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Sto caricando le informazioni... La coscienza di Zenodi Italo Svevo
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Iscriviti per consentire a LibraryThing di scoprire se ti piacerà questo libro. Attualmente non vi sono conversazioni su questo libro. La storia di Zeno Cosini, inetto a vivere: una specie di marionetta tirata da fili che quanto più egli indaga, gli sfuggono. Una coscienza inutile a mutare un destino che sembra ineluttabile. E' il capolavoro di Svevo, la prima storia italiana dove entra prepotentemente in scena la psicanalisi come coprotagonista; forse il più grande romanzo del Novecento italiano e uno dei maggiori della letteratura europea di questo secolo. Per lunghe pagine, Zeno Cosini è di un’indisponenza irritante. Ipocondriaco e indulgente al vittimismo, ha però la fortuna di essere benestante di famiglia e di avere un amministratore oculato che gli permette di passare il tempo senza lavorare ascoltando i propri mali (immaginari, tanto da fargli invidiare i malati veri). La sua inettitudine – simboleggiata dall’incapacità di abbandonare il fumo e con ogni probabilità autoimposta – lo porta a non saper stabilire una relazione col padre morente e a lasciarsi scegliere dalla moglie (ma anche qui viene assistito dalla sua buona stella) e dall’amante che, sotto una finta innocenza, lo rivolta come un calzino spillandogli una discreta somma. Insomma, non raggiunge l’antipatia, ma neppure la certa qual grandezza, dell’Ulrich de ‘L’uomo senza qualità’, ma resta un personaggio assai scostante. Oltre all’irresolutezza, con l’antieroe di Musil condivide anche l’ambiente, l’alta borghesia nell’impero asburgico ormai al tramonto, e una certa svolta psicologica nell’ultima parte del romanzo: a contatto con il fallimento umano e commerciale del cognato Guido, Zeno riesce a dare una mossa a sé stesso e un senso alla sua vita. Se poi è tutto vero… La narrazione è immaginata come la rievocazione degli episodi salienti del proprio passato fatta dal protagonista a fini psicoanalitici, ma, come rivelato nell’ultimo capitolo, egli odia la psicoanalisi – per non parlare del dottore che gliela propina - e, per dispetto, nel racconto non si è fatto mancare omissioni o abbellimenti (il medico, peraltro, si vendica pubblicando il tutto, come descritto nell’acre ironia del prologo). L’ultimo dei tre romanzi di Italo Svevo, uscito nel 1923, non è uno di quei libri che si leggono d’un fiato, ma, con il suo ritmo lento ravvivato talvolta da un’ironia sottotraccia coinvolge il lettore che sappia essere non frettoloso e abbia voglia di immergersi in un mondo molto lontano dal presente per quanto riguarda le consuetudini o gli aspetti esteriori eppure così moderno nei suoi risvolti psicologici, con l’uomo contemporaneo intento ad annaspare alla ricerca di punti di riferimento o, quantomeno , di un appiglio che può essere anche una malattia inesistente: una modernità che raggiunge il punto più alto nelle ultime due, meravigliose pagine in cui Zeno, di fronte al contrasto tra le miserie della guerra e le proprie personali fortune, si lascia andare a parole di devastante e profetico pessimismo. Si tratta di una conclusione che varrebbe da sola il tempo passato a leggere un libro in cui la riflessione e l’introspezione psicologica sono del tutto predominanti mentre gli avvenimenti – tutti di normale vita quotidiana – impiegano pagine per dispiegarsi, regalando al romanzo un ritmo quasi ipnotico accentuato dalla scarsa presenza dei dialoghi che, anzi, vengono spesso narrati dal protagonista evitando l’uso del discorso diretto. Del resto, la lingua utilizzata è peculiare, intessuta com’è di arcaismi, imprecisioni e anche errori con cui il triestino Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo e cresciuto tra dialetto e tedesco piuttosto che con l’italiano, caratterizza la sua versione di quello che Zeno (in questo caso più che mai alter-ego) definisce ‘toscano’. Anche sotto tale luce, si denota l’importanza della città natale,una Trieste che riesce a ergersi a protagonista in un romanzo che pur per lunghi tratti si svolge in interni: le lunghe vie ora brulicanti, ora solitarie e i giardini silenziosi da città mitteleuropea brillano stretti fra mare e montagna e sono destinati a una decadenza che culminerà nel tempo di guerra. Non so bene cosa pensare di questo romanzo. Mi pare molto sottile, forse troppo sottile per me. Sono riuscito a seguire solo in parte e con un po' di fatica il racconto minuzioso e fine dei moti psicologici, le impressioni, le reazioni, gli impulsi, i discorsi di Zeno. Un racconto personale, parziale, non si sa quanto attendibile, scritto con tono distaccato e lievemente ironico, in uno stile morbido e liscio, molto corretto e decoroso, e discretamente adornato qua e là da piccole preziosità e ricercatezze (forse lo si può definire uno stile "borghese", così come l'ambientazione è tutta borghese). Nel complesso, il senso del romanzo mi sfugge, e non sono riuscito ad apprezzarne la novità e l'originalità che gli sono generalmente riconosciute. L'ultima pagina mi ha un po' sconcertato. Dopo quattrocento pagine di "io", di racconto tutto svolto da un punto di vista completamente personale, individuale e interiore, improvvisamente si passa a un "noi" e a una prospettiva addirittura cosmica. Ma anche per la data in cui fu scritta: le considerazioni sulla troppa crescita della specie umana, sul dominio sempre più esteso della tecnica (degli "ordigni", termine lievemente sinistro che il romanzo usa spesso), sulla possibilità di una autodistruzione universale dell'umanità, se fossero state scritte trent'anni dopo, o più tardi, sarebbero suonate forse addirittura banali, ma che già nel 1920 Svevo vedesse tali cose mi ha lasciato un'impressione un po' inquietante. Assolutamente DA LEGGERE. Sto amando profondamente Svevo. Sarò forse l'unica, ma i suoi libri mi fanno ridere e sorridere per la sottile ironia con cui l'autore stesso, con infinita maestria, rende i suoi personaggi, mostrandoli meschini tramite le loro stesse parole, le loro "excusatio non petita". Questo favoloso personaggio, che ho incontrato molteplici volte nella mia vita (e tante altre lo incontrerò...) in "ominicchi" di terza scelta, ma apparentemente di perfetta buona società, è sempre pieno di giustificazioni al proprio comportamento, ai propri sentimenti, ai propri errori. No, egli non commette errori. La sua vita lo induce all'errore, gli altri ve lo coinvolgono. Egli è solo un pover'uomo alla ricerca della SALUTE. Sua moglie è "sana", ma non gli trasmette questa salute se non solo come pallido riflesso. Questa della salute è una delle fissazioni più ricorrenti. Zeno non è "sano". Ma si crogiola piacevolmente in questo! Se ne fa consolare, ne ricava motivo di compassione e conforto! Certo, rileggerlo con qualche nozione di psicoanalisi sarebbe ancora più spassoso, specie nell'interpretazione dei sogni, ma ci si accontenta anche così. E poi, oltre alla spasmodica ricerca della salute, c'è quell'altro elemento così fastidiosamente ricorrente: i propositi! Ultima sigaretta, ultimo tradimento, ultimo accordo. Che abbia mai rispettato uno, uno solo di questi propositi!!! Ecco cosa infastidisce e contemporaneamente stimola ilarità: uno spropositato numero di propositi mai realizzati. In fondo Zeno Cosini, col suo nome che si sminuisce da se nel cognome, non è solo uno stereotipo di uomo inetto, è la parte inetta di tutti noi, quando prevalgono pigrizia, indolenza e codardia. E Svevo, incompreso nella sua opera, scoraggiato, criticato fino a spezzare la propria penna, conobbe bene questa porzione spregevole dell'animo umano.
Zenos Handschrift ist die eines Triestiner Kaufmannes am Anfang dieses Jahrhunderts. Durchschnittlich gebildet, erfolglos in der Arbeit und anfangs unglücklich verheiratet, gibt Svevos Protagonist mehr Anlass zu Mitleid und oberflächlicher Belustigung als zu ernsthaftem Interesse. Gerade dieses scheinbar allzu langweilige Durchschnittsschicksal macht auch die Schwierigkeit des Romans aus, der seine Qualitäten erst auf Umwegen preisgibt. Wer Zeno, wer Svevo verstehen will, muss bereit sein, nicht nur über ihn zu lachen, sondern ihn gar auszulachen. Lachen über diesen verschrobenen Hypochonder, diesen schrulligen Egoisten, diesen unfähigen Ehebrecher, diesen naiven Feigling, diesen Antihelden durch und durch. Wer ihn dann auslacht, erkennt, dass auch Zeno Zeno durchschaut und auch Zeno über Zeno lacht. Appartiene alle Collane EditorialiBiblioteca Folha (12) Clube de Literatura Clássica (CLC) (38 [June 2023]) Gallimard, Folio (439-5816) — 8 altro Premi e riconoscimentiElenchi di rilievo
Aonia edizioni. Nella prefazione del libro il sedicente psicanalista Dottor S. dichiara di voler pubblicare per vendetta alcune memorie, redatte in forma autobiografica di un suo paziente, Zeno Cosini, che si e sottratto alla cura. Gli appunti dell'ex-paziente costituiscono il contenuto del libro. Il romanzo non e altro che l'analisi della psicologia di Zeno, un individuo che si sente malato o inetto ed e continuamente in cerca di una guarigione dal suo malessere attraverso molteplici tentativi a volte assurdi o che portano a effetti controproducenti (Wik.). Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s'intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica. Di psico-analisi non parlero perche qui entro se ne parla gia a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia... Non sono state trovate descrizioni di biblioteche
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Google Books — Sto caricando le informazioni... GeneriSistema Decimale Melvil (DDC)853.8Literature Italian Italian fiction Later 19th century 1859–1900Classificazione LCVotoMedia:
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