di Navidson», girata da Will Navidson, fotoreporter di grido onusto di gloria con tanto di un premio Pulitzer in salotto. L'orrore è qui, in quest'altra casa, dopo quella del vecchio. Una casa che si rivela, per Will, sua moglie Karen, i loro bimbi Chad e Daisy, il gatto Mallory e la cagnetta Hillary, infestata non da banali spettri, ma da un mostro. Meglio, il mostro è la casa stessa, che cresce su se stessa, dentro se stessa, senza che, fuori, il mondo se ne accorga. La casa diventa cioè un labirinto in cui Navidson, il fratello fumato Tom, l'amico ingegnere in sedia a rotelle Billy, l'esploratore in stile marine Holloway e due suoi collaboratori, s'infilano con il piglio di irrazionali prede di un nuovo Minotauro. Il rimpallo fra il testo del vecchio e le fluviali note che Johnny gli pone in calce e che a loro volta, in un crescendo ossessivo e ossessionato, colonizzano e prevaricano, crea una doppia lettura. Come il vecchio che legge con gli occhi delle sue belle interpreti (e se fossero delle ghostwriter?) e poi scrive parlando, anche Johnny scrive leggendo, alla maniera del medium il quale certifica, con il testo-documento inconsapevole della sua scrittura automatica, un messaggio inviatogli dall'Aldilà. Così la trama propriamente romanzesca, che potrebbe essere il plot di un B movie, proprio come la casa dei Navidson monta a dismisura in un'affabulazione di testimonianze, deposizioni, studi, trasmissioni televisive, epistolari (struggente quello della madre pazza di Johnny, una Penelope senza più Ulisse che ingarbuglia i fili della sua tela) dalle forme grafiche e geometriche, loro sì, ergodiche. Casa di foglie, in ultima analisi, è anche più di un romanzo della lettura. È un albero della vita che si ricongiunge a quello della conoscenza del bene e del male. Del resto entrambe, sia la vita, sia la differenza fra il bene e il male, sono testi sacri da leggere con estrema attenzione. La recensione che segue non l'ho scritta io, la riporto da Amazon ed è firmata "William". Posseggo questo libro da diversi anni ma non avevo avuto il tempo di leggerlo. Più di settecento pagine, edizione in inglese, un libro che per me rimane un "puzzle". Bisogna averlo tra le mani, sfogliarlo, vedere queste pagine stampate in maniera imprevedibile, sottosopra, alla rovescia, trasversale, insomma secondo lo stile della "letteratura ergodica", (non sapete cosa è?, e allora informatevi prima). "William" ha letto il libro in italiano, ha avuto il compito facilitato. Io ho la versione in inglese che è diventata un libro cult. Non è un caso che la vende a 399 euro. Ho tentato di leggerlo, ma poi ho mollato. Ho promesso a me stesso che prima o poi decido di riprovare. Nel frattempo leggete quello che ha scritto "mr. William". "Finire un libro come Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski mette una sensazione indefinibile di malinconia, almeno fino a quando non se ne inizia un altro. David Foster Wallace ha detto: “I romanzi sono come i matrimoni. E’ così triste finirli.” E immagino quanto dev’essere stato triste e devastante e vuoto per Danielewski finire di vivere con Casa di Foglie dopo ben dieci anni di totale simbiosi. Non credo che dopo aver letto Casa di Foglie si possa ancora parlare del vuoto stilistico della post-modernità ammesso che si sappia di cosa si parli quando si parla di post-modernità o di vuoto stilistico e visto che per alcuni parlare di postmodernismo è come parlare di niente, di un “vuoto inganno” non-sense, risponderò subito alla superficiale domanda “ma in casa di foglie c’è una storia?” Eccome, e non solo una, e come in tutte le storie, ci sono storie che si perdono lungo rampe di scale in salita, lungo scale a spirale che mutano continuamente il loro diametro ruggendo nel buio, dietro gli armadi, fra gli spazi incomprensibilmente in movimento, in fondo a ogni infinito corridoio e dietro ogni infinito scherzo, ci sono storie messe lì per raccontare altre storie o semplicemente altro, come la vita, storie che sono tutta la Storia, storie, e case, e foglie, sparpagliate tutto attorno. Le frasi non seguono una sequenza logica ma un’apparente fluidificante crociata digitale, appaiono e scompaiono come cateteri cubitali in uno schermo luccicante, poi si sdoppiano, poi ricompaiono veloci in flash e rettangoli ricomposti e ben definiti come torrioni analogici impenetrabili. Una telecamera osserva i corpi dislocarsi secondo la noia e il disprezzo e l’ansimare della vita dentro la morte apparente, la telecamera continua a registrare gli sguardi storditi, le sedie capovolgersi, le fauci tramare, le vite scemare. Scansiona il tremore, cataloga occhi fuori sincrono scrutare. Le porte si aprono, poi lentamente si chiudono. C’è Danielewski che narra di Johnny Truant che narra di Zampanò che narra di Will Navidson e Karen Green [omonima della moglie di Wallace] che rievocano l’esperienza dell’opera cinematografica avanguardista e sperimentale tratta dalle esplorazioni numerate della loro Casa-Incubo, “The Navidson Record”. Casa di foglie, I like it, un delirio grafico e narrativo di ottocentoerotte pagine che graffia, che fa precipitare il lettore in un buio metanarrativo multinarrativo e sovranarrativo e psiconarrativo [horror-narrativa-cinema-fotografia] per poi riacchiapparlo per capitoli e capitoli di lirismo lucido ed acuto tale da far schiantare gli occhi e da far scavalcare e scollinare le pagine laggiù oltre il vuoto insinuante che attanaglia lo stomaco. E che dire delle note? Vero e proprio romanzo nel romanzo nel romanzo, infinito scherzo in cui si affacciano poesie collage lettere immagini scomposizioni grafiche dannazioni redenzioni urli nel silenzio candele che rischiarano un buio totale disorientante. Casa di Foglie è un horror partorito dalla realtà e dalla penna tremolante e fulminante di Danielewski che fa ridere, che fa piangere, che non lascia scampo."
House of leaves by Mark Z. Danielewski runs to 710 pages: 13 pages of introduction, 535 of text, followed by three appendices and a 42-page, triple-column index. ... let me say right off that his book is funny, moving, sexy, beautifully told, an elaborate engagement with the shape and meaning of narrative. For all its modernist maneuvers, postmodernist airs and post-postmodernist critical parodies, ''House of Leaves'' is, when you get down to it, an adventure story: a man starts traveling inside a house that keeps getting larger from within, even as its outside dimensions remain the same. He is entering deep space through the closet door. Premi e riconoscimentiDistinctionsNotable Lists
Years ago, when House of Leaves was first being passed around, it was nothing more than a badly bundled heap of paper, parts of which would occasionally surface on the Internet. No one could have anticipated the small but devoted following this terrifying story would soon command. Starting with an odd assortment of marginalized youth -- musicians, tattoo artists, programmers, strippers, environmentalists, and adrenaline junkies -- the book eventually made its way into the hands of older generations, who not only found themselves in those strangely arranged pages but also discovered a way back into the lives of their estranged children. Now, for the first time, this astonishing novel is made available in book form, complete with the original colored words, vertical footnotes, and newly added second and third appendices. The story remains unchanged, focusing on a young family that moves into a small home on Ash Tree Lane where they discover something is terribly wrong: their house is bigger on the inside than it is on the outside. Of course, neither Pulitzer Prize-winning photojournalist Will Navidson nor his companion Karen Green was prepared to face the consequences of that impossibility, until the day their two little children wandered off and their voices eerily began to return another story -- of creature darkness, of an ever-growing abyss behind a closet door, and of that unholy growl which soon enough would tear through their walls and consume all their dreams. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
Copertine popolari
![]() GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813.54Literature English (North America) American fiction 20th Century 1945-1999Classificazione LCVotoMedia:![]()
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One of the most interesting things about House of Leaves is the way it plays with the idea of space. The house in the book is a labyrinthine structure that seems to defy the laws of physics. As the characters explore the house, they find themselves getting lost in its twisting corridors and strange rooms. The book also includes a number of academic essays and footnotes that explore the history and meaning of the house.
House of Leaves is a challenging and rewarding book that rewards careful reading and attention to detail. It is a book that defies easy explanation, but it is also a book that is sure to stay with you long after you have finished reading it. If you are looking for a book that will challenge your assumptions about what a novel can be, then House of Leaves is definitely worth checking out. (