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Sto caricando le informazioni... Il senso di una fine (2011)di Julian Barnes
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La vita di Tony Webster è stata un fiume relativamente tranquillo, da costeggiare al riparo di scelte ragionevoli e sistematici oblii. Ora però la lettera di un avvocato che gli annuncia un'inattesa quanto enigmatica eredità sommuove il termitaio poroso del passato, e il tempo irrompe nella noia del presente sotto forma di parole risalenti all'adolescenza, quando Tony procedeva all'educazione morale, sentimentale e sessuale che ne avrebbe fatto, inavvertitamente come spesso accade, l'adulto che è. Il percorso a ritroso nelle zone d'ombra della vita, con i suoi dolori inesplorati e i suoi segreti, diventa cosi riflessione sulla fallacia della storia, "quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione", secondo il geniale amico dei tempi del liceo, Adrian Finn. Ed è dunque a quel punto di congiunzione, ai ricordi imperfetti come ai documenti inadeguati, che il vecchio Tony deve ora guardare per comprendere le vicissitudini del Tony giovane. Come ha potuto la ragazza di allora, Veronica Ford, preferirgli l'amico raffinato e brillante, Adrian? Ci sono solo Camus e Wittgenstein dietro l'estrema decisione di Adrian? Da che cosa ha voluto metterlo in guardia tanti anni prima la madre della ragazza? Perché a distanza di quarant'anni Veronica ritorna nella sua vita con un bagaglio di silenzi e il rifiuto di dargli ciò che è suo? Gli indizi da studiare tessono un filo d'Arianna di reminiscenze inaffidabili. ( ![]() La storia di un uomo squallido che ci racconta in età adulta le scelte che hanno caratterizzato la sua gioventù condizionandone negativamente gli eventi. Il personaggio assolutamente negativo può solo migliorare con il dipanarsi anche sorprendente degli eventi. Un libro denso, pieno di considerazioni sull'amore e sull'amicizia, ma soprattutto sulla vita. "La nostra vita non è la nostra vita ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi." Il titolo del libro di Barnes, vincitore del Man Booker Prize nel 2011, è un omaggio al saggio letterario “Il senso della fine” di Frank Kermode, pubblicato nel 1967, in cui l’autore si interrogava sul finale narrativo e sulla sua capacità di ricreare quella “fittizia armonia tra inizio e fine” che compensa la precarietà esistenziale di individui “che nascono e muoiono sempre in medias res”. Kermode fa un esempio per chiarire questo concetto: prendete il rumore delle lancette di un orologio, tic e toc. Quando il nostro orecchio sente il tic comincia ad aspettare l’arrivo del toc. C’è una progressione narrativa tra i due rumori: un inizio, un momento nel mezzo e una fine. Il fatto che riusciamo a percepire il silenzio nel mezzo deriva proprio dalla struttura narrativa che sovrapponiamo a un evento che di per sé non significa nulla. Infatti, se quantizzare l’intervallo tra tic e toc è relativamente semplice, molto più difficile è farsi un’idea dello spazio che passa tra toc e tic, perché questo, per la nostra mente che ragiona per narrazioni lineari, non è un intervallo dotato di senso. Ora - dice Kermode - il problema deriva proprio dal fatto che gli uomini, nel momento in cui nascono, vengono gettati in medias res, in un punto qualsiasi del tempo. E siccome hanno bisogno di dare un senso alla propria esistenza, e che le narrazioni sono gli strumenti principali di questa opera di creazione di senso, gli uomini si trovano a dover sovrapporre una struttura narrativa al tessuto informe del tempo, per trovare una forma di concordanza tra il passato, il presente e il futuro: per legare il silenzio nel mezzo al tic iniziale e al toc finale. E penso sia alla luce di questa teoria che debbano essere viste tutte le narrazioni che fanno dei fatti accaduti in medias res tutti i personaggi di questa storia senza peraltro arrivare mai a nessuna verità certa lettore compreso. Dopo una prima parte avvincente il tono della narrazione si appiattisce forse per la delusione e mancanza di empatia per la mediocrità dell’io narrante per riprendersi forse verso la fine anche se resta un po’ di scontento perché poco viene spiegato e resta comunque su molti punti il mistero. ‘Proprio non ci arrivi’ continua a ripetere e a scrivere Veronica a Tony nella seconda parte del libro. Beh, non ha tutti i torti il protagonista maschile e voce narrante del romanzo. E’ vero, è un uomo qualsiasi (non ‘qualunque’), un vero ‘common man’ che, come la maggior parte degli esseri umani, ha barattato i sogni di gioventù per una lunga vita tranquilla ed è diventato un vecchio brontolone incapace di apprezzare quanto l'esistenza ha saputo regalargli, come un buon lavoro, una bella moglie che rimane amica anche da ex, una figlia senza particolari problemi. In più non è un mostro di simpatia, con quel suo egocentrismo che lo aiuta a rimbalzare i momenti di difficoltà, ma che lo porta a mettere sempre se stesso al centro della scena dimenticandosi del prossimo – i contraccolpi stanno nella mancanza di amicizie e in rapporti familiari comunque labili - tanto da ingigantire anche le conseguenze di una cattiveria perpetrata quarant'anni prima, atto odioso ma certo non un crimine contro l'umanità. Questo però non significa che Tony possa arrivare in qualche modo a dedurre l’astruso susseguirsi di eventi, descritto nelle ultime pagine del romanzo, che finisce per suggellare un finale in calando. Molto più efficace la prima parte, quella ambientata ai tempi di scuola e università, con una bella descrizione dei meccanismi mentali dell'adolescenza maschile in cui Tony si dibatte tra la passione per la più benestante Veronica e il fascino esercitato su di lui dall'intelligenza acuta dell'amico Adrian. Il buon passo si mantiene anche quando, oramai in pensione, il narratore viene di nuovo raggiunto da un passato che rimette in movimento i ricordi impolverati: col passare delle pagine, però, la storia inizia ad annodarsi su se stessa, creando più di una perplessità pressappoco da quando Tony prende a baloccarsi con il concetto di rimorso. E questo malgrado la scrittura continui a scorrere come sempre, brillante e venata da un sottile e ben dosato senso dell’umorismo, grazie anche alla traduzione accurata di Susanna Basso: l'alternanza tra toni alti e momenti più colloquiali funziona (se l'insistenza sulla ‘violazione’ pare un po’ campata in aria, il ritornello del ‘filosoficamente tautologico’ è assai efficace) e al ritmo contribuisce la capacità di inserire a tempo nella narrazione lettere, e-mail e altri sistemi di comunicazione a distanza. Così, alla fine di queste centocinquanta pagine – sì, malgrado tutto quanto descritto sopra il libro è smilzo – il lettore resta un po’ deluso per le premesse tradite e si domanda se il Man Booker Prize vinto da Barnes per questo volume non sia stato dato un po’ anche alla carriera: è come se lo scrittore inglese, partito dalla riflessione sul tempo che passa e, soprattutto, sulla capacità della mente di falsare i ricordi (considerazione sottolineata più volte nella prima parte), non sia poi riuscito a costruirvi intorno una storia all'altezza dell'affascinante spunto di partenza.
By now, The Sense of an Ending by Julian Barnes has gained itself a reputation for being the novel you must read twice..... Nearly every paragraph in this book has multiple interpretations. Once all the questions are answered, the reader is left in the same state that Tony is in the book’s final pages—floored at life’s essential mysteries, and frustrated that they cannot be relived. Fortunately for us, we can just read the book again. Barnes' work is one in which, event-wise, not a whole lot happens. Unless we’re talking about the events of the brain and the tricks of time and memory. If that's the case, then Barnes has impressively condensed an undertaking of biblical proportions into a mere 163 pages. A man's closest-held beliefs about a friend, former lover and himself are undone in a subtly devastating novella from Barnes. It's an intense exploration of how we write our own histories and how our actions in moments of anger can have consequences that stretch across decades. The novel's narrator, Anthony, is in late middle age, and recalling friendships from adolescence and early adulthood. What at first seems like a polite meditation on childhood and memory leaves the reader asking difficult questions about how often we strive to paint ourselves in the best possible light. Ha l'adattamento
La vita di Tony Webster è stata un fiume relativamente tranquillo, da costeggiare al riparo di scelte ragionevoli e sistematici oblii. Ora però la lettera di un avvocato che gli annuncia un'inattesa quanto enigmatica eredità sommuove il termitaio poroso del passato, e il tempo irrompe nella noia del presente sotto forma di parole risalenti all'adolescenza, quando Tony procedeva all'educazione morale, sentimentale e sessuale che ne avrebbe fatto, inavvertitamente come spesso accade, l'adulto che è. Il percorso a ritroso nelle zone d'ombra della vita, con i suoi dolori inesplorati e i suoi segreti, diventa cosi riflessione sulla fallacia della storia, quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione, secondo il geniale amico dei tempi del liceo, Adrian Finn. Ed è dunque a quel punto di congiunzione, ai ricordi imperfetti come ai documenti inadeguati, che il vecchio Tony deve ora guardare per comprendere le vicissitudini del Tony giovane. Come ha potuto la ragazza di allora, Veronica Ford, preferirgli l'amico raffinato e brillante, Adrian? Ci sono solo Camus e Wittgenstein dietro l'estrema decisione di Adrian? Da che cosa ha voluto metterlo in guardia tanti anni prima la madre della ragazza? Perché a distanza di quarant'anni Veronica ritorna nella sua vita con un bagaglio di silenzi e il rifiuto di dargli ciò che è suo? Gli indizi da studiare tessono un filo d'Arianna di reminiscenze inaffidabili. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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