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Sto caricando le informazioni... Om natten i Chile (2000)di Roberto Bolaǫ
Informazioni sull'operaNotturno cileno di Roberto Bolaño (2000)
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Det finns mycket mer att säga om Roberto Bolaño. [...] Att läsa honom är som att sömnlös i natten vrida på radions AM-band och höra röster, städer, kontinenter lysa upp i mörkret och åter försvinna. Det finns överhuvudtaget mycket symbolik och allegori i denna korta roman. Men bilderna är så verkningsfulla och melankoliskt sköna att de inte alls tynger prosan så som symboler ofta brukar göra. Appartiene alle Collane EditorialiHarvill (292) Narrativas hispánicas (293) New Directions Paperbook (975)
As through a crack in the wall,By Night in Chile's single night-long rant provides a terrifying, clandestine view of the strange bedfellows of Church and State in Chile. This wild, eerily compact novel--Roberto Bolano's first work available in English--recounts the tale of a poor boy who wanted to be a poet, but ends up a half-hearted Jesuit priest and a conservative literary critic, a sort of lap dog to the rich and powerful cultural elite, in whose villas he encounters Pablo Neruda and Ernst Junger. Father Urrutia is offered a tour of Europe by agents of Opus Dei (to study "the disintegration of the churches," a journey into realms of the surreal); and ensnared by this plum, he is next assigned--after the destruction of Allende--the secret, never-to-be-disclosed job of teaching Pinochet, at night, all about Marxism, so the junta generals can know their enemy. Soon, searingly, his memories go from bad to worse. Heart-stopping and hypnotic,By Night in Chile marks the American debut of an astonishing writer. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813Literature English (North America) American fictionClassificazione LCVotoMedia:
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Quale migliore occasione per me di interagire con questo straordinario scrittore, che credeva nel potere creativo della poesia, nella capacità surrealista della poesia di realizzare una realtà superiore, una surrealtà. Ispirandomi a Breton, decido di “infrangere la razionalità, di contestare la legge morale vigente e di liberarmi facendo appello alla poesia, al sogno, al meraviglioso” e di rispondere a Bolaño.
Il mio delirio letterario è influenzato e incoraggiato anche da un'altra storia “paranormale”, di cui ho letto sempre sul sito 'archivio Bolaño'. Mi riferisco all'episodio di Edna Lieberman, che ebbe una storia d'amore con Bolaño in gioventù, ma che non rivide mai più lo scrittore, dopo la fine della loro relazione durata qualche anno. Questa separazione non impedì a Bolaño di eleggere Edna a sua musa ispiratrice e di celebrarla in varie sue opere. Edna lo venne a sapere tardi, quando Bolaño era già morto e decise di rendergli un estremo omaggio, attraverso un romanzo “Lettere al mio fantasma”, con cui ha riscritto un possibile passato immaginario che, purtroppo, non era riuscita a realizzare nella realtà.
La prima cosa che Bolaño chiederebbe ai suoi lettori, dopo aver pubblicato Notturno cileno, è di perdonarlo e scusarlo.
Caro Roberto, perdono concesso e scuse accettate.
In verità questa tua richiesta la consideriamo solo una captatio benevolentiæ. Lo sai che pendiamo dalle tue labbra e dalla tua penna. Altroché scuse per aver pubblicato un altro libro. Ti sarai accorto che sentiamo tanto la tua mancanza e c'è già chi sta raccogliendo tutto il materiale che hai lasciato inedito per pubblicarlo. Spero tu sia d'accordo perché sarebbe imbarazzante sapere che è stata violata la tua sfera privata. Confidiamo molto nella tua comprensione.
La seconda cosa che chiederebbe è di ridere.
Nel caso di Notturno cileno posso concederti delle risate amare, dei sorrisi imbronciati, una ilarità cupa, che si può avere con una commedia da incubo. Dai non è proprio un testo che faccia ridere!
Forse però, a pensarci bene, quando Pinochet prende lezioni di marxismo dal prete, la scena è piuttosto comica.
Il terzo desiderio di Bolaño, relativamente a Notturno cileno, è che i lettori fossero soddisfatti dalla forma dell'opera, descritta come un “tentativo di scrivere un romanzo-fiume di 150 pagine, così come voleva Giorgio Manganelli, uno dei grandi scrittori del XX secolo e che pochi hanno letto. "Notturno cileno" è il tentativo di costruire con sei o sette o otto quadri tutta la vita di una persona. Ogni quadro è arbitrario e allo stesso tempo, paradossalmente, è esemplare, vale a dire si presta all'estrazione di un discorso morale. Ogni quadro può essere letto in forma indipendente.”
Per quanto mi riguarda, Roberto, la forma di quest'opera mi ha pienamente soddisfatta. Ma che te lo dico a fare, come poteva essere altrimenti.
Il monologo del prete cileno, poeta e critico letterario, Sebastián Urrutia Lacroix, mi ha proiettato nella platea di un teatro, dove, una volta accomodata, mi sono lasciata trasportare dal ritmo soave della narrazione.
Nel primo quadro, come lo chiami tu, il prete mi fa persino tenerezza quando si emoziona nell'incontro con Farewell, il maggiore critico letterario del Cile, “alto, un metro e ottanta che a me sembrarono due metri” e gli confessa il suo desiderio di “diventare un critico letterario” egli stesso.
Poi hai reso l'atmosfera sublime quando, nel giardino di Farewell, fai dire al narratore: “scorsi un'ombra oblunga come una bara” (...) “Nel cielo vuoto di nuvole la luna si stagliava con nitidezza”. (...) “Mi avvicinai con decisione al punto dove si era nascosta l'ombra. Vicino alla fantasia equestre di Farewell lo vidi. Mi voltava la schiena. Indossava una giacca di velluto e una sciarpa e in testa aveva un cappello dalla tesa stretta spinto all'indietro e mormorava profondamente parole che potevano essere rivolte solo alla luna. Rimasi come l'ombra della statua, con la gamba sinistra sollevata a metà. Era Neruda. Non so cos'altro accadde. Lì c'era Neruda e qualche metro indietro c'ero io e in mezzo la notte, la luna, la statua equestre, le piante e il legno del Cile, l'oscura dignità della patria.” Non posso citare oltre perché dovrei riscrivere l'opera per intero, ma la narrazione che segue questo passaggio mi ha veramente impressionato.
Cambia la scenografia e vedo chiaramente l'interno della casa di Parigi del pittore guatelmateco, dove si incontrano durante la Seconda Guerra Mondiale, lo scrittore cileno Salvador Reyes e quello tedesco Ernst Jünger. Qui aumenta il senso di inquietudine che avevo percepito all'inizio. “Jünger disse che non credeva che il guatelmateco sarebbe sopravvissuto fino all'inverno successivo, cosa che risuonava strana provenendo dalle sue labbra, perchè a nessuno sfuggiva allora che molte migliaia di persone non sarebbero sopravvissute fino all'inverno successivo, la maggior parte di loro molto più sane del guatelmateco”. Sì, effettivamente hai reso l'idea della torre d'avorio in cui si sono rifugiati certi letterati. Anche qui piena e completa soddisfazione.
Con Odeim e Oido hai messo in scena la paura e l'odio, e ce ne saremmo accorti subito anche se i due avessero avuto nomi meno allusivi. Ma il vero e proprio terrore lo materializzi a casa di María Canales, perché il contrasto tra le torture che hanno luogo negli scantinati e la spensieratezza degli incontri letterari che avvengono contemporaneamente al piano di sopra rende la scena allucinante. Insomma se volevi far uscire al lettore/spettatore un urlo straziante ci sei riuscito. E se qualcuno si è chiesto “perché quella notte uno degli invitati smarrendosi trovò quello sventurato?” riferendosi al fortuito ritrovamento di un torturato, che avrebbe dovuto essere tenuto nascosto, la tua spiegazione rende ancora più terribile la situazione “perché l'abitudine allenta ogni precauzione, perché la consuetudine attenua ogni orrore.”
Dato che hai citato Manganelli, ho ripensato ai libri che avevo letto (e qui mi sono anche un po' vantata di essere tra quelli che tu definisci pochi lettori) di questo scrittore italiano e ho pensato che “Encomio del tiranno” potrebbe avere a che fare nella forma con Notturno Cileno dato che è un lungo monologo (di un buffone che parla rivolto ad un sovrano).
E poi il buffone di Manganelli ha un'idea precisa sul raccontare storie da parte di chi si sente in colpa, che coincide abbastanza bene con ciò che è capitato al “giovanotto invecchiato” Urrutia Lacroix.
“Le storie sono ipnagogiche: conciliano il sonno, e io soffro di insonnia”. (...) “una storia sognata può aiutare ad attraversare una notte lunga e tortuosa”. (...) “una storia può servire. Non è vero che debba essere un tranquillante. Ad esempio, il senso di colpa aiuta a pensare storie”
“Ci sono sogni pieni di colpe, e sensi di colpe, ma alla lunga nessuna sentenza promulgata in un sogno è eseguibile; quel che narrativamente mi persuade in un sogno è che i sogni non finiscono. Una storia non deve finire, perché una storia è tollerabile solo come sogno”
In questo ci sono delle differenze. Direi che tu hai raccontato una storia, non un sogno e la tua storia era destinata a finire piuttosto male “in una tempesta di merda”. Peggio di così sarebbe stato difficile. ( )