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Sto caricando le informazioni... Chadži-Murat (1912)di Leo Tolstoy
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As with War & Peace or Anna Karenina, Tolstoy built Hadji Murad out of multiple plots, which he cycles between to cunning, highly contrastive effect. But because Hadji Murad is only 100 pages long, its structure is more obvious, even flashy. Ludwig Wittgenstein, of all people, admired it. It has the cold, distilled clarity of late work.,, Fit into its 100 pages is every viewpoint: Tolstoy fully characterizes and motivates everyone from Tsar Nicholas I (a useless letch) to individual soldiers—like Butler, a good man heartbreakingly addicted to gambling, or Avdeev, whose death opens up a startling sidelight on his peasant parents—to several of Murad’s disciples (notably shy Eldár, with his ram’s eyes) to Shamil himself... Tolstoy is a master of anticlimax. Apocalypse is not, as some terrorists have it, now. If his final novel presents a more balanced view of imperialist politics than even Heart of Darkness (with which it was contemporary), it is because Tolstoy knows there are no climaxes: conflicts like this one will drag on forever. Appartiene alle Collane EditorialiÈ contenuto inPremi e riconoscimentiElenchi di rilievo
The story follows a separatist guerrilla Murat who falls out with his own commander and eventually sides with the Imperial Russian forces in hope of saving his family. Tolstoy collected material for this novel from events he witnessed while serving in the Caucasus, according to letters he wrote to his brother Sergei. Non sono state trovate descrizioni di biblioteche |
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)891.733Literature Literature of other languages Literature of east Indo-European and Celtic languages Russian and East Slavic languages Russian fiction 1800–1917Classificazione LCVotoMedia:
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Chadzi-Murat è un barbaro, capace di estremi sentimenti di odio e di amore: valoroso, pronto d'intuito e reattivo come un felino, dolcissimo e crudele. Ha tutte le qualità e i difetti del barbaro. È l'ultimo, il più seducente e il più solenne degli uomini di natura «messi-in-vita» da Lev Tolstoj. Lo sfondo è il Caucaso «paese d'amore e d'ispirazione», dove cinquant'anni prima di scrivere questo giovanilissimo racconto della vecchiaia, l'autore s'era recato per sfuggire alla vita mondana e corrotta della capitale e avviarsi verso un processo di rigenerazione spirituale. Quell'esperienza la si ritrova nei «Cosacchi». Riappare qui il mondo incontaminato dei montanari, innocente e violento, bestiale e divino, libero dagli schemi e dai condizionamenti sociali, contrapposto al mondo «civilizzato» degli ufficiali zaristi. L'immagine del potere, nemico dei montanari, ma anche dei contadini russi mandati a morire lassù, emerge dalla flaccida, demente tirannide di Nicola I, schizzato con livido sarcasmo. Chadzi-Murat fugge da Samil, e poi fugge dai russi perché non ha altra via per liberarsi di ogni tirannia e per difendere la propria indipendenza, e corre incontro alla sua titanica morte insieme a pochi uomini fedeli. Così Tolstoj, che è, credo, il più grande descrittore della morte della letteratura di tutti i tempi, conclude la sua vicenda artistica e fra poco la sua vicenda esistenziale con la narrazione, anzi, con la rappresentazione epica di quest'ultima morte, la più tragica e la più solenne. ( )