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Sto caricando le informazioni... Og vi kom over havet (originale 2011; edizione 2014)di Julie Otsuka
Informazioni sull'operaVenivamo tutte per mare di Julie Otsuka (2011)
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Iscriviti per consentire a LibraryThing di scoprire se ti piacerà questo libro. Attualmente non vi sono conversazioni su questo libro. Una voce forte, corale e ipnotica racconta la vita straordinaria di migliaia di donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America. È lì, su quella nave affollata, che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, che immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco; la prima notte di nozze; il lavoro sfibrante, chine a raccogliere fragole nei campi e a strofinare i pavimenti delle donne bianche; la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura; l’esperienza del parto e della maternità, con l’impegno a crescere figli che alla fine rifiuteranno le proprie origini e la propria storia; il devastante arrivo della guerra, l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici e internarli nei campi di lavoro. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua. Eccellente, emozionante, da non perdere. Un tema che non avevo incontrato mai in narrativa: quello delle "spose in fotografia" che dal Giappone raggiunsero in America mariti ignoti, e quello, che ha un precedente, credo, solo in un film di una decina di anni fa, degli immigrati giapponesi e dei loro figli (americani, sospetto) che vennero internati durante la seconda guerra mondiale come appartenenti a un popolo nemico. Ma alla novità del tema si aggiunge una scelta narrativa inedita, travolgente: un "noi" narrante che pone l'accento sul comune destino e su ogni singola vita,vita fragile, delicata e irripetibile, che la storia inghiotte e travolge. Un libro da non perdere. Davvero. Ho cercato un aggettivo diverso da "corale" per definire questo libro, ma non credo esista. Non è un romanzo e non sono racconti, ma immagini, istanti, sensazioni, nostalgie, sopra tutte quella della madre invocata tanto spesso, singole frasi che in poche parole definiscono, pennellano quasi, una vita intera. Ecco si "pennellate", forse questa è la parola giusta. Particolare.
This passage may give a clue as to how Julie Otsuka's book is to be read. She calls it a novel. It is closely and carefully based on factual history/ies. There are novelistically vivid faces, scenes, glimpses, voices, each for a moment only, so you cannot linger anywhere or with anyone. Information is given, a good deal of it, in the most gracefully invisible manner; and history is told. Yet the book has neither a novel's immediacy of individual experience, nor the broad overview of history. The tone is often incantatory, and though the language is direct, unconvoluted, almost without metaphor, its true and very unusual merit lies, I think, in that indefinable quality we call poetry.....I am sorry that after it, in the last chapter, she suddenly changes her narrative mode and ceases to follow her group of women. The point of view changes radically and "we" suddenly are the whites: "The Japanese have disappeared from our town." Narrated in the first-person plural, The Buddha in the Attic is a slight, but powerfully moving piece of prose. It tells the story of a group of Japanese mail-order brides, from their journey to America, through marriage, work, childbirth and motherhood, until they and their entire communities are rounded up at the beginning of the war....Some might find the plurality of voice troubling, suggesting that it does little to restore individual identities to those whom history has forgotten, but I would argue the opposite. A host of individual characters and experiences crystallise as families and communities take root But the book’s plural voice is particularly effective at capturing their long, giddy conversations on the ship as they wonder if American men really grow hair on their chests, put pianos in their front parlors and dance “cheek to cheek all night long” with their lucky wives....But no story in the conventional sense ever develops, and no individuals emerge for more than a paragraph....Had we known them as full individuals — as real and diverse and distinct — we couldn’t have whisked them away to concentration camps in the desert. A great novel should shatter our preconceptions, not just lacquer them with sorrow. Premi e riconoscimentiMenzioniElenchi di rilievo
Una voce forte, corale e ipnotica racconta la vita straordinaria di un gruppo di donne - le cosiddette ℗±spose in fotografia℗ - partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare dal loro primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. © su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in terra straniera. Seguir© l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternit© , il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)813.6Literature English (North America) American fiction 21st CenturyClassificazione LCVotoMedia:
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Comunque, sono contenta di aver letto Venivamo tutte per mare, sia perché racconta una storia – l’immigrazione giapponese, in questo caso soprattutto delle donne, negli USA e il successivo internamento nei campi – ancora poco conosciuta, sia per il modo in cui lo fa. Venivamo tutte per mare, infatti, è un racconto corale che racconta questa pagina della storia statunitense attraverso le esperienze di numerose donne di origine giapponese, spesso senza dare loro un nome o un volto, ma identificandole di volta in volta con la loro esperienza e il modo in cui i grandi eventi storici impattano sulla vita di ognuna.
Probabilmente deluderà chi è in cerca di un romanzo che lǝ aiuti a capire quella fetta di storia, visto che è fatto più di punti di vista che di racconto omogeneo: è più una lettura per chi sa, anche solo a grandi linee, cosa è successo e può lasciarsi trasportare da Otsuka nel sentire di queste donne giapponesi trapiantate negli USA. L’autrice è stata anche molto brava a evitare il sentimentalismo e a riprodurre quel modo di raccontare che associamo alle nonne e a chi ha vissuto in un’epoca a noi (relativamente) lontana.
Il romanzo si conclude con la solita riflessione sull’immigrazione, sull’integrazione e sulla facilità con la quale lasciamo che le istituzioni facciano del male a intere categorie di persone. Dico la solita non tanto perché mi sia seccata di leggerla, ma perché sono amareggiata dal fatto che una raccomandazione così presente in letteratura viene drammaticamente ignorata ogni volta: sappiamo che non va a finire bene, in un modo o nell’altro, ma noi niente, non riusciamo mai a fermarci prima del disastro. Poi piangiamo sul latte versato e ci chiediamo come sia stato possibile. Che orrore. ( )