Meg Wolitzer

Mediocrità. La storia della mia generazione.

Una generazione, nata tra la fine degli anni ‘50 e i primi anni ‘60, che esce dalla dimensione locale per affacciarsi a un mondo vasto, senza confini municipali, senza frontiere nazionali, un mondo dove le persone di valore sono pochissime, dove il medico, il farmacista, l’avvocato, il parroco non sono più modelli locali da imitare ma professioni banali, per nulla attraenti. Un mondo in cui si coltivano sogni e dove, i più, raccolgono solo delusioni e una vita banale piena di rimpianti per i sogni sfumati, per le doti non coltivate, per le amicizie e gli amori persi.

Ci si può chiedere se questa storia possa essere una storia universale. Io non credo.

Credo che caratterizzi proprio la mia generazione; una generazione che doveva riscattare le aspettative delle generazioni precedenti, le aspettative di crescita, sviluppo, avanzamento sociale, prosperità, ma che alla fine ha soltanto finito per conquistare e farsi piacere una vita mediocre, quasi completamente priva di valore. Unici valori rimasti a salvare queste vite mediocri l’affetto e l’amicizia. Forse.

È un libro che ha suscitato reazioni molto diverse: lo spessore e la lentezza della narrazione sono a volte scoraggianti, (ma, mi chiedo, è possibile descrivere un arco di tempo così lungo - un'intera vita - velocemente?) e le storie narrate possono apparire lontane (americane, persone che aspirano a emergere con l'arte). Io l'ho trovato convincente e mi sono riconosciuto seppur con una storia adolescenziale, nei dettagli, fortemente differente.

Anche a questo libro sono arrivato tramite Reckwitz (che ultimamente mi sta fortemente condizionando). Mi accorgo di aver fatto un percorso nelle mie letture recenti che passa attraverso diversi libri che, in vario modo, affrontano il tema dell'adolescenza (L'isola di Arturo, Qualcuno con cui correre, La scelta).… (altro)