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Il male oscuro (1964)

di Giuseppe Berto

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Il 27 DICEMBRE 1914 nasce Giuseppe Berto Scrittore, drammaturgo e sceneggiatore (1914 - 1978) uno psicoscrittore. «Il male oscuro è la descrizione di una nevrosi d’angoscia e della cura per guarirla e dell’esplorazione nell’inconscio, per mezzo dei sogni e delle associazioni»: così spiega Giuseppe Berto nell’appendice al suo capolavoro. In questo non-romanzo che è al tempo stesso confessione, ricerca, racconto di un’esperienza personale, si trovano tutti gli elementi di una lunga e complessa malattia in cui emergono i fantasmi del passato, il rapporto con il padre, malanni immaginari che paralizzano il corpo, un senso di colpa incessante e il costante pensiero della morte.

Giuseppe Berto scrive il suo capolavoro in due mesi, dopo essersi rifugiato a Ricadi, a Capo Vaticano, il solo luogo in cui trova conforto e riparo. Nasce da un flusso continuo di pensieri, che si susseguono senza pause, senza punti per pagine e pagine ed è come entrare a diretto contatto con la nevrosi: un caso letterario unico, nonostante i precedenti illustri, Gadda e Svevo. Bepi, come veniva chiamato dagli amici, nasce a Mogliano Veneto nel 1914. La sua giovinezza, complice anche la difficile condizione economica della famiglia, la trascorre nell’esercito: parte per la Sicilia e poi volontario per l’Africa, fino al 1943, anno in cui viene fatto prigioniero dagli alleati e condotto in Texas in un campo di concentramento. Nel ’46 rientra in Italia e scrive il suo primo romanzo, Il cielo è rosso, che è un successo internazionale. Ma successivamente, la morte del padre e l’ostilità della critica, che lo stronca e lo snobba, lo portano sull’orlo della sua nevrosi.

Berto passa da una cura all’altra e presta la sua penna al cinema per sbarcare il lunario, finché approda nello studio dello psicanalista Nicola Perrotti, che gli suggerisce di abbandonare ogni cosa e di dedicarsi a una nuova opera letteraria: Il male oscuro sarà figlio di questa analisi. Tra le altre opere, quella più ambiziosa è La gloria, ultimo romanzo di Berto: Giuda Iscariota racconta la storia di Cristo dal suo punto di vista, quello del traditore. Ma è un tradimento d’amore, necessario alla gloria di Dio: accettazione del male, che sembra trovare un senso. Dice Giuda: «Siccome gli uomini sembra non possano fare a meno di crudeltà e ingiustizie, io continuo ad essere la tenebra: colui che tradì, che lo consegnò ai suoi nemici, intorno al quale non si sprecano molte parole». Berto morirà di lì a poco, nel 1978, di cancro, come suo padre. Si consiglia come manuale di formazione agli aspiranti psicoterapeuti.(Almamatto) ( )
  AntonioGallo | Dec 26, 2023 |
“Nunc dimittis servum tuum domine”

Come da citazione finale del libro, riportata nel titolo, il lungo viaggio di Giuseppe Berto tra le mille e una disperazione arriva alla fine con una rimessa senza condizioni, guarito ormai dal male che lo ha afflitto e lungamente accompagnato.
La soluzione dei suoi problemi, era, come logico che fosse, nel suo cervello, serviva solo trovare la persona giusta che lo costringesse a fare i conti con un passato scomodo da ricordare, che a dirla così, poteva anche sembrare una cosa facile…
E invece facile non lo è stata manco per niente, è stata invece una lettura veramente difficoltosa a causa in primis dello stile di scrittura adottato dall’autore, con scarsa punteggiatura e tirate periodiche da lasciare senza fiato, e poi per la costruzione particolareggiata della sua tragedia personale che, va chiarito subito, è di grande interesse e non scende mai nella pedanteria né fa lo sbaglio di estremizzare il tutto sulla sua persona, ma che comunque rimane dichiaratamente complessa.
Il racconto prende il via da quello che è in realtà la causa di tutto, con la prima parte del libro dedicata, in maniera capillare, all’incredibile odissea nevrotica che accompagna Berto, avvolgendolo con una spirale, lenta ma costante, che tocca il culmine con le sconvolgenti pagine dove ormai sembra che il suo destino di pazzia debba compiersi in maniera inesorabile, e sono queste pagine che lasciano un segno veramente doloroso su tutta la storia. Dall’apoteosi del dolore si passa, nella seconda parte del libro, al ritorno alla vita, con la paziente ricostruzione di un passato che nasconde in se il germe della nevrosi e delle sue fobie.
Lettura faticosa, ma comunque avvincente e finanche, pur nella sua tragicità, con qualche spunto comico. L’interminabile lunghezza dei periodi sembra voluta da Berto per coinvolgere il lettore nel suo dramma, trasportandolo nello stesso vortice che sta ingoiando lui senza dar modo che se ne renda conto; ma è la disperazione che tiene banco in maniera più che efficace nel suo lungo racconto, una disperazione che spesso assume i toni cupi della tragedia davanti a quello che tutti abbiamo paura di affrontare: i piccoli e grandi mostri annidati nella nostra mente, mostri che, Giuseppe Berto, in questo caso, è riuscito a concretizzare e a liberarsene, pur senza parlare di lieto fine visti gli anni sacrificati a questi idoli, oscuri come l’ambiguo male che rappresentano… ( )
  barocco | May 29, 2017 |
Uno dei libri più belli che abbia mai letto. Scritto tutto d'un fiato, paralizza nella lettura e vorresti non finisse mai. Unico difetto: va vietato ai minori di quarant'anni.
  francescocaligiuri | Sep 12, 2016 |
Angosciante. ( )
  Ginny_1807 | Aug 23, 2013 |
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Nome dell'autoreRuoloTipo di autoreOpera?Stato
Berto, GiuseppeAutoreautore primariotutte le edizioniconfermato
Gadda, Carlo EmilioPrefazioneautore secondarioalcune edizioniconfermato
Weaver, WilliamTraduttoreautore secondarioalcune edizioniconfermato
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Titolo canonico
Titolo originale
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Data della prima edizione
Personaggi
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Epigrafe
Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare le cause, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgorato scoscendere d'una vita, più greve ogni giorno, immedicato.

C. E. GADDA, La cognizione del dolore
Ciò che m'opprime non si può curare: è la mia croce e devo portarla, ma sa Dio quanto s'è incurvata la mia schiena per lo sforzo.

S. FREUD, da una lettera del 1900
Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore.

ESCHILO, Prometeo
Dedica
Incipit
Penso che questa storia della mia lunga lotta col padre, che un tempo ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tanto straordinaria se come sembra può venire comodamente sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esistenti, anzi in un certo senso potrebbe perfino costituire una appropriata dimostrazione della validità perlomeno razionale di tali schemi e teorie...
Citazioni
Ultime parole
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Nota di disambiguazione
Redattore editoriale
Elogi
Lingua originale
DDC/MDS Canonico
LCC canonico

Risorse esterne che parlano di questo libro

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Descrizione del libro
Apparso per la prima volta nel 1964, “Il male oscuro” ottenne subito un grande successo, vincendo nello stesso anno il Premio Viareggio e il Premio Campiello. L'apprezzamento critico che ne segui, tuttavia, non colse forse pienamente la grandezza di quest'opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della letteratura italiana del secondo Novecento. Come sovente accade, questo romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin definiva «l'ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell'epoca caratterizzata da una società in piena espansione, “Il male oscuro”, come nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un'epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un'autorevolezza paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d'animo». Come i grandi libri, il romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con “La coscienza di Zeno” di Svevo e “La cognizione del dolore” di Gadda, dalla quale ricavò il titolo stesso del suo libro. “Il male oscuro”, tuttavia, segna una svolta fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione stessa del male, «l'epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi). Un'assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare «stile psicoanalitico». Una prosa modernissima che, narrando di un male assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi, l'industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna»... la malattia di un'epoca apparentemente felice.
Riassunto haiku

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