Kundera mette in scena una commedia degli equivoci in chiave psicologica: idea interessante sulla carta, che però non mi ha convinto fino in fondo.
Non ho ben capito dove volesse andare a parare questo libro: ci sono tanti spunti di riflessione interessanti, ma si perdono in un mare di chiacchiere fini a se stesse. Gli stessi protagonisti parlano e parlano, tra loro ma soprattutto con se stessi, con monologhi interiori in cui sembrano girare a vuoto. Il finale poi peggiora le cose. [SPOILER]La vicenda diventa sempre più onirica e surreale, fino alla rivelazione che si è trattato di un sogno: anche in questo caso ottimo espediente narrativo in teoria, ma nei fatti si perde il senso di tutto quello che si è letto fino a quel momento.[FINE SPOILER]
Naturalmente Kundera è un grande scrittore, quindi la sua prosa è impeccabile (anche se più semplice e meno potente di quella de "L'insostenibile leggerezza dell'essere"), ma quest'opera mi è sembrata uno sfoggio di abilità, più che un romanzo vero e proprio. ( )

riflessione sull'identità e sull'incapacità di vedere la verità degli altri